Inserto n. 42:
Welfare e demografia


il modello sociale europeo
nell’Europa che invecchia

Tutti gli studi sulle tendenze demografiche europee evidenziano un costante e inesorabile invecchiamento della popolazione. Un dato importante, che dimostra il successo dei sistemi di Welfare e del cosiddetto modello sociale europeo in termini di ricaduta positiva sulla qualità della vita dei cittadini europei, ma che contemporaneamente crea una serie di esigenze e problemi da affrontare fin da ora per evitare gravi conseguenze socio-economiche in prospettiva futura. Infatti, l’effetto combinato del basso tasso di fecondità, dell’allungamento dell’aspettativa di vita e dell’uscita dal mercato del lavoro di un elevato numero di cittadini europei (la generazione del “baby-boom”), metterà sotto forte pressione le istituzioni europee e quelle nazionali in tutti gli Stati membri dell’Unione europea.
Nel marzo 2005, la Commissione europea aveva pubblicato un Libro Verde dedicato a questa problematica, contributo che ha suscitato un ampio dibattito sull’impatto presente e futuro delle evoluzioni demografiche in relazione alla potenzialità del modello sociale europeo e sulla plausibilità di quello che è stato definito da più parti come “allarme demografico”, questioni sulle quali si sono espressi tutti i principali attori europei che operano nel campo dell’azione politica che si occupa di demografia. La Commissione ha inoltre integrato la sua riflessione con varie comunicazioni dedicate all’invecchiamento della popolazione, all’evoluzione della fecondità, all’immigrazione e all’inserimento dei lavoratori più giovani, delle lavoratrici e dei lavoratori anziani. In generale, mentre il Libro Verde evoca una «crisi demografica» e sottolinea la necessità di un vasto rinnovo delle regole alla base del mercato del lavoro, dei programmi di protezione sociale, dell’insegnamento e della formazione nonché di altri settori di azione politica, le parti sociali e le organizzazioni della società civile hanno sottolineato altre dimensioni della questione.

trasformare il problema in risorsa


La Confederazione europea dei sindacati (Ces) e la Federazione europea dei pensionati e delle persone anziane (Ferpa), ad esempio, ritengono che si debba affrontare non tanto una crisi demografica quanto piuttosto un nuovo ciclo demografico, che crea sia tensioni sia opportunità per la società. L’invecchiamento demografico, aggiungono le due organizzazioni europee, è il risultato del grande successo del modello sociale europeo, delle sue istituzioni e dei suoi valori, pertanto la necessità è di modernizzare le istituzioni sociali, economiche e del lavoro, piuttosto che rivederne (e ridurne) radicalmente le ambizioni. Sono quindi proposte alcune linee d’azione da implementare a breve termine: più posti di lavoro di migliore qualità, un mercato del lavoro che sia più inclusivo (in particolare per giovani, donne e lavoratori anziani), un’istruzione e una formazione efficaci, una società più aperta a tutti. Secondo i sindacati e i pensionati europei, il carattere multidimensionale della sfida richiede un approccio globale basato sull’interazione tra i settori di azione politica e il livello di governance.
Poiché si tratta di programmi di protezione sociale, tutti gli attori sottolineano la doppia necessità di razionalizzare tali programmi e nel contempo di migliorarli. La spesa sociale deve essere considerata come un investimento e non come un costo, oppure un onere, che pesa sulla competitività economica.

eccessivo allarmismo

Dal dibattito europeo emerge come l’invecchiamento influenzi sicuramente le istituzioni socio-economiche, tuttavia, il confronto tra le statistiche relative alle esperienze del passato e le proiezioni future mostra un impatto meno radicale e più gestibile. Alcuni studi e ricerche mostrano infatti che non esistono prove irrefutabili di una massiccia crisi finanziaria dei regimi di sicurezza sociale. Innanzitutto, le tendenze negative riguardanti il rapporto di dipendenza delle persone anziane non si accompagneranno automaticamente ad un equivalente impatto negativo sul rapporto di dipendenza economica. Almeno nel medio termine (fino al 2025), il rapporto tra la popolazione attiva e quella non attiva sarà lungi dal diminuire, anzi, dovrebbe migliorare. Inoltre, le tendenze comuni all’interno dell’Ue non devono nascondere l’esistenza di considerevoli differenze a livello nazionale e sovranazionale. Le sfide, attuali e future, dipendono poi da alcune variabili quali il tasso di fecondità, l’aspettativa di vita e sopratutto l’adeguamento delle politiche sociali. Così, in alcuni Paesi, dove il regime di protezione sociale è molto meno sviluppato, il rischio è sempre più focalizzato su enormi problemi di coesione sociale piuttosto che sulle potenzialità finanziarie dei bilanci di sicurezza sociale.
Inoltre, esaminando la precedente evoluzione delle spese di sicurezza sociale (piuttosto che fare delle previsioni), il processo di invecchiamento demografico non ha avuto un impatto eccessivamente forte sulla spesa sociale. La demografia ha un impatto diretto sulle pensioni, ma non si osservano effetti così evidenti per altre spese sociali quali l’assistenza sanitaria. Le preoccupazioni espresse devono dunque essere ricontestualizzate. Soprattutto, dal dibattito europeo emerge la necessità che le inevitabili riforme vadano di pari passo con le innovazioni rivolte agli aspetti quantitativi e qualitativi dei programmi sociali, incidendo sia sulla loro potenzialità finanziaria che sulla loro adeguatezza sociale. Chi dovrà prendere le decisioni del caso dovrà quindi tener conto delle varie posizioni per definire strategie di riforma efficaci e condivise.

Il materiale contenuto in questo inserto è tratto dal Bilan social de l’Union européenne 2005. Septième rapport annuel, pubblicato dall’Osservatorio sociale europeo (OSE) con sede a Bruxelles.
INFORMAZIONI: Osservatorio sociale europeo, rue Paul Emile Janson 13 - 1050 Bruxelles; tel. +3202/5371971 - fax: +3202/5392808 - E-mail: info@ose.be - sito web: http://www.ose.be

il Libro Verde sui cambiamenti demografici

Al fine di promuovere un ampio dibattito a livello europeo sui cambiamenti demografici e sulle strategie necessarie per affrontare l’invecchiamento della popolazione, nel marzo 2005 la Commissione europea aveva pubblicato un Libro Verde intitolato Una nuova solidarietà intergenerazionale per far fronte ai cambiamenti demografici. Esaminando dettagliatamente la situazione attuale e le previsioni per il breve e medio periodo, l’esecutivo europeo ha così espresso il suo parere sia sui problemi posti dalle tendenze demografiche sia sulle soluzioni politiche socio-economiche da adottare prioritariamente.

crescita economica senza “motore demografico”?


Secondo la Commissione, i cambiamenti demografici sono il risultato di tre fenomeni principali. La prima dinamica riguarda il prolungamento dell’aspettativa di vita dovuto ai progressi fatti in termini di qualità media dell’assistenza sanitaria, nonché in termini di qualità della vita, in tutti gli Stati membri dell’Ue. Si tratta di un successo storico del Welfare a livello europeo, che sfocia però in una situazione di nuovo equilibrio (problematico) tra generazioni, con un sempre maggior numero di anziani e, pertanto, un aumento della popolazione non attiva.
Il rapporto di dipendenza demografica, vale a dire il rapporto tra la popolazione di età inferiore ai 15 anni o che abbia compiuto almeno 65 anni, da un lato, e la popolazione compresa tra i 14 e i 64 anni, dall’altro, passerà dal 49% del 2005 al 66% nel 2030. In particolare, nel periodo 2005-2050, la fascia di età tra 55 e 65 anni (cioè i lavoratori anziani) aumenterà dell’8,7 %, mentre il numero di individui nella fascia di età compresa tra 65 e 79 anni (le persone anziane) raggiungerà il 44%, e quello delle persone molto anziane (aventi almeno 80 anni) aumenterà di una percentuale pari al 180% (vedi tabella in questa pagina).
Il secondo fattore che contribuisce alla “crisi demografica” è rappresentato dalla crescita ininterrotta dei lavoratori con più di 60 anni (perlomeno fino al 2030), dovuta all’invecchiamento della generazione comunemente definita “del baby-boom”. Questa generazione è particolarmente numerosa e nel momento in cui arriverà all’età della pensione l’equilibrio tra la popolazione attiva e la popolazione non-attiva ne sarà influenzato negativamente.
Inoltre, il basso tasso di natalità influenzerà anche la dinamica della popolazione. Un certo numero di elementi, come la difficoltà a trovare un lavoro, il costo degli alloggi, delle nuove scelte di studio, di vita professionale e di vita familiare, hanno contribuito a portare il tasso di fecondità molto più in basso rispetto alla soglia di ricambio generazionale (che è 2,1 figli per donna). La situazione più sfavorevole si registra nei Paesi dell’Europa meridionale, dove il tasso di ricambio si attesta intorno a 1,3 figli per donna, mentre il livello medio dei Paesi dell’Ue è di 1,5.
Con tali premesse è possibile prevedere, per il periodo 2005-2050, una diminuzione del numero dei bambini di età inferiore ai 14 anni nell’ordine del 19,4%, parallela a una tendenza ancora più negativa per chi ha tra 14 e 24 anni (-25%) e per i giovani tra 25 e 39 anni (-25,8 %). Conseguentemente, la popolazione totale della Unione europea dovrebbe registrare una debole crescita fino al 2025, per poi iniziare a decrescere. La popolazione attiva (da 15 a 64 anni) diminuirà di 20 milioni di unità tra il 2005 ed il 2030, cosa che si prevede comporterà una diminuzione della crescita potenziale del Pil nei Paesi dell’Ue dal 2-2,25% all’1,25% nel 2040. Una tendenza che la Commissione prevede essere simile anche nei nuovi Stati membri.
Secondo il Libro Verde, l’effetto combinato di queste dinamiche rappresenterà una sfida enorme per l’attuale modello sociale europeo. L’Unione europea, sostiene infatti la Commissione, non ha più un “motore demografico”, dato preoccupante perché «nella Storia non si è mai vista una crescita senza culle».

una nuova solidarietà tra generazioni

Per affrontare questi problemi alla radice, l’Ue deve «inventare nuovi percorsi per valorizzare il potenziale di crescita rappresentato dalle giovani generazioni e dai cittadini più anziani» sostiene la Commissione europea, che nelle annotazioni preliminari del Libro Verde focalizza l’attenzione sulla Strategia di Lisbona in quanto strumento importante per affrontare una simile sfida. Sarà necessario introdurre delle riforme per aumentare il numero di persone che svolgono un lavoro (in particolare le donne, i giovani e le persone più anziane), per migliorare l’innovazione e la produttività e per modernizzare i programmi di protezione sociale. Inoltre la famiglia, in quanto istituzione che gioca un ruolo fondamentale per la promozione della solidarietà intergenerazionale, ha una funzione molto importante da assolvere al fine di aumentare il tasso di fecondità e aiutare a conciliare vita e lavoro.
La prima misura prevista dal Libro Verde è rappresentata dalle nuove politiche mirate ad aumentare il tasso di fecondità. Benché tale tasso sia molto basso in Europa e insufficiente ad assicurare il ricambio generazionale, alcune indagini hanno mostrato che gli europei desidererebbero avere più figli rispetto a quelli che hanno realmente. Nuove misure di sostegno dovrebbero quindi favorire l’aumento del tasso di natalità grazie a un accesso più rapido al mercato del lavoro, a una maggiore stabilità del lavoro, a una diminuzione dei costi degli alloggi, nonché a un aumento delle prestazioni a favore delle famiglie.
L’immigrazione proveniente da Paesi extra-Ue potrà poi contribuire in modo rilevante ad attenuare l’impatto dell’evoluzione demografica negativa, avendo, come obiettivi fondamentali, il rafforzamento della popolazione in generale e, in particolare, l’offerta di mano d’opera. Già in occasione del Consiglio europeo di Salonicco nel 2003, l’Ue aveva avanzato la proposta di una politica comune di integrazione per gli immigrati, per affrontare le sfide dell’economia grazie a una gestione efficace e trasparente dei meccanismi di ammissione per i cittadini di Paesi terzi, nonché alla definizione della decisione relativa all’inclusione dei migranti nelle società di accoglienza.
La terza strategia privilegiata dalla Commissione verte su «una migliore integrazione dei giovani». Benché un miglioramento a livello dell’istruzione e della formazione debba essere tradotto in un aumento della produttività, i giovani rappresentano una risorsa sottostimata in Europa. Alcuni indicatori mostrano gli attuali limiti di questa situazione: nel 2004, il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni si attestava su una percentuale superiore al 17%, contro il 7% per le persone con più di 25 anni. Il rischio di povertà era del 19% per la fascia di età compresa tra i 16 e i 24 anni, contro il 12% per la fascia di età dai 25 ai 64 anni e il 17% per le persone con più di 65 anni. Al fine di sradicare queste forme di esclusione, i sistemi scolastici e di formazione superiore dovrebbero incrementare il livello di istruzione e di formazione e contribuire a ridurre il numero di giovani che abbandonano gli studi troppo presto oppure senza qualifica. Dovrebbero essere fatti degli sforzi supplementari nel settore della formazione in alternanza al lavoro, nonché della formazione professionale, al fine di soddisfare le necessità di cambiamento delle forze economiche. I partner sociali, i poteri pubblici e gli attori locali devono migliorare l’integrazione di tali misure in favore dell’integrazione dei giovani.

prolungare la vita attiva


La rapida trasformazione della popolazione attiva, con il ruolo sempre maggiore dato all’esperienza e alle competenze dei lavoratori più anziani, dovrebbe favorire un nuovo approccio al “ciclo della vita attiva”. La Commissione considera un obiettivo essenziale l’aumento del tasso di occupazione delle persone con più di 55 anni d’età. Tale obiettivo si può raggiungere mettendo a punto un certo numero di strategie: un’organizzazione dell’orario di lavoro più flessibile, nuovi sviluppi tecnologici che permettano di migliorare la qualità dell’occupazione e dell’ambiente di lavoro. La definizione di strategia di apprendistato permanente e l’aumento dell’età pensionabile sono presentati come possibili soluzioni. Si tratta di quello che la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ha definito (nel 2005) come un nuovo approccio al “ciclo di vita” in materia di politica sociale e di occupazione. Il numero sempre crescente di anziani dovrebbe rappresentare un’opportunità, ma, allo stesso tempo, anche un onere. L’opportunità è collegata al miglioramento dello stato di salute delle persone anziane (in particolare tra i 65 ed i 79 anni), che si traduce in un maggior consumo di beni e servizi, in una maggiore mobilità all’interno dell’Europa, nonché in nuove opportunità di prestazione di servizi alle generazioni più giovani (bambini e nipoti).
La riforma dei regimi pensionistici dovrebbe definire delle “passerelle” più favorevoli e più flessibili dalla vita lavorativa alla pensione. In questa prospettiva, il tasso di occupazione della fascia d’età tra i 65 e 74 anni (che nel 2003 si attestava al 5,6% nell’Ue contro il 18,5% negli Usa) dovrebbe aumentare grazie alle nuove opportunità che permettono di unire un impiego a tempo parziale e la rendita della pensione. Tuttavia, l’onere futuro dell’invecchiamento si riferisce, in modo particolare, al numero sempre crescente di persone molto anziane (con un’età superiore agli 80 anni); tale numero passerà da 18,8 milioni a 35 milioni nel 2030. Questa parte della popolazione europea necessiterà di cure appropriate, in particolare di cure intensive. Le famiglie non sono in grado di assicurare da sole tali servizi, avranno pertanto bisogno del supporto della rete di solidarietà all’interno delle comunità locali.

gli strumenti a disposizione


Dopo aver dato indicazioni in relazione alle misure essenziali da realizzare, la Commissione esamina i principali strumenti a disposizione dell’Ue: nuove disposizioni legali, ma anche strumenti finanziari come i Fondi strutturali. Il dialogo sociale, il dialogo con la società civile e il Metodo aperto di coordinamento (Moc) saranno elementi che giocheranno, anch’essi, un ruolo strategico.
Attualmente le linee direttrici di politica economica e il Patto di stabilità e crescita esaminano già l’impatto dell’invecchiamento sulle finanze pubbliche. La Strategia europea per l’occupazione (See) e la politica di istruzione e formazione professionale stanno già lavorando per contrastare l’abbandono scolastico e per aumentare il livello della formazione iniziale dei giovani, nonché per promuovere un invecchiamento attivo e migliorare la qualità dell’occupazione. Il Moc, relativo alla protezione sociale e all’inclusione sociale, ha fissato gli obiettivi essenziali della riforma del sistema pensionistico e delle politiche miranti a sradicare la povertà infantile e delle famiglie. Anche l’integrazione della dimensione di genere è stata uno stimolo per varie iniziative politiche affinché si rispettassero le pari opportunità tra uomo e donna: il dialogo sociale, ad esempio, ha concluso degli accordi relativi ai congedi di maternità e di paternità, al lavoro a tempo parziale, che devono essere trasposti per mezzo di direttive. Seguendo una più ampia prospettiva, dal 2000 un quadro legislativo specifico copre tutte le forme di discriminazione in materia di occupazione. Infine, il Fondo sociale ha sostenuto la See, mentre il Fondo di sviluppo regionale ha promosso lo sviluppo dell’assistenza all’infanzia e una migliore “gestione dell’età” all’interno delle imprese. Inoltre, il programma quadro di ricerca sostiene i progetti collegati all’invecchiamento, come ad esempio la ricerca clinica e gli studi demografici.


Fonte: Commissione europea, marzo 2005


le posizioni dei partner sociali europei

Il Libro Verde della Commissione europea ha offerto l’opportunità di un’ampia consultazione dei principali attori sociali coinvolti in vario modo dall’impatto dell’invecchiamento della popolazione europea. Il documento ha infatti presentato 35 punti aperti relativi a tutti i maggiori problemi derivanti dalla nuova situazione demografica prevista. La Commissione ha successivamente organizzato una conferenza europea, nel corso della quale sono state presentate le risposte e le posizioni espresse dai partner sociali europei e della società civile (vedi tabella riassuntiva). Tali risposte, che illustriamo brevemente di seguito, hanno contribuito ad arricchire l’analisi dei cambiamenti demografici attraverso argomentazioni particolarmente diversificate e, talvolta, opposte a quelle della Commissione.

Ces: ciclo demografico, non crisi


Il contributo al dibattito elborato dal comitato esecutivo della Ces ha riguardato innanzitutto il rischio di esagerazione della sfida demografica. La Ces vede nell’attuale situazione un ciclo prevedibile, che presenta dei rischi ma anche delle opportunità. Inoltre, le proiezioni della Commissione non rappresentano i dati reali e non possono pertanto essere utilizzate per giustificare delle soluzioni politiche globali. Se il Libro Verde affronta alcuni fattori e relative conseguenze delle tendenze demografiche (come le politiche di previdenza sociale, il conciliare vita professionale e vita familiare ecc.), esistono altri aspetti che sono sotto-analizzati, sostiene la Ces.
Una prima preoccupazione espressa dai sindacati europei riguarda la necessità di nuove politiche del mercato del lavoro. Misure che permettano di combinare lavoro e pensione, un’organizzazione innovatrice del lavoro, la riduzione degli ostacoli alla mobilità regionale e il miglioramento delle condizioni di lavoro: tutto ciò può essere adottato tramite un intervento legislativo, l’attivazione di risorse dei fondi strutturali, ma anche - e sopratutto - tramite il dialogo sociale.
Un secondo problema riguarda l’impatto dell’invecchiamento sui sistemi di previdenza sociale (Welfare). In questo senso, l’approccio proposto dalla Ces è in contrasto con quello di altri attori influenti. Le tensioni finanziarie relative alle pensioni e alle altre politiche sociali sono definite come la conseguenza delle recenti misure introdotte in molti Paesi per ridurre i contributi sociali, piuttosto che come conseguenza delle tendenze demografiche. Inoltre, la debolezza del tasso di occupazione, sia tra i giovani che tra gli anziani, contribuisce a ridurre le risorse della previdenza sociale. La strategia principale consiste quindi nel rivedere i metodi di finanziamento dei programmi di previdenza sociale, focalizzandosi sempre più sui benefici alle imprese piuttosto che sul lavoro, al fine di proteggere gli obiettivi sociali fondamentali dei sistemi di Welfare: vale a dire migliorare la coesione sociale e la solidarietà.
Un altro strumento politico è quello dell’immigrazione.
I responsabili delle decisioni politiche a livello nazionale ed europeo dovrebbero interagire con i partner sociali per sviluppare delle politiche pro-attive di accesso, residenza e protezione dei lavoratori immigrati, al fine di affrontare i problemi che possono scaturire dai flussi migratori.
La mancanza di eguali opportunità tra i sessi è un altro problema centrale che deve essere affrontato tenendo in considerazione le evoluzioni demografiche negative. Le donne rappresentano, in effetti, una riserva di manodopera sottoutilizzata, una risorsa essenziale di cura formale ed informale per i bambini e gli anziani e, nel contempo, si chiede loro di fare sempre più figli e di ricoprire un ruolo ben definito all’interno dell’invecchiamento demografico. La soluzione proposta dai sindacati europei consiste nello sviluppare l’occupazione femminile parallelamente ai servizi e alle infrastrutture di alta qualità, in modo tale da facilitare l’armonizzazione tra la vita professionale e la vita familiare. L’esperienza dei Paesi scandinavi dimostra che questi fattori sono collegati a un elevato tasso di fecondità. Una nuova suddivisione delle responsabilità tra i partner, in seno alle istituzioni familiari, deve pertanto essere facilitata da disposizioni relative al congedo di maternità e di paternità, alla cura e all’accoglienza, alla possibilità di un’organizzazione del lavoro flessibile, nonché da forme più universali di accesso alle infrastrutture di cura e accoglienza.
La Ces identifica le priorità al fine di delineare un contratto intergenerazionale equo. Le questioni della sicurezza, della stabilità e della qualità dell’occupazione sono le più urgenti. Come sottolineano le statistiche, per i due terzi dei giovani europei occupazione significa un lavoro a breve termine, a tempo parziale, stagionale o informale. Da ciò scaturiscono importanti conseguenze che si ripercuotono sulla vita quotidiana in termini di dipendenza finanziaria nei confronti dello Stato e/o dai genitori o di decisione di posticipare la scelta di vivere con il proprio partner e di creare una famiglia. Incoraggiare i giovani a diventare indipendenti significa prendere delle misure atte a prevenire l’abbandono scolastico, migliorare le possibilità di trovare una buona occupazione e di accedere alla protezione sociale.
Gli anziani, poi, rappresentano una fonte di opportunità per sviluppare nuova occupazione che sia di qualità migliore, legata alla necessità di servizi di cura e accoglienza, vista l’impossibilità da parte delle famiglie di fornire tutte le cure necessarie.
A livello di Ue, la Strategia di Lisbona (centrata sulla crescita, l’occupazione, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile) deve essere considerata come l’agenda in funzione della quale trattare tutte le sfaccettature del nuovo ciclo demografico. Tale Strategia può essere realizzata utilizzando strumenti vari. Si fa specifico riferimento ai Fondi strutturali e alla rete Eures (programma europeo di mobilità dell’occupazione), strumento che deve essere ottimizzato, nonché alla Strategia europea per l’occupazione e al dialogo sociale.

Ferpa: una società per tutte le età

La Federazione europea dei pensionati e delle persone anziane (Ferpa) è uno degli attori naturalmente più interessati alle evoluzioni demografiche. La sua posizione è sintetizzabile nel concetto di «una società per tutti» all’interno di un contesto demografico in cambiamento, con una decisa opposizione a qualsiasi forma di esclusione che possa colpire sia i lavoratori sia i pensionati.
La Ferpa critica il Libro Verde perché esso non sottolinea adeguatamente le opportunità dell’invecchiamento demografico evocandone invece sopratutto i pericoli: «I pensionati e le persone anziane rappresentano una risorsa per la società, non un peso da supportare e da colpevolizzare». È quindi proposta una prospettiva multidimensionale, in alternativa all’interpretazione unidimensionale della demografia vista come un problema rappresentato da un basso tasso di fecondità e da un aumento del numero di anziani tra la popolazione. L’aumento dell’aspettativa di vita rappresenta un cambiamento di grande entità, che offre la possibilità di integrare meglio le persone anziane nelle attività economiche e sociali. In questo senso, la Ferpa sottolinea il grande contributo apportato dalla seconda Assemblea mondiale sull’invecchiamento (aprile 2002) e dalla Conferenza di Berlino organizzata, sempre nel 2002, dalla Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa (Ceune).
Gli obiettivi prioritari definiti dalla Ferpa sono: creare una società per tutte le età, rafforzare la solidarietà intergenerazionale, promuovere un livello elevato di qualità di vita e salute, mirare alla piena occupazione. Tali obiettivi sono definiti come trasversali, nella misura in cui devono essere implementati tramite misure coerenti riguardanti i sistemi di protezione sociale, ma anche l’occupazione, l’organizzazione del lavoro, la formazione permanente ecc.
Per ottenere una più equa ripartizione delle responsabilità familiari e domestiche, sottolinea la Federazione europea, deve esserci un’azione concertata tra i vari attori. La famiglia è riconosciuta come prima prestatrice di accoglienza e di cure alle persone anziane e ai bambini, ma essa ha bisogno del sostegno di un sistema di servizi più esteso: assicurare la continuità delle cure e il supporto rappresenta un dovere sociale. In questo contesto, «il riproporre un ruolo tradizionale della famiglia e delle donne sarebbe un errore grave, in quanto questo tipo di famiglia non esiste più e le donne vogliono ricoprire un nuovo ruolo nella società». Al contrario, un dialogo costruttivo tra istituzioni, prestatari di servizi sociali, associazioni di pazienti e associazioni familiari, operanti a livello locale, regionale e nazionale, sarà determinante per assicurare l’efficacia della politica del sistema di assistenza e cura e dei servizi. I poteri pubblici sono invitati a supportare le famiglie che desiderano occuparsi dei propri membri. È necessario prevedere un sostegno finanziario a chi si occupa di questi servizi a livello familiare, dovrebbero essere inoltre previste un’estensione dei diritti pensionistici per le attività di cura e per una formazione specifica. La Ferpa definisce la realizzazione di un sistema completo di servizi sociali come un investimento anziché un costo, in grado di assicurare il rispetto dei diritti sociali delle persone dipendenti e di offrire, allo stesso tempo, una nuova occupazione di qualità per le generazioni più giovani.
È proposto, inoltre, un ruolo «pro-attivo» per le persone anziane all’interno della pianificazione dell’assistenza sociale e delle cure. La popolazione anziana dovrebbe essere considerata come una risorsa, perché ha un ruolo chiave come acquirente di beni e servizi. Conseguentemente, il reddito dei pensionati dovrebbe essere protetto, in particolare utilizzando degli stimoli fiscali diretti alle innovazioni tecnologiche (come la telemedicina) per migliorare la qualità della vita di queste persone. Gli anziani, poi, sono particolarmente attivi nel volontariato, in seno alla famiglia (in particolare in favore dei bambini) e all’interno del più ampio contesto sociale (in associazioni senza scopo di lucro). Con la preoccupazione di mantenere l’accesso universale alla previdenza sociale, i sistemi pubblici pensionistici e di assistenza sanitaria devono essere migliorati, sostiene la Ferpa, prestando una particolare attenzione alla lotta contro la povertà e allo sviluppo della prevenzione delle malattie e delle cure palliative. I poteri pubblici, a tutti i livelli, devono migliorare le opportunità di partecipazione delle persone anziane alla vita sociale: attività di volontariato mirate alla cure e all’assistenza, ma anche formule di istruzione non ufficiale e di formazione permanente, sono esempi di attivazione sociale (e non solo economica) in senso più ampio.
Anche la scuola potrebbe promuovere attività congiunte di formazione, in occasione delle quali i professori in pensione potrebbero fungere da tutori dei giovani studenti. Il dialogo sociale e le nuove forme di dialogo con la società civile dovrebbero essere implementate per aumentare la partecipazione delle persone con un’età di almeno 55 anni alla vita della popolazione attiva, investire nelle risorse umane e introdurre delle formule flessibili che permettano di combinare il lavoro a tempo parziale e una pensione.
In relazione al ruolo presente e futuro dell’Ue, la Ferpa si concentra su alcune linee d’azione essenziali. La prima supporta gli incentivi fiscali, e in particolare un tasso ridotto di Iva (settore di competenza dell’Ue) per aiutare le famiglie a fornire cure e favorire la solidarietà tra le generazioni. I Fondi strutturali dovrebbero anche fungere da supporto per la formazione permanente e per l’utilizzo di nuove tecnologiche contro le varie forme di esclusione sociale. Secondo la Ferpa, l’Ue dovrebbe anche favorire un vasto scambio di buone pratiche, in particolare grazie al piano d’azione Urban mirante all’organizzazione dei servizi sociali a livello locale. La Commissione è quindi invitata a definire forme specifiche di dialogo con la società civile e di dialogo sociale: si tratta di un elemento essenziale per lo sviluppo economico e sociale dell’Europa. Il metodo aperto di coordinamento dovrebbe migliorare la formazione basandosi su norme minime di qualità, in particolare in materia di cure sanitarie e di assistenza di lunga durata.

Age: le proposte della società civile


La Piattaforma europea delle persone anziane (Age) è una delle Ong più attive nel settore della politica sociale e, in particolare, delle condizioni delle persone anziane. Nel 2005, l’organizzazione ha contribuito al dibattito consultando i propri membri nazionali e organizzando un seminario al Parlamento europeo, con la partecipazione dell’intergruppo Invecchiamento e di altre Ong coinvolte, come il Forum europeo della gioventù e la Lobby europea delle donne. Da questo lavoro è stata elaborata una risposta al Libro Verde, con alcuni commenti critici preliminari relativi all’approccio scelto dalla Commissione. Innanzitutto, la risposta alle sfide demografiche deve essere realista senza cedere all’allarmismo sottinteso. Come già la Ferpa, anche l’Age definisce l’invecchiamento «uno degli adempimenti più grandi dell’evoluzione sociale ed economica recente dell’Europa». Si rende necessario un approccio più ampio delle evoluzioni demografiche, che tenga conto degli effetti quantitativi (aumento delle spese di protezione sociale ecc.) e, allo stesso tempo, qualitativi (la trasformazione di istituzioni sociali ecc.), che si coniughi con un’analisi più sottile dell’evoluzione e della diversità della popolazione anziana, facendo una chiara distinzione tra le persone anziane (65-79 anni) e le persone molto anziane (80 o più).
Secondo l’Age, l’allungamento dell’aspettativa di vita non rappresenta un problema in sé, ma la conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e dei progressi della medicina. Le proiezioni demografiche presentate dalla Commissione non tengono conto del prevedibile impatto dello stress, dell’inquinamento ambientale e dei rischi collegati allo stile di vita dei giovani (obesità, cancro, abuso di droghe, alcool e tabacco). Ciò significa che le proiezioni variano in funzione delle ipotesi sulle quali si basano. Un altro commento critico espresso dall’Age riguarda la risposta più efficace all’invecchiamento della popolazione. In questo senso, la Piattaforma europea sottolinea l’importanza di due concetti: la scelta e la fiducia. Da un lato, i cittadini devono poter realmente scegliere come conciliare lavoro e vita familiare grazie alle politiche dell’occupazione e a politiche sociali adeguate. D’altra parte, ciò è possibile solo instaurando una fiducia che permei tutti i programmi di sicurezza sociale al fine di garantire la sicurezza ai cittadini durante la vecchiaia.
Sono proposte le seguenti misure: rafforzamento dei dispositivi di cura e assistenza dei bambini e delle persone anziane; compensazione finanziaria per la responsabilità legata all’assistenza (ad es. riconoscimento dell’assistenza e diritto alla pensione per gli operatori informali); supporto e formazione per gli operatori informali; sviluppo di strutture di cura per le persone anziane al fine di promuovere l’occupazione in questo settore.
L’Age sottolinea anche la problematica dell’immigrazione: i migranti non possono essere considerati come una semplice componente economica; al contrario, la dimensione sociale del fenomeno e i bisogni degli individui e delle famiglie devono essere tenuti in considerazione dai responsabili politici per evitare il pericolo di creare cittadini “di serie B”. In questa prospettiva, una politica comune dell’immigrazione deve offrire lo stesso livello di protezione alla popolazione immigrata e ai cittadini dell’Ue e deve affrontare e risolvere due questioni essenziali: lo sfruttamento della manodopera immigrata (in termini di livello di retribuzione, di status o di condizioni di lavoro) e il rischio di una fuga di cervelli e di perdite economiche nei Paesi d’origine.
Sono quindi identificate varie strategie per creare la solidarietà tra generazioni. La prima linea d’azione si focalizza sull’integrazione sociale ed economica dei giovani. Il miglior modo per evitare la povertà negli anni della vecchiaia è di esercitare un lavoro ben pagato durante la vita attiva, in buone condizioni di impiego. La seconda linea d’azione vuole rendere la formazione accessibile a coloro che ne hanno più bisogno (giovani, donne, lavoratori anziani), parallelamente a dispositivi più flessibili di organizzazione del lavoro, che potrebbero soddisfare le richieste dei lavoratori (ad es. tutoraggio, pensionamento progressivo ecc.). L’Age propone di innalzare l’età media pensionabile ricorrendo a incentivi e non a una soglia obbligatoria. Un numero significativo di persone anziane (sopratutto donne) deve affrontare una situazione di povertà e di esclusione sociale. Questo problema rischia di aggravarsi in futuro a causa di una carriera più frammentata, nonché di recenti riforme che modificano il metodo di calcolo delle pensioni di anzianità e si basano sempre di più su una media calcolata sull’insieme della carriera e non sugli “anni migliori”.
In relazione al ruolo delle istituzioni europee, la risposta di Age sottolinea la necessità di discutere dei cambiamenti demografici e della solidarietà tra generazioni a livello europeo, in quanto problemi con un enorme impatto sulle politiche di competenza dell’Ue. L’Age chiede un maggiore coordinamento tra le politiche economiche, dell’occupazione e della protezione sociale, nonché dell’immigrazione, dei trasporti, dell’alloggio, della ricerca e dell’istruzione. Le iniziative del tipo Equal potrebbero contribuire ad approcci innovativi miranti a prolungare la vita attiva, nonché focalizzati sui giovani e, al tempo stesso, sui lavoratori anziani. Far sì che il lavoro paghi, non è considerato un passo sufficiente per affrontare le mutazioni del mercato del lavoro: l’Ue deve creare un maggior numero di posti di lavoro di qualità.
L’Age raccomanda poi alla Commissione la pubblicazione di un Rapporto annuale concernente la risposta dell’Ue ai cambiamenti demografici, documento che riassumerebbe le misure prese dagli Stati membri e dalle istituzioni europee. Tale Rapporto dovrebbe essere discusso in occasione di una tavola rotonda annuale sul cambiamento demografico alla quale parteciperebbero le parti coinvolte, tra i cui i responsabili politici nazionali e il Parlamento europeo. Un processo che ha lo scopo di contribuire alla preparazione dell’agenda post-Lisbona.

UNICE: CONSIDERARE LE NECESSITÀ DELLE IMPRESE

Anche la Confederazione europea degli imprenditori (Unice) ha espresso una valutazione critica del Libro Verde, facendo riferimento in modo particolare al Rapporto elaborato dal Gruppo di analisi di metà percorso della Strategia di Lisbona (o gruppo Kok). I datori di lavoro europei hanno espresso preoccupazione perché, secondo loro, l’approccio della Commissione considera solo gli individui e ignora le necessità delle imprese. Ciò ha condotto a una mancanza di identificazione corretta delle responsabilità di tutti gli attori coinvolti: non solo i datori di lavoro, ma anche i poteri pubblici, gli individui e le parti sociali in generale. L’Unice ritiene che il Libro Verde contenga politiche che favoriscono «a priori» l’equilibrio tra vita professionale e familiare, a scapito di altre dimensioni del problema, in particolare il potenziale (nel lungo termine) dei sistemi pensionistici e di assistenza sanitaria, nonché le riforme del mercato del lavoro.
La prima sfida da affrontare, secondo l’Unice, è quella della crescente pressione sulle finanze pubbliche che, in assenza di riforme, conduce a un aumento della pressione fiscale e del costo del lavoro. L’Ue continuerà a subire una diminuzione della partecipazione al mercato del lavoro. Altro motivo di preoccupazione è collegato alla diminuzione del tasso di produttività, che spesso non si riflette nella formazione dello stipendio. Tale elemento è indicato come una delle ragioni della mancanza di competitività dell’Europa. L’Unice sottolinea poi l’aggravamento della mancanza di competenze in ragione dell’invecchiamento della manodopera e dell’assenza di formule efficaci di apprendimento e di formazione permanente.
Una risposta efficace si basa su due assi essenziali, sostengono le Confindustrie europee: la necessità di un approccio intergenerazionale all’invecchiamento e la revisione della prospettiva del ciclo di vita attiva. Il primo asse comprende la riforma delle finanze pubbliche, con lo scopo di eliminare progressivamente il deficit pubblico (al fine di non caricarne l’onere sulle generazioni future), una maggiore efficacia dei sistemi di istruzione e formazione, come pure del mercato del lavoro (per migliorare il tasso di occupazione dei lavoratori anziani) e la creazione di un contesto più favorevole ai giovani imprenditori, nonché agli imprenditori più anziani. Si fa esplicito riferimento all’innovazione in materia di protezione sociale, con un doppio obiettivo: ridurre l’impatto sulle finanze pubbliche ed eliminare la trappola della disoccupazione e della povertà. La revisione essenziale del ciclo della vita attiva è affrontata utilizzando tre elementi chiave. La formazione permanente è definita una necessità per coloro che devono migliorare le proprie competenze e adattarsi alle evoluzioni del mercato del lavoro. Ogni Stato membro dovrebbe quindi rendere la formazione più attraente e flessibile. Il secondo aspetto si focalizza sull’armonizzazione tra la vita familiare e professionale. L’Unice critica il fatto che il Libro Verde privilegi i congedi parentali come la soluzione fondamentale per questo aspetto: misure atte a sviluppare la disponibilità di assistenza e cura dei bambini e scuole aperte tutto il giorno sono considerate più promettenti per favorire i nuovi equilibri, senza influenzare negativamente la politica sociale e il costo del lavoro.
Sul ruolo dell’Ue l’Unice sembra più prudente rispetto agli altri partner sociali: l’Ue dovrebbe agire come «catalizzatore delle azioni nel quadro della strategia europea per la crescita e l’occupazione» e promuovere un dibattito in materia, in base allo scambio di esperienze vissute nei differenti Paesi. Tuttavia, gli ingredienti del policy mix destinato ad affrontare questa sfida possono essere determinati solo dagli Stati membri. L’accento è relativo alla Strategia di Lisbona, al fine di migliorare le sinergie tra politiche e processi esistenti. Le nuove linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione, collegate al metodo aperto di coordinamento sulla protezione e previdenza sociale e sull’istruzione e la formazione, sono considerate dall’Unice importanti strumenti per il controllo e la valutazione dei progressi fatti per l’implementazione di tali linee su scala nazionale, nonché come fonte di ispirazione per soluzioni efficaci. Riferimento esplicito è poi fatto al ruolo del dialogo sociale europeo e alle formule più flessibili di organizzazione del lavoro, che devono essere accettabili sia per i lavoratori che per le imprese.

la natura della sfida demografica

L’invecchiamento futuro della popolazione europea costituisce una “crisi demografica” oppure un meno preoccupante “ciclo demografico”? Alcuni recenti contributi di natura scientifica aiutano a proporre un’analisi più approfondita.
Innanzitutto, le proiezioni a lungo termine sono instabili e discutibili. Tali proiezioni sono normalmente fondate su un buon numero di ipotesi relative alla produttività, al progresso tecnologico, ma anche all’occupazione, al tasso di fecondità ecc. Se è chiaro che l’Ue sta entrando in un nuovo regime demografico, rimane da determinare a che punto tale fenomeno è preoccupante.
Un secondo problema riguarda l’utilizzo abusivo del rapporto di dipendenza per esprimere la minaccia demografica gravante sulle istituzioni socioeconomiche. Come mostra ad esempio la comunicazione della Ces, l’invecchiamento è un fenomeno transitorio, non uno shock durevole. Inoltre, il tasso di dipendenza legato all’età, che rappresenta un semplice indicatore dell’invecchiamento, non fa riferimento alla proporzione della popolazione produttiva. Ignora il numero di persone che, pur essendo in età da lavoro, non lavorano. Tenere in considerazione la popolazione veramente attiva può offrire un utile indicatore che riflette la capacità di una popolazione in termini di produttività.
Si tratta del tasso di dipendenza economica.

notevoli differenze tra Stati dell’Ue


Il tasso di dipendenza economica migliorerà tra il 2003 e il 2025, successivamente si abbasserà (rapidamente) nel corso del decennio successivo. Le due proiezioni sono dunque contraddittorie, la prima (basata sulla percentuale di persone anziane) è molto più allarmante. Il confronto tra vecchi e nuovi Stati membri dell’Ue complica ancor di più la complessità dell’analisi. I nuovi Stati membri (Ue-10) non hanno sperimentato il “baby-boom” dell’Europa occidentale nel dopoguerra, i tassi di fecondità e di mortalità hanno seguito evoluzioni differenti. Solo negli anni Ottanta il tasso di fecondità ha cominciato a decrescere nei nuovi Stati membri, mentre l’aspettativa di vita è inferiore rispetto all’Europa occidentale ed è diminuita nel corso degli ultimi 15 anni di transizione economica. Di conseguenza, i dati recenti mostrano delle differenze tra le varie parti dell’Ue. Nel 2003, ad esempio, l’aspettativa di vita alla nascita era di 76 anni nell’Ue-15 e di 70,5 anni nell’Ue-10. I tassi di fecondità erano di 1,52 nell’Ue-15 e di 1,29 nell’Ue-10, mentre il rapporto di dipendenza delle persone anziane era di 25,2 nell’Ue-15 e di 19,4 nell’Ue-10. Sebbene le tendenze siano in generale simili, le variazioni presenti e future rimangono.

diversi livelli di protezione sociale


Un’altra differenza è quella relativa alle spese in termini di prestazione sociale (e di condizioni sociali) nelle differenti parti dell’Ue. Nel 2003, le spese pubbliche per la protezione sociale si attestavano, in media, sul 28% del Pil nell’Ue-15, mentre la percentuale era del 18% nell’Ue-10. Tali differenze permettono di introdurre un’altra dimensione relativa alla questione demografica: i programmi di protezione sociale non sono uguali negli Stati dell’Ue. La loro generosità, il livello di protezione, ma anche i metodi di finanziamento, così come gli strumenti istituzionali e altre caratteristiche, variano da Paese a Paese, e varia l’interazione di tali programmi con la politica dell’occupazione o quella del mercato del lavoro. L’impatto delle nuove tendenze demografiche sarà pertanto variabile a seconda del modello. Per i Paesi che offrono una protezione meno forte, l’invecchiamento avrà conseguenze sulla potenzialità finanziaria dei programmi di sicurezza sociale (come le pensioni e l’assistenza sanitaria), ma anche sull’adeguamento e l’efficacia dei regimi di protezione sociale, dei contributi e dei servizi.


Fonte: Commissione europea, novembre 2005

MITI E REALTÀ SUL FUTURO DEL WELFARE

Organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale e l’Ocse hanno più volte definito l’invecchiamento come una sfida per la crescita economica e per le potenzialità finanziarie dei programmi di protezione sociale. L’argomentazione presentata è che una popolazione che invecchia porta con sé maggiori pressioni di bilancio, con un impatto diretto sulle spese di conservazione del reddito: i costi legati alle pensioni, le spese sanitarie e i servizi di assistenza dovrebbero crescere rapidamente.
Meno allarmista uno studio sul futuro del Welfare pubblicato nel 2004 da Francis Castles, dell’Oxford University, che invece di utilizzare previsioni basate su modelli economici e su ipotesi ha esaminato l’impatto avuto dalle evoluzioni demografiche sulle spese di sicurezza sociale nel corso di tre decenni (1965-1995). In tale periodo, il numero di persone anziane (oltre i 65 anni) dei Paesi dell’Ocse è aumentato del 4,3%. Sebbene l’aumento passato sia inferiore a quello previsto nel prossimo futuro, esso rappresenta un buon esempio per valutare l’impatto concreto dell’invecchiamento. Si osserva così che parallelamente all’aumento della popolazione anziana, la crescita media della spesa pubblica per le pensioni è stata di circa l’1,9% del Pil, cioè il 16% della variazione totale delle spese sociali. Se si suppone che il rapporto di variazione delle spese pensionistiche in relazione all’invecchiamento della popolazione rimanga costante nel corso del periodo 2000-2030, il livello medio delle pensioni nei Paesi Ocse dovrebbe salire fino al 3,8% del Pil. Tra il 1965 e il 1995, la metà della variazione della spesa pubblica era dovuta all’invecchiamento, il resto era un effetto della copertura e della generosità dei programmi pubblici. In altre parole, le decisioni sul tipo di istituzione, i meccanismi di finanziamento e le condizioni di eligibilità sono determinanti quanto l’invecchiamento. Tali elementi tenderebbero a provare l’esistenza di uno stretto legame tra evoluzioni demografiche e spese pensionistiche, ma sono lontane dal dimostrare che l’invecchiamento avrà effetti molto preoccupanti nei prossimi decenni.


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