Sicurezza all’italiana

Luglio 2009
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Mentre la Svezia assumeva la presidenza di turno dell’Ue, annunciando tra le sue priorità la definizione entro fine anno del nuovo programma europeo quinquennale in materia di Libertà, Sicurezza e Giustizia che prenderà appunto il nome di Programma di Stoccolma, uno degli Stati membri fondatori, l’Italia, il 2 luglio scorso ha adottato nuove norme contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, portando così alla politica comunitaria il suo contributo…decisamente preoccupante.
Le reazioni ai contenuti del provvedimento approvato dal Senato italiano, espresse dalla maggior parte delle organizzazioni sociali, sindacali e religiose italiane, hanno mostrato un’insolita unanimità nel denunciare il regresso giuridico, democratico e sociale che comporteranno le nuove norme. Su tutte, quelle che riguardano i cittadini stranieri e che evidenziano un approccio totalmente miope e inadeguato al fenomeno dell’immigrazione, in Italia e quindi nell’Ue.
Perché nel provvedimento voluto dalla maggioranza di governo italiana è indubbio un orientamento “punitivo” nei confronti dei migranti, cosa che contrasta fortemente con l’esigenza di integrazione necessaria per garantire un equilibrio sociale di fronte all’immigrazione di cui l’Italia, come il resto dell’Ue, avrà assoluto bisogno nei prossimi anni per sopperire al costante invecchiamento della popolazione. In tutt’altra direzione vanno invece norme quali l’introduzione del reato di clandestinità per sole questioni amministrative, l’imposizione di una tassa fino a 200 euro per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, l’ideazione di un permesso di soggiorno “a punti” con dei “crediti di integrazione” da sottoscrivere al momento della richiesta, l’obbligo di dimostrare la regolarità del soggiorno ai fini dell’accesso e del perfezionamento degli atti di stato civile (matrimonio, registrazione della nascita, riconoscimento del figlio, registrazione della morte), fino all’estensione a sei mesi del trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione.
I promotori del “pacchetto” osservano che queste norme sono già in vigore in molti Stati membri dell’Ue. Cosa vera solo in parte, perché in vari casi sono bilanciate da sistemi giuridici differenti da quello italiano, non sono tutte concentrate in un unico regolamento nazionale e soprattutto non sono inserite in un contesto come quello italiano che si caratterizza per un welfare inadeguato, per l’assenza di una legge organica sull’asilo, per i respingimenti in mare senza adeguati controlli dei diritti dei migranti (vedi box), per una deriva xenofoba e razzista denunciata da vari osservatori (che la legittimazione delle “ronde”, contenuta nel “pacchetto”, non contribuirà certo a limitare).

le reazioni italiane

«È un momento veramente buio per la storia della nostra democrazia e per la tutela dei diritti umani, un attacco ai principi costituzionali di uguaglianza e libertà. Un monstrum giuridico di cui soffriremo le conseguenze negli anni a venire» sostiene l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi); «D’ora in poi la parola d’ordine sarà: esclusione sociale. Le nuove norme renderanno più difficile la convivenza civile, pacifica e reciprocamente proficua tra italiani e stranieri» osserva il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir); «Un pacchetto “insicurezza” che non sarà di beneficio a nessuno» commenta l’Ufficio immigrazione della Caritas italiana; l’associazione Naga ritiene il provvedimento italiano «la legge più razzista e discriminatoria in materia d’immigrazione emanata dal dopoguerra ad oggi»; l’Arci ha lanciato una campagna di disobbedienza civile contro le nuove norme; Amnesty International sottolinea che «i migranti, per timore di essere denunciati con conseguenze di rilievo penale, saranno indotti a sottrarsi al contatto con tutti gli uffici pubblici, in qualunque ambito, piombando così in un’allarmante situazione di mancato accesso ai servizi e di compromissione dei loro diritti umani»; Cgil, Cisl e Uil evidenziano invece la «miscela devastante» costituita da questo provvedimento e dalla crisi economica: «Chi perde il lavoro ha sei mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti diventa illegale e rischia l’espulsione. La nuova legge colpisce persone che vivono e lavorano da anni nel nostro Paese, che hanno portato in Italia la famiglia o che hanno figli nati qui».

le prime reazioni europee

A fronte delle molte reazioni italiane al provvedimento, a livello europeo si è espresso immediatamente e in modo netto solo il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. «Le draconiane misure in materia d’immigrazione e di asilo contenute nel Ddl sicurezza produrranno inevitabilmente un ulteriore aggravamento del clima xenofobo contro gli immigrati» ha commentato Hammarberg, lanciando anche un monito all’Italia sulla politica dei respingimenti di migranti irregolari perché, se dovesse proseguire, «le istituzioni europee non potrebbero fare a meno di intervenire». Con la Commissione europea ancora in attesa di un nuovo mandato, la settima legislatura del  Parlamento europeo che ha appena avviato i lavori e la presidenza di turno svedese dell’Ue insediata da poco, si attendono ancora reazioni ufficiali e concrete da parte delle istituzioni europee, soprattutto su una materia così delicata su cui vige la sovranità nazionale finché non sarà definita la tanto annunciata ma ancora lontana politica migratoria comune.
Sollecitato da varie interviste, poi, si è espresso anche il vicepresidente della Commissione europea, Jacques Barrot, responsabile europeo per la materia Libertà, Sicurezza e Giustizia. Barrot ha reso noto che il “pacchetto sicurezza” italiano sarà esaminato per verificarne la compatibilità con le norme europee, dal momento che potrebbe violare il principio della libertà di circolazione per i cittadini comunitari.

libera circolazione a rischio

Facendo riferimento alle linee guida adottate dall’Ue per facilitare l’applicazione negli Stati membri della direttiva 38/2004 che garantisce la libertà di circolazione e di residenza dei cittadini comunitari, Barrot ha dichiarato: «Quando il governo italiano fa votare una legge che prevede di introdurre il reato d’immigrazione illegale e quando questo reato può accompagnarsi ad un’espulsione immediata, allora la legislazione italiana è contro il diritto comunitario». Questo perché, osserva il commissario europeo, anche cittadini comunitari potrebbero facilmente trovarsi in queste condizioni in Italia, ad esempio molti cittadini rumeni e bulgari che non hanno diritto a lavorare legalmente in Italia sulla base delle limitazioni ancora in vigore per i lavoratori dei nuovi Stati membri; oppure cittadini rom, che secondo Barrot sono nel mirino di questo nuovo apparato legislativo.
L’Ue «non accetta misure generali» e i controlli «devono essere individuali, determinati e proporzionali» ha sottolineato il vicepresidente della Commissione, che ha poi ricordato come l’esecutivo dell’Ue avesse già espresso al governo italiano l’impossibilità di applicare ai cittadini comunitari norme che prevedessero un aumento della pena per l’immigrazione in situazione irregolare, così come era stato segnalato che l’espulsione automatica degli stranieri in caso di condanna a oltre due anni di detenzione non sia applicabile ai cittadini comunitari.
L’obiettivo della Commissione è dunque di evitare che l’Italia possa espellere sistematicamente cittadini comunitari, cosa limitata dalla direttiva 38/2004 a precise eccezioni e soggetta ad esame caso per caso per coloro che potrebbero essere oggetto di espulsione. Per quanto concerne invece il reato di clandestinità, Barrot ha ricordato che si tratta di una scelta di competenza degli Stati membri e dunque «al di fuori della sfera di competenza della Commissione europea». Così come resta la piena sovranità nazionale in materia di immigrazione di cittadini provenienti da Paesi terzi, cioè non comunitari, anche se è prevista da anni un’armonizzazione delle politiche migratorie su cui l’attuale presidenza svedese dell’Ue intende lavorare concretamente, mentre sarebbe opportuno da parte della Commissione un riscontro delle nuove norme italiane con i principi contenuti nella Carta europea dei diritti fondamentali.

un problema culturale

Il caso italiano, che registra da un lato la colpevolizzazione di fatto degli immigrati con le nuove norme approvate e dall’altro una preoccupante deriva xenofoba e razzista (come riportato nell’inserto di “euronote” n. 55/2009 e come si può leggere nella pagina seguente) evidenzia però, sempre più, un problema culturale e politico allo stesso tempo: perché se può essere vero che una parte della popolazione condivide le misure contenute nel “pacchetto sicurezza” è altrettanto vero che la classe politica non dovrebbe inseguire gli umori della gente (spesso indotti e strumentalizzati) ma invece avere lungimiranza nelle scelte di governo.
Queste norme sulla “sicurezza”, e più in generale l’approccio attuale nel governo del fenomeno migratorio, in Italia soprattutto ma non solo, sembrano invece dimostrare la veridicità del noto detto secondo cui la differenza tra gli statisti e i politici sta nel fatto che mentre i primi guardano alle prossime generazioni i secondi sono interessati unicamente alle prossime elezioni.

INFORMAZIONI:
http://ec.europa.eu/justice_home/index_en.htm;
http://www.coe.int;
http://www.asgi.it;
http://www.cir-onlus.org;
http://www.caritasitaliana.it;
http://www.arci.it;
http://www.amnesty.it;
http://www.naga.it

RESPINGIMENTI: CHIESTI CHIARIMENTI AL GOVERNO ITALIANO

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr) e il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) hanno chiesto chiarimenti al governo italiano in merito a presunti maltrattamenti ai danni di migranti intercettati il 1° luglio scorso al largo di Lampedusa e respinti in Libia.
Secondo le ricostruzioni svolte dall’Unhcr sulla base di colloqui con le 82 persone intercettate dalla nave “Orione” della Marina militare italiana, le autorità italiane a bordo della nave non avrebbero «cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte né tantomeno le motivazioni che le hanno spinte a fuggire dai propri Paesi». Queste persone sono poi state trasferite in alto mare su una motovedetta libica e, giunte in Libia, smistate in Centri di detenzione dove l’Unhcr ha avuto l’opportunità di svolgere gli incontri. «Fra di loro vi sono 76 cittadini eritrei, di cui 9 donne e almeno 6 bambini. Sulla base delle valutazioni relative alla situazione in Eritrea e da quanto dichiarato dalle stesse persone, appare chiaro che un numero significativo di esse risulta essere bisognoso di protezione internazionale» ha denunciato l’Unhcr.
Sulla base delle testimonianze raccolte, 6 eritrei avrebbero avuto necessità di cure mediche in seguito ai maltrattamenti subiti, mentre i loro effetti personali compresi documenti importanti per i migranti sarebbero stati confiscati dai militari italiani durante le operazioni e non più riconsegnati.
Il Cir, dal canto suo, ricorda che migliaia di rifugiati e migranti sono stati salvati nel Mediterraneo da forze militari italiane negli ultimi anni, e che proprio la nave “Orione” si è distinta per l’impegno in operazioni di salvataggio. «Ora chiediamo che sia fatta immediatamente un’indagine per chiarire gli eventi della notte tra il 30 giugno e il 1° luglio e che i responsabili di eventuali reati siano identificati. Chiediamo anche che il Parlamento sia tempestivamente informato» dichiarano i responsabili del Consiglio italiano per i rifugiati, aggiungendo: «La politica di respingimento di rifugiati e richiedenti asilo verso la Libia deve subito cessare. Non è tollerabile che il Canale di Sicilia diventi una zona franca in cui nessuna legge è rispettata. Attraverso interviste con gli interessati in territorio libico, si è infatti evidenziato che le operazioni di respingimento delle ultime settimane hanno colpito principalmente persone bisognose di protezione internazionale».
E in seguito alle denunce dei due organismi, il vicepresidente della Commissione europea Jacques Barrot ha sottolineato che «l’Italia deve rispettare non solo le norme europee ma anche quelle internazionali, in particolare non ci può essere la possibilità di rimpatrio in quei Paesi dove non ci sono garanzie di protezione consolare».

INFORMAZIONI: http://www.unhcr.it

GARANTIRE LA LIBERA CIRCOLAZIONE

«La libertà di vivere e lavorare all’estero è uno dei principi fondamentali dell’Ue, a vantaggio dei cittadini, degli Stati membri e delle nostre economie» ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea, Jacques Barrot, presentando gli orientamenti per una miglior applicazione della direttiva 38/2004.
Circa otto milioni di cittadini europei si sono trasferiti in un altro Stato membro, secondo le rilevazioni di Eurostat. La direttiva 38/2004 riguarda il diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, mentre gli orientamenti definiti dalla Commissione chiariscono i diritti dei cittadini comunitari e dei loro familiari e forniscono indicazioni agli Stati membri sui provvedimenti che possono adottare per contrastare la criminalità, gli abusi e i matrimoni fittizi.
Tutti gli Stati membri hanno adottato la normativa nazionale di recepimento della direttiva 2004/38/CE, ma da una Relazione sull’applicazione della direttiva pubblicata nel dicembre 2008 la Commissione ha rilevato che complessivamente il recepimento della direttiva è stato piuttosto insoddisfacente: non un singolo Stato membro ha recepito in modo effettivo e corretto l’intera direttiva e non un singolo articolo della direttiva è stato recepito in modo effettivo e corretto in tutti gli Stati membri. Così, impegnandosi a garantire che i cittadini dell’Ue e i loro familiari beneficino effettivamente del diritto di libera circolazione, l’esecutivo europeo ha annunciato che fornirà più informazioni ai cittadini e che lavorerà in partenariato con gli Stati membri per assicurare la piena applicazione della direttiva.

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