Inserto n. 42:
Welfare e demografia
il modello sociale europeo
nell’Europa che invecchia
Tutti gli studi sulle tendenze demografiche europee
evidenziano un costante e inesorabile invecchiamento della popolazione. Un dato
importante, che dimostra il successo dei sistemi di Welfare e del cosiddetto
modello sociale europeo in termini di ricaduta positiva sulla qualità
della vita dei cittadini europei, ma che contemporaneamente crea una serie di
esigenze e problemi da affrontare fin da ora per evitare gravi conseguenze socio-economiche
in prospettiva futura. Infatti, l’effetto combinato del basso tasso di fecondità,
dell’allungamento dell’aspettativa di vita e dell’uscita dal mercato del lavoro
di un elevato numero di cittadini europei (la generazione del “baby-boom”),
metterà sotto forte pressione le istituzioni europee e quelle nazionali
in tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Nel marzo 2005, la Commissione europea aveva pubblicato un Libro Verde dedicato
a questa problematica, contributo che ha suscitato un ampio dibattito sull’impatto
presente e futuro delle evoluzioni demografiche in relazione alla potenzialità
del modello sociale europeo e sulla plausibilità di quello che è
stato definito da più parti come “allarme demografico”, questioni sulle
quali si sono espressi tutti i principali attori europei che operano nel campo
dell’azione politica che si occupa di demografia. La Commissione ha inoltre
integrato la sua riflessione con varie comunicazioni dedicate all’invecchiamento
della popolazione, all’evoluzione della fecondità, all’immigrazione e
all’inserimento dei lavoratori più giovani, delle lavoratrici e dei lavoratori
anziani. In generale, mentre il Libro Verde evoca una «crisi demografica»
e sottolinea la necessità di un vasto rinnovo delle regole alla base
del mercato del lavoro, dei programmi di protezione sociale, dell’insegnamento
e della formazione nonché di altri settori di azione politica, le parti
sociali e le organizzazioni della società civile hanno sottolineato altre
dimensioni della questione.
trasformare il problema in risorsa
La Confederazione europea dei sindacati (Ces) e la Federazione europea dei pensionati
e delle persone anziane (Ferpa), ad esempio, ritengono che si debba affrontare
non tanto una crisi demografica quanto piuttosto un nuovo ciclo demografico,
che crea sia tensioni sia opportunità per la società. L’invecchiamento
demografico, aggiungono le due organizzazioni europee, è il risultato
del grande successo del modello sociale europeo, delle sue istituzioni e dei
suoi valori, pertanto la necessità è di modernizzare le istituzioni
sociali, economiche e del lavoro, piuttosto che rivederne (e ridurne) radicalmente
le ambizioni. Sono quindi proposte alcune linee d’azione da implementare a breve
termine: più posti di lavoro di migliore qualità, un mercato del
lavoro che sia più inclusivo (in particolare per giovani, donne e lavoratori
anziani), un’istruzione e una formazione efficaci, una società più
aperta a tutti. Secondo i sindacati e i pensionati europei, il carattere multidimensionale
della sfida richiede un approccio globale basato sull’interazione tra i settori
di azione politica e il livello di governance.
Poiché si tratta di programmi di protezione sociale, tutti gli attori
sottolineano la doppia necessità di razionalizzare tali programmi e nel
contempo di migliorarli. La spesa sociale deve essere considerata come un investimento
e non come un costo, oppure un onere, che pesa sulla competitività economica.
eccessivo allarmismo
Dal dibattito europeo emerge come l’invecchiamento influenzi sicuramente le
istituzioni socio-economiche, tuttavia, il confronto tra le statistiche relative
alle esperienze del passato e le proiezioni future mostra un impatto meno radicale
e più gestibile. Alcuni studi e ricerche mostrano infatti che non esistono
prove irrefutabili di una massiccia crisi finanziaria dei regimi di sicurezza
sociale. Innanzitutto, le tendenze negative riguardanti il rapporto di dipendenza
delle persone anziane non si accompagneranno automaticamente ad un equivalente
impatto negativo sul rapporto di dipendenza economica. Almeno nel medio termine
(fino al 2025), il rapporto tra la popolazione attiva e quella non attiva sarà
lungi dal diminuire, anzi, dovrebbe migliorare. Inoltre, le tendenze comuni
all’interno dell’Ue non devono nascondere l’esistenza di considerevoli differenze
a livello nazionale e sovranazionale. Le sfide, attuali e future, dipendono
poi da alcune variabili quali il tasso di fecondità, l’aspettativa di
vita e sopratutto l’adeguamento delle politiche sociali. Così, in alcuni
Paesi, dove il regime di protezione sociale è molto meno sviluppato,
il rischio è sempre più focalizzato su enormi problemi di coesione
sociale piuttosto che sulle potenzialità finanziarie dei bilanci di sicurezza
sociale.
Inoltre, esaminando la precedente evoluzione delle spese di sicurezza sociale
(piuttosto che fare delle previsioni), il processo di invecchiamento demografico
non ha avuto un impatto eccessivamente forte sulla spesa sociale. La demografia
ha un impatto diretto sulle pensioni, ma non si osservano effetti così
evidenti per altre spese sociali quali l’assistenza sanitaria. Le preoccupazioni
espresse devono dunque essere ricontestualizzate. Soprattutto, dal dibattito
europeo emerge la necessità che le inevitabili riforme vadano di pari
passo con le innovazioni rivolte agli aspetti quantitativi e qualitativi dei
programmi sociali, incidendo sia sulla loro potenzialità finanziaria
che sulla loro adeguatezza sociale. Chi dovrà prendere le decisioni del
caso dovrà quindi tener conto delle varie posizioni per definire strategie
di riforma efficaci e condivise.
Il materiale contenuto in questo inserto è tratto dal Bilan
social de l’Union européenne 2005. Septième rapport annuel, pubblicato
dall’Osservatorio sociale europeo (OSE) con sede a Bruxelles.
INFORMAZIONI: Osservatorio sociale europeo, rue Paul Emile Janson 13 - 1050
Bruxelles; tel. +3202/5371971 - fax: +3202/5392808 - E-mail: info@ose.be
- sito web: http://www.ose.be
il Libro Verde sui cambiamenti demografici
Al fine di promuovere un ampio dibattito a livello europeo
sui cambiamenti demografici e sulle strategie necessarie per affrontare l’invecchiamento
della popolazione, nel marzo 2005 la Commissione europea aveva pubblicato un
Libro Verde intitolato Una nuova solidarietà intergenerazionale per far
fronte ai cambiamenti demografici. Esaminando dettagliatamente la situazione
attuale e le previsioni per il breve e medio periodo, l’esecutivo europeo ha
così espresso il suo parere sia sui problemi posti dalle tendenze demografiche
sia sulle soluzioni politiche socio-economiche da adottare prioritariamente.
crescita economica senza “motore demografico”?
Secondo la Commissione, i cambiamenti demografici sono il risultato di tre fenomeni
principali. La prima dinamica riguarda il prolungamento dell’aspettativa di
vita dovuto ai progressi fatti in termini di qualità media dell’assistenza
sanitaria, nonché in termini di qualità della vita, in tutti gli
Stati membri dell’Ue. Si tratta di un successo storico del Welfare a livello
europeo, che sfocia però in una situazione di nuovo equilibrio (problematico)
tra generazioni, con un sempre maggior numero di anziani e, pertanto, un aumento
della popolazione non attiva.
Il rapporto di dipendenza demografica, vale a dire il rapporto tra la popolazione
di età inferiore ai 15 anni o che abbia compiuto almeno 65 anni, da un
lato, e la popolazione compresa tra i 14 e i 64 anni, dall’altro, passerà
dal 49% del 2005 al 66% nel 2030. In particolare, nel periodo 2005-2050, la
fascia di età tra 55 e 65 anni (cioè i lavoratori anziani) aumenterà
dell’8,7 %, mentre il numero di individui nella fascia di età compresa
tra 65 e 79 anni (le persone anziane) raggiungerà il 44%, e quello delle
persone molto anziane (aventi almeno 80 anni) aumenterà di una percentuale
pari al 180% (vedi tabella in questa pagina).
Il secondo fattore che contribuisce alla “crisi demografica” è rappresentato
dalla crescita ininterrotta dei lavoratori con più di 60 anni (perlomeno
fino al 2030), dovuta all’invecchiamento della generazione comunemente definita
“del baby-boom”. Questa generazione è particolarmente numerosa e nel
momento in cui arriverà all’età della pensione l’equilibrio tra
la popolazione attiva e la popolazione non-attiva ne sarà influenzato
negativamente.
Inoltre, il basso tasso di natalità influenzerà anche la dinamica
della popolazione. Un certo numero di elementi, come la difficoltà a
trovare un lavoro, il costo degli alloggi, delle nuove scelte di studio, di
vita professionale e di vita familiare, hanno contribuito a portare il tasso
di fecondità molto più in basso rispetto alla soglia di ricambio
generazionale (che è 2,1 figli per donna). La situazione più sfavorevole
si registra nei Paesi dell’Europa meridionale, dove il tasso di ricambio si
attesta intorno a 1,3 figli per donna, mentre il livello medio dei Paesi dell’Ue
è di 1,5.
Con tali premesse è possibile prevedere, per il periodo 2005-2050, una
diminuzione del numero dei bambini di età inferiore ai 14 anni nell’ordine
del 19,4%, parallela a una tendenza ancora più negativa per chi ha tra
14 e 24 anni (-25%) e per i giovani tra 25 e 39 anni (-25,8 %). Conseguentemente,
la popolazione totale della Unione europea dovrebbe registrare una debole crescita
fino al 2025, per poi iniziare a decrescere. La popolazione attiva (da 15 a
64 anni) diminuirà di 20 milioni di unità tra il 2005 ed il 2030,
cosa che si prevede comporterà una diminuzione della crescita potenziale
del Pil nei Paesi dell’Ue dal 2-2,25% all’1,25% nel 2040. Una tendenza che la
Commissione prevede essere simile anche nei nuovi Stati membri.
Secondo il Libro Verde, l’effetto combinato di queste dinamiche rappresenterà
una sfida enorme per l’attuale modello sociale europeo. L’Unione europea, sostiene
infatti la Commissione, non ha più un “motore demografico”, dato preoccupante
perché «nella Storia non si è mai vista una crescita senza
culle».
una nuova solidarietà tra generazioni
Per affrontare questi problemi alla radice, l’Ue deve «inventare nuovi
percorsi per valorizzare il potenziale di crescita rappresentato dalle giovani
generazioni e dai cittadini più anziani» sostiene la Commissione
europea, che nelle annotazioni preliminari del Libro Verde focalizza l’attenzione
sulla Strategia di Lisbona in quanto strumento importante per affrontare una
simile sfida. Sarà necessario introdurre delle riforme per aumentare
il numero di persone che svolgono un lavoro (in particolare le donne, i giovani
e le persone più anziane), per migliorare l’innovazione e la produttività
e per modernizzare i programmi di protezione sociale. Inoltre la famiglia, in
quanto istituzione che gioca un ruolo fondamentale per la promozione della solidarietà
intergenerazionale, ha una funzione molto importante da assolvere al fine di
aumentare il tasso di fecondità e aiutare a conciliare vita e lavoro.
La prima misura prevista dal Libro Verde è rappresentata dalle nuove
politiche mirate ad aumentare il tasso di fecondità. Benché tale
tasso sia molto basso in Europa e insufficiente ad assicurare il ricambio generazionale,
alcune indagini hanno mostrato che gli europei desidererebbero avere più
figli rispetto a quelli che hanno realmente. Nuove misure di sostegno dovrebbero
quindi favorire l’aumento del tasso di natalità grazie a un accesso più
rapido al mercato del lavoro, a una maggiore stabilità del lavoro, a
una diminuzione dei costi degli alloggi, nonché a un aumento delle prestazioni
a favore delle famiglie.
L’immigrazione proveniente da Paesi extra-Ue potrà poi contribuire in
modo rilevante ad attenuare l’impatto dell’evoluzione demografica negativa,
avendo, come obiettivi fondamentali, il rafforzamento della popolazione in generale
e, in particolare, l’offerta di mano d’opera. Già in occasione del Consiglio
europeo di Salonicco nel 2003, l’Ue aveva avanzato la proposta di una politica
comune di integrazione per gli immigrati, per affrontare le sfide dell’economia
grazie a una gestione efficace e trasparente dei meccanismi di ammissione per
i cittadini di Paesi terzi, nonché alla definizione della decisione relativa
all’inclusione dei migranti nelle società di accoglienza.
La terza strategia privilegiata dalla Commissione verte su «una migliore
integrazione dei giovani». Benché un miglioramento a livello dell’istruzione
e della formazione debba essere tradotto in un aumento della produttività,
i giovani rappresentano una risorsa sottostimata in Europa. Alcuni indicatori
mostrano gli attuali limiti di questa situazione: nel 2004, il tasso di disoccupazione
dei giovani con meno di 25 anni si attestava su una percentuale superiore al
17%, contro il 7% per le persone con più di 25 anni. Il rischio di povertà
era del 19% per la fascia di età compresa tra i 16 e i 24 anni, contro
il 12% per la fascia di età dai 25 ai 64 anni e il 17% per le persone
con più di 65 anni. Al fine di sradicare queste forme di esclusione,
i sistemi scolastici e di formazione superiore dovrebbero incrementare il livello
di istruzione e di formazione e contribuire a ridurre il numero di giovani che
abbandonano gli studi troppo presto oppure senza qualifica. Dovrebbero essere
fatti degli sforzi supplementari nel settore della formazione in alternanza
al lavoro, nonché della formazione professionale, al fine di soddisfare
le necessità di cambiamento delle forze economiche. I partner sociali,
i poteri pubblici e gli attori locali devono migliorare l’integrazione di tali
misure in favore dell’integrazione dei giovani.
prolungare la vita attiva
La rapida trasformazione della popolazione attiva, con il ruolo sempre maggiore
dato all’esperienza e alle competenze dei lavoratori più anziani, dovrebbe
favorire un nuovo approccio al “ciclo della vita attiva”. La Commissione considera
un obiettivo essenziale l’aumento del tasso di occupazione delle persone con
più di 55 anni d’età. Tale obiettivo si può raggiungere
mettendo a punto un certo numero di strategie: un’organizzazione dell’orario
di lavoro più flessibile, nuovi sviluppi tecnologici che permettano di
migliorare la qualità dell’occupazione e dell’ambiente di lavoro. La
definizione di strategia di apprendistato permanente e l’aumento dell’età
pensionabile sono presentati come possibili soluzioni. Si tratta di quello che
la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro
ha definito (nel 2005) come un nuovo approccio al “ciclo di vita” in materia
di politica sociale e di occupazione. Il numero sempre crescente di anziani
dovrebbe rappresentare un’opportunità, ma, allo stesso tempo, anche un
onere. L’opportunità è collegata al miglioramento dello stato
di salute delle persone anziane (in particolare tra i 65 ed i 79 anni), che
si traduce in un maggior consumo di beni e servizi, in una maggiore mobilità
all’interno dell’Europa, nonché in nuove opportunità di prestazione
di servizi alle generazioni più giovani (bambini e nipoti).
La riforma dei regimi pensionistici dovrebbe definire delle “passerelle” più
favorevoli e più flessibili dalla vita lavorativa alla pensione. In questa
prospettiva, il tasso di occupazione della fascia d’età tra i 65 e 74
anni (che nel 2003 si attestava al 5,6% nell’Ue contro il 18,5% negli Usa) dovrebbe
aumentare grazie alle nuove opportunità che permettono di unire un impiego
a tempo parziale e la rendita della pensione. Tuttavia, l’onere futuro dell’invecchiamento
si riferisce, in modo particolare, al numero sempre crescente di persone molto
anziane (con un’età superiore agli 80 anni); tale numero passerà
da 18,8 milioni a 35 milioni nel 2030. Questa parte della popolazione europea
necessiterà di cure appropriate, in particolare di cure intensive. Le
famiglie non sono in grado di assicurare da sole tali servizi, avranno pertanto
bisogno del supporto della rete di solidarietà all’interno delle comunità
locali.
gli strumenti a disposizione
Dopo aver dato indicazioni in relazione alle misure essenziali da realizzare,
la Commissione esamina i principali strumenti a disposizione dell’Ue: nuove
disposizioni legali, ma anche strumenti finanziari come i Fondi strutturali.
Il dialogo sociale, il dialogo con la società civile e il Metodo aperto
di coordinamento (Moc) saranno elementi che giocheranno, anch’essi, un ruolo
strategico.
Attualmente le linee direttrici di politica economica e il Patto di stabilità
e crescita esaminano già l’impatto dell’invecchiamento sulle finanze
pubbliche. La Strategia europea per l’occupazione (See) e la politica di istruzione
e formazione professionale stanno già lavorando per contrastare l’abbandono
scolastico e per aumentare il livello della formazione iniziale dei giovani,
nonché per promuovere un invecchiamento attivo e migliorare la qualità
dell’occupazione. Il Moc, relativo alla protezione sociale e all’inclusione
sociale, ha fissato gli obiettivi essenziali della riforma del sistema pensionistico
e delle politiche miranti a sradicare la povertà infantile e delle famiglie.
Anche l’integrazione della dimensione di genere è stata uno stimolo per
varie iniziative politiche affinché si rispettassero le pari opportunità
tra uomo e donna: il dialogo sociale, ad esempio, ha concluso degli accordi
relativi ai congedi di maternità e di paternità, al lavoro a tempo
parziale, che devono essere trasposti per mezzo di direttive. Seguendo una più
ampia prospettiva, dal 2000 un quadro legislativo specifico copre tutte le forme
di discriminazione in materia di occupazione. Infine, il Fondo sociale ha sostenuto
la See, mentre il Fondo di sviluppo regionale ha promosso lo sviluppo dell’assistenza
all’infanzia e una migliore “gestione dell’età” all’interno delle imprese.
Inoltre, il programma quadro di ricerca sostiene i progetti collegati all’invecchiamento,
come ad esempio la ricerca clinica e gli studi demografici.
Fonte: Commissione europea, marzo 2005
le posizioni dei partner sociali europei
Il Libro Verde della Commissione europea ha offerto l’opportunità
di un’ampia consultazione dei principali attori sociali coinvolti in vario modo
dall’impatto dell’invecchiamento della popolazione europea. Il documento ha
infatti presentato 35 punti aperti relativi a tutti i maggiori problemi derivanti
dalla nuova situazione demografica prevista. La Commissione ha successivamente
organizzato una conferenza europea, nel corso della quale sono state presentate
le risposte e le posizioni espresse dai partner sociali europei e della società
civile (vedi tabella riassuntiva). Tali risposte, che illustriamo brevemente
di seguito, hanno contribuito ad arricchire l’analisi dei cambiamenti demografici
attraverso argomentazioni particolarmente diversificate e, talvolta, opposte
a quelle della Commissione.
Ces: ciclo demografico, non crisi
Il contributo al dibattito elborato dal comitato esecutivo della Ces ha riguardato
innanzitutto il rischio di esagerazione della sfida demografica. La Ces vede
nell’attuale situazione un ciclo prevedibile, che presenta dei rischi ma anche
delle opportunità. Inoltre, le proiezioni della Commissione non rappresentano
i dati reali e non possono pertanto essere utilizzate per giustificare delle
soluzioni politiche globali. Se il Libro Verde affronta alcuni fattori e relative
conseguenze delle tendenze demografiche (come le politiche di previdenza sociale,
il conciliare vita professionale e vita familiare ecc.), esistono altri aspetti
che sono sotto-analizzati, sostiene la Ces.
Una prima preoccupazione espressa dai sindacati europei riguarda la necessità
di nuove politiche del mercato del lavoro. Misure che permettano di combinare
lavoro e pensione, un’organizzazione innovatrice del lavoro, la riduzione degli
ostacoli alla mobilità regionale e il miglioramento delle condizioni
di lavoro: tutto ciò può essere adottato tramite un intervento
legislativo, l’attivazione di risorse dei fondi strutturali, ma anche - e sopratutto
- tramite il dialogo sociale.
Un secondo problema riguarda l’impatto dell’invecchiamento sui sistemi di previdenza
sociale (Welfare). In questo senso, l’approccio proposto dalla Ces è
in contrasto con quello di altri attori influenti. Le tensioni finanziarie relative
alle pensioni e alle altre politiche sociali sono definite come la conseguenza
delle recenti misure introdotte in molti Paesi per ridurre i contributi sociali,
piuttosto che come conseguenza delle tendenze demografiche. Inoltre, la debolezza
del tasso di occupazione, sia tra i giovani che tra gli anziani, contribuisce
a ridurre le risorse della previdenza sociale. La strategia principale consiste
quindi nel rivedere i metodi di finanziamento dei programmi di previdenza sociale,
focalizzandosi sempre più sui benefici alle imprese piuttosto che sul
lavoro, al fine di proteggere gli obiettivi sociali fondamentali dei sistemi
di Welfare: vale a dire migliorare la coesione sociale e la solidarietà.
Un altro strumento politico è quello dell’immigrazione.
I responsabili delle decisioni politiche a livello nazionale ed europeo dovrebbero
interagire con i partner sociali per sviluppare delle politiche pro-attive di
accesso, residenza e protezione dei lavoratori immigrati, al fine di affrontare
i problemi che possono scaturire dai flussi migratori.
La mancanza di eguali opportunità tra i sessi è un altro problema
centrale che deve essere affrontato tenendo in considerazione le evoluzioni
demografiche negative. Le donne rappresentano, in effetti, una riserva di manodopera
sottoutilizzata, una risorsa essenziale di cura formale ed informale per i bambini
e gli anziani e, nel contempo, si chiede loro di fare sempre più figli
e di ricoprire un ruolo ben definito all’interno dell’invecchiamento demografico.
La soluzione proposta dai sindacati europei consiste nello sviluppare l’occupazione
femminile parallelamente ai servizi e alle infrastrutture di alta qualità,
in modo tale da facilitare l’armonizzazione tra la vita professionale e la vita
familiare. L’esperienza dei Paesi scandinavi dimostra che questi fattori sono
collegati a un elevato tasso di fecondità. Una nuova suddivisione delle
responsabilità tra i partner, in seno alle istituzioni familiari, deve
pertanto essere facilitata da disposizioni relative al congedo di maternità
e di paternità, alla cura e all’accoglienza, alla possibilità
di un’organizzazione del lavoro flessibile, nonché da forme più
universali di accesso alle infrastrutture di cura e accoglienza.
La Ces identifica le priorità al fine di delineare un contratto intergenerazionale
equo. Le questioni della sicurezza, della stabilità e della qualità
dell’occupazione sono le più urgenti. Come sottolineano le statistiche,
per i due terzi dei giovani europei occupazione significa un lavoro a breve
termine, a tempo parziale, stagionale o informale. Da ciò scaturiscono
importanti conseguenze che si ripercuotono sulla vita quotidiana in termini
di dipendenza finanziaria nei confronti dello Stato e/o dai genitori o di decisione
di posticipare la scelta di vivere con il proprio partner e di creare una famiglia.
Incoraggiare i giovani a diventare indipendenti significa prendere delle misure
atte a prevenire l’abbandono scolastico, migliorare le possibilità di
trovare una buona occupazione e di accedere alla protezione sociale.
Gli anziani, poi, rappresentano una fonte di opportunità per sviluppare
nuova occupazione che sia di qualità migliore, legata alla necessità
di servizi di cura e accoglienza, vista l’impossibilità da parte delle
famiglie di fornire tutte le cure necessarie.
A livello di Ue, la Strategia di Lisbona (centrata sulla crescita, l’occupazione,
la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile) deve essere considerata come
l’agenda in funzione della quale trattare tutte le sfaccettature del nuovo ciclo
demografico. Tale Strategia può essere realizzata utilizzando strumenti
vari. Si fa specifico riferimento ai Fondi strutturali e alla rete Eures (programma
europeo di mobilità dell’occupazione), strumento che deve essere ottimizzato,
nonché alla Strategia europea per l’occupazione e al dialogo sociale.
Ferpa: una società per tutte le età
La Federazione europea dei pensionati e delle persone anziane (Ferpa) è
uno degli attori naturalmente più interessati alle evoluzioni demografiche.
La sua posizione è sintetizzabile nel concetto di «una società
per tutti» all’interno di un contesto demografico in cambiamento, con
una decisa opposizione a qualsiasi forma di esclusione che possa colpire sia
i lavoratori sia i pensionati.
La Ferpa critica il Libro Verde perché esso non sottolinea adeguatamente
le opportunità dell’invecchiamento demografico evocandone invece sopratutto
i pericoli: «I pensionati e le persone anziane rappresentano una risorsa
per la società, non un peso da supportare e da colpevolizzare».
È quindi proposta una prospettiva multidimensionale, in alternativa all’interpretazione
unidimensionale della demografia vista come un problema rappresentato da un
basso tasso di fecondità e da un aumento del numero di anziani tra la
popolazione. L’aumento dell’aspettativa di vita rappresenta un cambiamento di
grande entità, che offre la possibilità di integrare meglio le
persone anziane nelle attività economiche e sociali. In questo senso,
la Ferpa sottolinea il grande contributo apportato dalla seconda Assemblea mondiale
sull’invecchiamento (aprile 2002) e dalla Conferenza di Berlino organizzata,
sempre nel 2002, dalla Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa
(Ceune).
Gli obiettivi prioritari definiti dalla Ferpa sono: creare una società
per tutte le età, rafforzare la solidarietà intergenerazionale,
promuovere un livello elevato di qualità di vita e salute, mirare alla
piena occupazione. Tali obiettivi sono definiti come trasversali, nella misura
in cui devono essere implementati tramite misure coerenti riguardanti i sistemi
di protezione sociale, ma anche l’occupazione, l’organizzazione del lavoro,
la formazione permanente ecc.
Per ottenere una più equa ripartizione delle responsabilità familiari
e domestiche, sottolinea la Federazione europea, deve esserci un’azione concertata
tra i vari attori. La famiglia è riconosciuta come prima prestatrice
di accoglienza e di cure alle persone anziane e ai bambini, ma essa ha bisogno
del sostegno di un sistema di servizi più esteso: assicurare la continuità
delle cure e il supporto rappresenta un dovere sociale. In questo contesto,
«il riproporre un ruolo tradizionale della famiglia e delle donne sarebbe
un errore grave, in quanto questo tipo di famiglia non esiste più e le
donne vogliono ricoprire un nuovo ruolo nella società». Al contrario,
un dialogo costruttivo tra istituzioni, prestatari di servizi sociali, associazioni
di pazienti e associazioni familiari, operanti a livello locale, regionale e
nazionale, sarà determinante per assicurare l’efficacia della politica
del sistema di assistenza e cura e dei servizi. I poteri pubblici sono invitati
a supportare le famiglie che desiderano occuparsi dei propri membri. È
necessario prevedere un sostegno finanziario a chi si occupa di questi servizi
a livello familiare, dovrebbero essere inoltre previste un’estensione dei diritti
pensionistici per le attività di cura e per una formazione specifica.
La Ferpa definisce la realizzazione di un sistema completo di servizi sociali
come un investimento anziché un costo, in grado di assicurare il rispetto
dei diritti sociali delle persone dipendenti e di offrire, allo stesso tempo,
una nuova occupazione di qualità per le generazioni più giovani.
È proposto, inoltre, un ruolo «pro-attivo» per le persone
anziane all’interno della pianificazione dell’assistenza sociale e delle cure.
La popolazione anziana dovrebbe essere considerata come una risorsa, perché
ha un ruolo chiave come acquirente di beni e servizi. Conseguentemente, il reddito
dei pensionati dovrebbe essere protetto, in particolare utilizzando degli stimoli
fiscali diretti alle innovazioni tecnologiche (come la telemedicina) per migliorare
la qualità della vita di queste persone. Gli anziani, poi, sono particolarmente
attivi nel volontariato, in seno alla famiglia (in particolare in favore dei
bambini) e all’interno del più ampio contesto sociale (in associazioni
senza scopo di lucro). Con la preoccupazione di mantenere l’accesso universale
alla previdenza sociale, i sistemi pubblici pensionistici e di assistenza sanitaria
devono essere migliorati, sostiene la Ferpa, prestando una particolare attenzione
alla lotta contro la povertà e allo sviluppo della prevenzione delle
malattie e delle cure palliative. I poteri pubblici, a tutti i livelli, devono
migliorare le opportunità di partecipazione delle persone anziane alla
vita sociale: attività di volontariato mirate alla cure e all’assistenza,
ma anche formule di istruzione non ufficiale e di formazione permanente, sono
esempi di attivazione sociale (e non solo economica) in senso più ampio.
Anche la scuola potrebbe promuovere attività congiunte di formazione,
in occasione delle quali i professori in pensione potrebbero fungere da tutori
dei giovani studenti. Il dialogo sociale e le nuove forme di dialogo con la
società civile dovrebbero essere implementate per aumentare la partecipazione
delle persone con un’età di almeno 55 anni alla vita della popolazione
attiva, investire nelle risorse umane e introdurre delle formule flessibili
che permettano di combinare il lavoro a tempo parziale e una pensione.
In relazione al ruolo presente e futuro dell’Ue, la Ferpa si concentra su alcune
linee d’azione essenziali. La prima supporta gli incentivi fiscali, e in particolare
un tasso ridotto di Iva (settore di competenza dell’Ue) per aiutare le famiglie
a fornire cure e favorire la solidarietà tra le generazioni. I Fondi
strutturali dovrebbero anche fungere da supporto per la formazione permanente
e per l’utilizzo di nuove tecnologiche contro le varie forme di esclusione sociale.
Secondo la Ferpa, l’Ue dovrebbe anche favorire un vasto scambio di buone pratiche,
in particolare grazie al piano d’azione Urban mirante all’organizzazione dei
servizi sociali a livello locale. La Commissione è quindi invitata a
definire forme specifiche di dialogo con la società civile e di dialogo
sociale: si tratta di un elemento essenziale per lo sviluppo economico e sociale
dell’Europa. Il metodo aperto di coordinamento dovrebbe migliorare la formazione
basandosi su norme minime di qualità, in particolare in materia di cure
sanitarie e di assistenza di lunga durata.
Age: le proposte della società civile
La Piattaforma europea delle persone anziane (Age) è una delle Ong più
attive nel settore della politica sociale e, in particolare, delle condizioni
delle persone anziane. Nel 2005, l’organizzazione ha contribuito al dibattito
consultando i propri membri nazionali e organizzando un seminario al Parlamento
europeo, con la partecipazione dell’intergruppo Invecchiamento e di altre Ong
coinvolte, come il Forum europeo della gioventù e la Lobby europea delle
donne. Da questo lavoro è stata elaborata una risposta al Libro Verde,
con alcuni commenti critici preliminari relativi all’approccio scelto dalla
Commissione. Innanzitutto, la risposta alle sfide demografiche deve essere realista
senza cedere all’allarmismo sottinteso. Come già la Ferpa, anche l’Age
definisce l’invecchiamento «uno degli adempimenti più grandi dell’evoluzione
sociale ed economica recente dell’Europa». Si rende necessario un approccio
più ampio delle evoluzioni demografiche, che tenga conto degli effetti
quantitativi (aumento delle spese di protezione sociale ecc.) e, allo stesso
tempo, qualitativi (la trasformazione di istituzioni sociali ecc.), che si coniughi
con un’analisi più sottile dell’evoluzione e della diversità della
popolazione anziana, facendo una chiara distinzione tra le persone anziane (65-79
anni) e le persone molto anziane (80 o più).
Secondo l’Age, l’allungamento dell’aspettativa di vita non rappresenta un problema
in sé, ma la conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e
di lavoro e dei progressi della medicina. Le proiezioni demografiche presentate
dalla Commissione non tengono conto del prevedibile impatto dello stress, dell’inquinamento
ambientale e dei rischi collegati allo stile di vita dei giovani (obesità,
cancro, abuso di droghe, alcool e tabacco). Ciò significa che le proiezioni
variano in funzione delle ipotesi sulle quali si basano. Un altro commento critico
espresso dall’Age riguarda la risposta più efficace all’invecchiamento
della popolazione. In questo senso, la Piattaforma europea sottolinea l’importanza
di due concetti: la scelta e la fiducia. Da un lato, i cittadini devono poter
realmente scegliere come conciliare lavoro e vita familiare grazie alle politiche
dell’occupazione e a politiche sociali adeguate. D’altra parte, ciò è
possibile solo instaurando una fiducia che permei tutti i programmi di sicurezza
sociale al fine di garantire la sicurezza ai cittadini durante la vecchiaia.
Sono proposte le seguenti misure: rafforzamento dei dispositivi di cura e assistenza
dei bambini e delle persone anziane; compensazione finanziaria per la responsabilità
legata all’assistenza (ad es. riconoscimento dell’assistenza e diritto alla
pensione per gli operatori informali); supporto e formazione per gli operatori
informali; sviluppo di strutture di cura per le persone anziane al fine di promuovere
l’occupazione in questo settore.
L’Age sottolinea anche la problematica dell’immigrazione: i migranti non possono
essere considerati come una semplice componente economica; al contrario, la
dimensione sociale del fenomeno e i bisogni degli individui e delle famiglie
devono essere tenuti in considerazione dai responsabili politici per evitare
il pericolo di creare cittadini “di serie B”. In questa prospettiva, una politica
comune dell’immigrazione deve offrire lo stesso livello di protezione alla popolazione
immigrata e ai cittadini dell’Ue e deve affrontare e risolvere due questioni
essenziali: lo sfruttamento della manodopera immigrata (in termini di livello
di retribuzione, di status o di condizioni di lavoro) e il rischio di una fuga
di cervelli e di perdite economiche nei Paesi d’origine.
Sono quindi identificate varie strategie per creare la solidarietà tra
generazioni. La prima linea d’azione si focalizza sull’integrazione sociale
ed economica dei giovani. Il miglior modo per evitare la povertà negli
anni della vecchiaia è di esercitare un lavoro ben pagato durante la
vita attiva, in buone condizioni di impiego. La seconda linea d’azione vuole
rendere la formazione accessibile a coloro che ne hanno più bisogno (giovani,
donne, lavoratori anziani), parallelamente a dispositivi più flessibili
di organizzazione del lavoro, che potrebbero soddisfare le richieste dei lavoratori
(ad es. tutoraggio, pensionamento progressivo ecc.). L’Age propone di innalzare
l’età media pensionabile ricorrendo a incentivi e non a una soglia obbligatoria.
Un numero significativo di persone anziane (sopratutto donne) deve affrontare
una situazione di povertà e di esclusione sociale. Questo problema rischia
di aggravarsi in futuro a causa di una carriera più frammentata, nonché
di recenti riforme che modificano il metodo di calcolo delle pensioni di anzianità
e si basano sempre di più su una media calcolata sull’insieme della carriera
e non sugli “anni migliori”.
In relazione al ruolo delle istituzioni europee, la risposta di Age sottolinea
la necessità di discutere dei cambiamenti demografici e della solidarietà
tra generazioni a livello europeo, in quanto problemi con un enorme impatto
sulle politiche di competenza dell’Ue. L’Age chiede un maggiore coordinamento
tra le politiche economiche, dell’occupazione e della protezione sociale, nonché
dell’immigrazione, dei trasporti, dell’alloggio, della ricerca e dell’istruzione.
Le iniziative del tipo Equal potrebbero contribuire ad approcci innovativi miranti
a prolungare la vita attiva, nonché focalizzati sui giovani e, al tempo
stesso, sui lavoratori anziani. Far sì che il lavoro paghi, non è
considerato un passo sufficiente per affrontare le mutazioni del mercato del
lavoro: l’Ue deve creare un maggior numero di posti di lavoro di qualità.
L’Age raccomanda poi alla Commissione la pubblicazione di un Rapporto annuale
concernente la risposta dell’Ue ai cambiamenti demografici, documento che riassumerebbe
le misure prese dagli Stati membri e dalle istituzioni europee. Tale Rapporto
dovrebbe essere discusso in occasione di una tavola rotonda annuale sul cambiamento
demografico alla quale parteciperebbero le parti coinvolte, tra i cui i responsabili
politici nazionali e il Parlamento europeo. Un processo che ha lo scopo di contribuire
alla preparazione dell’agenda post-Lisbona.
UNICE: CONSIDERARE LE NECESSITÀ DELLE IMPRESE
Anche la Confederazione europea degli imprenditori (Unice) ha espresso una valutazione
critica del Libro Verde, facendo riferimento in modo particolare al Rapporto
elaborato dal Gruppo di analisi di metà percorso della Strategia di Lisbona
(o gruppo Kok). I datori di lavoro europei hanno espresso preoccupazione perché,
secondo loro, l’approccio della Commissione considera solo gli individui e ignora
le necessità delle imprese. Ciò ha condotto a una mancanza di
identificazione corretta delle responsabilità di tutti gli attori coinvolti:
non solo i datori di lavoro, ma anche i poteri pubblici, gli individui e le
parti sociali in generale. L’Unice ritiene che il Libro Verde contenga politiche
che favoriscono «a priori» l’equilibrio tra vita professionale e
familiare, a scapito di altre dimensioni del problema, in particolare il potenziale
(nel lungo termine) dei sistemi pensionistici e di assistenza sanitaria, nonché
le riforme del mercato del lavoro.
La prima sfida da affrontare, secondo l’Unice, è quella della crescente
pressione sulle finanze pubbliche che, in assenza di riforme, conduce a un aumento
della pressione fiscale e del costo del lavoro. L’Ue continuerà a subire
una diminuzione della partecipazione al mercato del lavoro. Altro motivo di
preoccupazione è collegato alla diminuzione del tasso di produttività,
che spesso non si riflette nella formazione dello stipendio. Tale elemento è
indicato come una delle ragioni della mancanza di competitività dell’Europa.
L’Unice sottolinea poi l’aggravamento della mancanza di competenze in ragione
dell’invecchiamento della manodopera e dell’assenza di formule efficaci di apprendimento
e di formazione permanente.
Una risposta efficace si basa su due assi essenziali, sostengono le Confindustrie
europee: la necessità di un approccio intergenerazionale all’invecchiamento
e la revisione della prospettiva del ciclo di vita attiva. Il primo asse comprende
la riforma delle finanze pubbliche, con lo scopo di eliminare progressivamente
il deficit pubblico (al fine di non caricarne l’onere sulle generazioni future),
una maggiore efficacia dei sistemi di istruzione e formazione, come pure del
mercato del lavoro (per migliorare il tasso di occupazione dei lavoratori anziani)
e la creazione di un contesto più favorevole ai giovani imprenditori,
nonché agli imprenditori più anziani. Si fa esplicito riferimento
all’innovazione in materia di protezione sociale, con un doppio obiettivo: ridurre
l’impatto sulle finanze pubbliche ed eliminare la trappola della disoccupazione
e della povertà. La revisione essenziale del ciclo della vita attiva
è affrontata utilizzando tre elementi chiave. La formazione permanente
è definita una necessità per coloro che devono migliorare le proprie
competenze e adattarsi alle evoluzioni del mercato del lavoro. Ogni Stato membro
dovrebbe quindi rendere la formazione più attraente e flessibile. Il
secondo aspetto si focalizza sull’armonizzazione tra la vita familiare e professionale.
L’Unice critica il fatto che il Libro Verde privilegi i congedi parentali come
la soluzione fondamentale per questo aspetto: misure atte a sviluppare la disponibilità
di assistenza e cura dei bambini e scuole aperte tutto il giorno sono considerate
più promettenti per favorire i nuovi equilibri, senza influenzare negativamente
la politica sociale e il costo del lavoro.
Sul ruolo dell’Ue l’Unice sembra più prudente rispetto agli altri partner
sociali: l’Ue dovrebbe agire come «catalizzatore delle azioni nel quadro
della strategia europea per la crescita e l’occupazione» e promuovere
un dibattito in materia, in base allo scambio di esperienze vissute nei differenti
Paesi. Tuttavia, gli ingredienti del policy mix destinato ad affrontare questa
sfida possono essere determinati solo dagli Stati membri. L’accento è
relativo alla Strategia di Lisbona, al fine di migliorare le sinergie tra politiche
e processi esistenti. Le nuove linee direttrici integrate per la crescita e
l’occupazione, collegate al metodo aperto di coordinamento sulla protezione
e previdenza sociale e sull’istruzione e la formazione, sono considerate dall’Unice
importanti strumenti per il controllo e la valutazione dei progressi fatti per
l’implementazione di tali linee su scala nazionale, nonché come fonte
di ispirazione per soluzioni efficaci. Riferimento esplicito è poi fatto
al ruolo del dialogo sociale europeo e alle formule più flessibili di
organizzazione del lavoro, che devono essere accettabili sia per i lavoratori
che per le imprese.
la natura della sfida demografica
L’invecchiamento futuro della popolazione europea costituisce
una “crisi demografica” oppure un meno preoccupante “ciclo demografico”? Alcuni
recenti contributi di natura scientifica aiutano a proporre un’analisi più
approfondita.
Innanzitutto, le proiezioni a lungo termine sono instabili e discutibili. Tali
proiezioni sono normalmente fondate su un buon numero di ipotesi relative alla
produttività, al progresso tecnologico, ma anche all’occupazione, al
tasso di fecondità ecc. Se è chiaro che l’Ue sta entrando in un
nuovo regime demografico, rimane da determinare a che punto tale fenomeno è
preoccupante.
Un secondo problema riguarda l’utilizzo abusivo del rapporto di dipendenza per
esprimere la minaccia demografica gravante sulle istituzioni socioeconomiche.
Come mostra ad esempio la comunicazione della Ces, l’invecchiamento è
un fenomeno transitorio, non uno shock durevole. Inoltre, il tasso di dipendenza
legato all’età, che rappresenta un semplice indicatore dell’invecchiamento,
non fa riferimento alla proporzione della popolazione produttiva. Ignora il
numero di persone che, pur essendo in età da lavoro, non lavorano. Tenere
in considerazione la popolazione veramente attiva può offrire un utile
indicatore che riflette la capacità di una popolazione in termini di
produttività.
Si tratta del tasso di dipendenza economica.
notevoli differenze tra Stati dell’Ue
Il tasso di dipendenza economica migliorerà tra il 2003 e il 2025, successivamente
si abbasserà (rapidamente) nel corso del decennio successivo. Le due
proiezioni sono dunque contraddittorie, la prima (basata sulla percentuale di
persone anziane) è molto più allarmante. Il confronto tra vecchi
e nuovi Stati membri dell’Ue complica ancor di più la complessità
dell’analisi. I nuovi Stati membri (Ue-10) non hanno sperimentato il “baby-boom”
dell’Europa occidentale nel dopoguerra, i tassi di fecondità e di mortalità
hanno seguito evoluzioni differenti. Solo negli anni Ottanta il tasso di fecondità
ha cominciato a decrescere nei nuovi Stati membri, mentre l’aspettativa di vita
è inferiore rispetto all’Europa occidentale ed è diminuita nel
corso degli ultimi 15 anni di transizione economica. Di conseguenza, i dati
recenti mostrano delle differenze tra le varie parti dell’Ue. Nel 2003, ad esempio,
l’aspettativa di vita alla nascita era di 76 anni nell’Ue-15 e di 70,5 anni
nell’Ue-10. I tassi di fecondità erano di 1,52 nell’Ue-15 e di 1,29 nell’Ue-10,
mentre il rapporto di dipendenza delle persone anziane era di 25,2 nell’Ue-15
e di 19,4 nell’Ue-10. Sebbene le tendenze siano in generale simili, le variazioni
presenti e future rimangono.
diversi livelli di protezione sociale
Un’altra differenza è quella relativa alle spese in termini di prestazione
sociale (e di condizioni sociali) nelle differenti parti dell’Ue. Nel 2003,
le spese pubbliche per la protezione sociale si attestavano, in media, sul 28%
del Pil nell’Ue-15, mentre la percentuale era del 18% nell’Ue-10. Tali differenze
permettono di introdurre un’altra dimensione relativa alla questione demografica:
i programmi di protezione sociale non sono uguali negli Stati dell’Ue. La loro
generosità, il livello di protezione, ma anche i metodi di finanziamento,
così come gli strumenti istituzionali e altre caratteristiche, variano
da Paese a Paese, e varia l’interazione di tali programmi con la politica dell’occupazione
o quella del mercato del lavoro. L’impatto delle nuove tendenze demografiche
sarà pertanto variabile a seconda del modello. Per i Paesi che offrono
una protezione meno forte, l’invecchiamento avrà conseguenze sulla potenzialità
finanziaria dei programmi di sicurezza sociale (come le pensioni e l’assistenza
sanitaria), ma anche sull’adeguamento e l’efficacia dei regimi di protezione
sociale, dei contributi e dei servizi.
Fonte: Commissione europea, novembre 2005
MITI E REALTÀ SUL FUTURO DEL WELFARE
Organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale e l’Ocse hanno più
volte definito l’invecchiamento come una sfida per la crescita economica e per
le potenzialità finanziarie dei programmi di protezione sociale. L’argomentazione
presentata è che una popolazione che invecchia porta con sé maggiori
pressioni di bilancio, con un impatto diretto sulle spese di conservazione del
reddito: i costi legati alle pensioni, le spese sanitarie e i servizi di assistenza
dovrebbero crescere rapidamente.
Meno allarmista uno studio sul futuro del Welfare pubblicato nel 2004 da Francis
Castles, dell’Oxford University, che invece di utilizzare previsioni basate
su modelli economici e su ipotesi ha esaminato l’impatto avuto dalle evoluzioni
demografiche sulle spese di sicurezza sociale nel corso di tre decenni (1965-1995).
In tale periodo, il numero di persone anziane (oltre i 65 anni) dei Paesi dell’Ocse
è aumentato del 4,3%. Sebbene l’aumento passato sia inferiore a quello
previsto nel prossimo futuro, esso rappresenta un buon esempio per valutare
l’impatto concreto dell’invecchiamento. Si osserva così che parallelamente
all’aumento della popolazione anziana, la crescita media della spesa pubblica
per le pensioni è stata di circa l’1,9% del Pil, cioè il 16% della
variazione totale delle spese sociali. Se si suppone che il rapporto di variazione
delle spese pensionistiche in relazione all’invecchiamento della popolazione
rimanga costante nel corso del periodo 2000-2030, il livello medio delle pensioni
nei Paesi Ocse dovrebbe salire fino al 3,8% del Pil. Tra il 1965 e il 1995,
la metà della variazione della spesa pubblica era dovuta all’invecchiamento,
il resto era un effetto della copertura e della generosità dei programmi
pubblici. In altre parole, le decisioni sul tipo di istituzione, i meccanismi
di finanziamento e le condizioni di eligibilità sono determinanti quanto
l’invecchiamento. Tali elementi tenderebbero a provare l’esistenza di uno stretto
legame tra evoluzioni demografiche e spese pensionistiche, ma sono lontane dal
dimostrare che l’invecchiamento avrà effetti molto preoccupanti nei prossimi
decenni.
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