Inserto n. 40:
Il futuro dell'UE


il “cantiere” europeo tra crisi e riflessioni

Quando, nel giugno 2005, il Consiglio europeo non era stato in grado di adottare le nuove prospettive finanziarie dell’Ue per il periodo 2007-2013, si era aperta una crisi profonda, soprattutto perché un tale fallimento aveva messo in luce la difficoltà di intendere le priorità dell’Ue allargata attraverso il suo stesso finanziamento. Si era accentuata la crisi esistenziale e di crescita che l’Ue stava attraversando da quando, tra fine maggio e inizio giugno 2005, i cittadini di Francia e Paesi Bassi avevano bocciato il Trattato costituzionale. L’accordo raggiunto poi dal Consiglio europeo del dicembre 2005, pur accrescendo l’austerità di bilancio decisa nel 1999 aveva aperto la strada alla riforma del bilancio. Un accordo minimale, certo non all’altezza delle ambizioni e delle esigenze europee derivanti dall’allargamento dell’Ue e dalla necessaria coesione socio-economica tra vecchi, nuovi e prossimi Stati membri; un accordo giunto dopo un’estenuante trattativa tra governi, che ha messo in luce il prevalere del livello intergovernativo e degli interessi nazionali indebolendo ulteriormente la dimensione comunitaria; ma comunque un accordo, che ha evitato il totale fallimento del progetto europeo. Il rifiuto espresso dal Parlamento europeo nel gennaio 2006 sui contenuti di tale accordo, considerati troppo deboli, ha quindi aperto una crisi interistituzionale particolarmente significativa perché attinente a visioni piuttosto discordanti sul futuro dell’Ue tra molti governi europei e l’Aula europarlamentare. Con la mediazione della Commissione, si è così giunti al compromesso delle ultime settimane, che se ha fatto rientrare la questione delle prospettive finanziarie non ha certo chiuso il necessario dibattito sul futuro dell’Ue, dato che ci si trova nel pieno del periodo di riflessione dichiarato dopo il forte rallentamento del processo costituzionale.

la pausa di riflessione

Il Parlamento europeo ha adottato una strategia che definisce varie tappe all’interno della “pausa di riflessione” e vede l’anno 2009 come il momento dell’entrata in vigore della Costituzione europea. Intanto il Belgio è divenuto il quattordicesimo Stato membro a ratificare il Trattato costituzionale e la stessa cosa si sta verificando in Estonia. Tuttavia non è prevedibile un rilancio “miracoloso” della Costituzione europea, poiché la Commissione si limita a proporre un calendario fino al giugno 2007, la presidenza austriaca non ha svolto il necessario lavoro diplomatico per uscire dalla pausa ed entrare in una riflessione collettiva, mentre il governo tedesco attende l’esito delle elezioni francesi e olandesi per proporre una soluzione alla crisi europea.
Il dibattito sull’avvenire dell’Europa è ripreso all’interno delle istituzioni e dei discorsi politici ma anche nelle piazze, con le manifestazioni in merito al progetto di direttiva sui servizi e a seguito della pubblicazione delle caricature su Maometto da parte di alcuni giornali europei. La pausa di riflessione dovrebbe essere anche un “dibattito di cittadinanza”, così come si dovrebbero sottolineare e analizzare i motivi dei “no” alla Costituzione e il fatto che essi sono anche espressione dei recenti allargamenti dell’Ue e di quelli futuri. L’estensione dei diritti politici europei agli immigrati pare non ancora matura politicamente, mentre invece si dovrebbero creare legami tra le persone e perseguire la costruzione di un sistema politico europeo inclusivo e di difesa dei valori comuni, tra cui figurano «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, nonché il rispetto dei diritti dell’uomo, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze», come recita l’articolo I-2 del Trattato costituzionale.

rischi della cooperazione rafforzata

Si torna a parlare di “cooperazione rafforzata” tra alcuni Stati membri, ma è chiaro che non potrà essere una soluzione efficace se dovesse essere applicata solo al fine di aggirare l’unanimità in Consiglio. Ogni cooperazione rafforzata, infatti, si svilupperà in un ambito puramente intergovernativo con il rischio di danneggiare la coesione e la coerenza del sistema istituzionale comunitario. Se ci deve essere un futuro per tale meccanismo, la condizione è di poter puntare sulla base di valori comuni condivisi dagli Stati membri partecipanti, partendo dalla zona euro e non solo. È necessario ripensare, in modo più ampio, l’utilizzo di questo strumento nella prospettiva di una differenziazione/stabilizzazione che metta in evidenza la particolarità del “modello europeo”, includendo, in particolare, i principi prevalenti in materia di protezione sociale e di reddito minimo in relazione a quei Paesi preoccupati di non veder rimessi in gioco i propri acquis sociali.

La maggior parte del materiale contenuto in questo inserto è tratta dalla newsletter “Demain l’Europe”, febbraio 2006 n. 29, pubblicata dall’Osservatorio sociale europeo (OSE) con sede a Bruxelles.
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il periodo di riflessione sul futuro dell’Unione europea


In seguito all’esito negativo dei referendum costituzionali svoltisi nella primavera 2005 in Francia e Paesi Bassi, al termine del Consiglio europeo del 18 giugno 2005 i capi di Stato e di governo dell’Ue avevano adottato una Dichiarazione invitando a un “periodo di riflessione”, allo scopo di «consentire in ciascun Paese un ampio dibattito, che coinvolga i cittadini, la società civile, le parti sociali, i parlamenti nazionali e i partiti politici». Nell’ottobre 2005 la Commissione europea aveva quindi adottato un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, non tanto per “salvare” la Costituzione quanto piuttosto per lanciare un ampio dibattito tra le istituzioni dell’Ue e i cittadini.
Nel dicembre 2005, poi, il Consiglio europeo ha preso atto del Rapporto ad interim redatto dal Regno Unito e dall’Austria in relazione ai dibattiti nazionali dedicati al futuro dell’Ue, che dovrebbero essere in corso negli Stati membri ma che, tuttavia, nella maggior parte dei Paesi non sono neanche iniziati. Il Regno Unito ritiene di aver contribuito al dibattito a livello comunitario con l’organizzazione del Vertice di Hampton Court, che ha «chiaramente indicato il modo in cui l’Europa affronta le sfide che le vengono poste dalla globalizzazione, approfittando meglio delle possibilità da essa offerte».
Il cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel, presidente di turno dell’Ue fino al 30 giugno prossimo, non esclude l’idea di sottoporre nuovamente il testo del Trattato costituzionale alla ratifica in Francia e nei Paesi Bassi. La presidenza austriaca, secondo cui il progetto di Trattato costituzionale «non è morto», ha già annunciato che non sarà presa alcuna decisione come risultato della presidenza stessa, cosa che significa un sostegno per il prolungamento del periodo di riflessione oltre il Consiglio europeo di giugno 2006, richiesto dal Parlamento europeo. Il processo di ratifica era già stato prolungato oltre il 1° novembre 2006, data prevista inizialmente per l’entrata in vigore della Costituzione europea. L’evoluzione della situazione è senza dubbio legata alle scadenze elettorali dell’anno 2007 (presidenziali in Francia e legislative nei Paesi Bassi). Di fronte al Parlamento europeo, il presidente austriaco Heinz Fischer si è pronunciato, a metà febbraio, in favore di un referendum pan-europeo relativo ad argomenti di particolare importanza. Considerando un errore “seppellire” il Trattato costituzionale, il presidente austriaco ha anche fatto riferimento alla forza delle argomentazioni contrarie al rinnovamento della procedura convenzionale in vista di negoziati per un nuovo testo. Non ha inoltre escluso l’organizzazione, al termine del periodo di riflessione, di un referendum pan-europeo relativo al Trattato e basato su una doppia maggioranza (maggioranza dei votanti e maggioranza degli Stati).
La cancelliere tedesca Angela Merkel, che presiederà il Consiglio europeo nel corso del primo semestre 2007, ha invece dichiarato di voler salvare il Trattato costituzionale e approfittare della presidenza tedesca per rilanciare il processo. La proposta è di negoziare a 25 e aggiungere un protocollo relativo alla dimensione sociale dell’Ue, soluzione che implicherebbe il mantenimento dell’attuale contenuto del testo aggiungendo elementi nuovi di valore giuridico equivalenti alle disposizioni della Costituzione. La presidente finlandese Tarja Halonen, il cui Paese assumerà la presidenza dell’Ue nel secondo semestre 2006, ha dichiarato che sarebbe nell’interesse dell’Ue e della Finlandia che «il Trattato costituzionale entrasse in vigore», mentre il 2 febbraio scorso il premier britannico Tony Blair ha riconosciuto la necessità di affrontare nuovamente le questioni legate alla Costituzione europea.
la posizione del Parlamento europeo
Il 19 gennaio 2006 il Parlamento europeo (Pe) ha adottato il Rapporto Duff-Voggenhuber, dopo un dibattito caratterizzato da un alto numero di interventi di deputati socialisti secondo i quali la Costituzione «non è morta». Una maggioranza di deputati del gruppo Socialista europeo (Pse) e del gruppo Popolare europeo-Democratici europei (Ppe-De) ha respinto l’idea che il Parlamento europeo possa inviare un messaggio di rinuncia alla Costituzione europea. In tal modo tali gruppi si oppongono all’approccio consigliato dai relatori, vale a dire lanciare, parallelamente al periodo di riflessione, un nuovo processo di negoziato per la Costituzione. In seno al Ppe-De, molti membri ritengono tuttavia che non si possano escludere dei miglioramenti.
Introducendo il dibattito, Andrew Duff (Eldr) ha indicato che in teoria esistono «scenari differenti», ma che in pratica ne esistono solo due: «Completare l’interpretazione del Trattato con protocolli e dichiarazioni, oppure adottare cambiamenti più sostanziali alla parte III, per rispondere alle obiezioni dei Paesi “del no”». Secondo il corelatore, Johannes Voggenhuber (Vert), «la Costituzione non è morta, sebbene essa non sia che uno dei passi per ottenere una vera e propria risposta alle preoccupazioni dei cittadini; per tale motivo la nostra proposta è un dibattito strutturato sull’Ue in quanto “res publica”, vale a dire un soggetto la cui sorte dipende dai cittadini».
La Risoluzione del Parlamento lascia aperte diverse opzioni teoriche possibili: dall’abbandono del progetto costituzionale al proseguimento degli sforzi tendenti alla ratifica del testo attuale non modificato, passando per un chiarimento oppure un arricchimento del testo attuale, la ristrutturazione e/o la modifica di tale testo con lo scopo di migliorarlo, oppure addirittura di rimaneggiarlo completamente.
Il Pe riconosce che la ratifica della Costituzione europea sta affrontando «difficoltà insormontabili che possono rivelarsi non superabili, a meno che non siano prese delle misure per dare una risposta alle preoccupazioni espresse, in particolare, in Francia e nei Paesi Bassi». Sottolinea inoltre che, dopo l’adesione della Bulgaria e della Romania nel 2007, un nuovo allargamento dell’Ue «sarà impossibile, sulla base del Trattato di Nizza».
Se si considera il “no” come l’espressione di un disaccordo sullo stato attuale dell’Unione europea, piuttosto che come una specifica opposizione alle riforme costituzionali, il Pe richiede che, in ogni caso, «sia fatto qualsiasi sforzo per garantire che la Costituzione entri in vigore nel 2009». Il testo non dovrà presentare ambiguità relativamente all’obiettivo che si desidera raggiungere: «Il mantenimento del testo attuale rappresenterebbe un risultato positivo della pausa di riflessione». L’emendamento proposto dai relatori, relativo al mantenimento del nocciolo costituzionale del testo attuale, è stato respinto dalla plenaria.
Riflettendo le preoccupazioni di bilancio, è stata aggiunta una questione a quelle che saranno soggette all’esame del primo Forum interparlamentare che dovrebbe riunirsi nell’autunno 2006: qual è l’obiettivo dell’integrazione europea? Quale dovrà essere il ruolo dell’Europa nel mondo? Tenuto conto della globalizzazione, qual è il futuro del modello economico e sociale europeo? Come definire le frontiere dell’Ue? Come si può accrescere la libertà, la sicurezza e la giustizia? Come finanziare l’Ue?
Parallelamente ai Forum interparlamentari, il Pe chiede l’organizzazione dei Forum cittadini a livello nazionale, regionale e locale, strutturati su temi che siano scelti sulla base di un accordo comune, con l’aiuto della Commissione; chiede inoltre ai partner sociali e alle organizzazioni della società civile di impegnarsi immediatamente nel dibattito. Così, il Parlamento europeo chiede l’allungamento della pausa di riflessione, nonché la formulazione delle conclusioni nel corso del primo semestre 2007, congratulandosi per «i progetti della presidenza austriaca che hanno come obiettivo la presentazione di un foglio di via libera per il periodo di riflessione, nonché per il futuro del processo di ratifica in generale».
L’Europarlamento ha espresso anche la sua opposizione alla realizzazione di “gruppi ristretti”, composti da alcuni Stati membri, nonché allo sviluppo della cooperazione rafforzata come alternativa alla Costituzione europea, cosa che non significa un’opposizione allo sviluppo di un tale tipo di cooperazione.


dalla Commissione una strategia per comunicare con i cittadini


La crisi del processo costituzionale europeo, insieme ad altri problemi che hanno caratterizzato la dimensione comunitaria nel 2005, ha avuto riflessi negativi sulla percezione che i cittadini hanno dell’Ue. Dal momento che il Trattato costituzionale è considerato di fondamentale importanza dalle istituzioni europee e che esso è rivolto principalmente ai cittadini, perché definisce i fondamenti della cittadinanza europea, il fatto che proprio alcuni cittadini l’abbiano bocciato evidenzia un problema di comunicazione. «L’Ue deve consolidare i risultati raggiunti e mostrare determinazione nel conquistare i cuori e le menti dei suoi cittadini. Questo compito non è mai stato importante come oggi. I cittadini vedono troppo interesse egoistico da parte di ogni Stato membro, poca visione di insieme e solidarietà. Io credo ancora che la gente voglia più Europa, con leader più ispirati e buone politiche» ha dichiarato alla fine del 2005 Margot Wallström, vicepresidente della Commissione Europea e responsabile per le Relazioni istituzionali e la Strategia di comunicazione dell’Ue. Allo scopo di migliorare il dialogo con i cittadini, nell’ultimo anno la Commissione ha così proposto un Piano d’azione e un Libro bianco sulla comunicazione, iniziative mirate ad avvicinare la cittadinanza europea alle politiche e alle istituzioni dell’Ue.
Dopo il Piano d’azione presentato nel luglio 2005 dalla Commissione nell’ambito dell’iniziativa “Comunicare l’Europa”, che indica il nuovo approccio che l’esecutivo europeo intende avere in materia di dialogo e comunicazione con i cittadini europei e propone 50 azioni volte a migliorare la capacità e le competenze della Commissione nel comunicare le politiche europee, il tutto basato sui tre pilastri “ascoltare” (non solo informare i cittadini europei), “comunicare” e “collegarsi” agendo a livello locale, il 1° febbraio 2006 la Commissione ha adottato un Libro bianco sulla politica europea di comunicazione. Lo scopo è di impegnare tutte le parti in causa, esponendo la visione politica e le iniziative da intraprendere a medio e lungo termine, mobilitando istituzioni, organismi della Commissione, Stati membri, autorità regionali e locali, partiti politici e società civile al fine di avvicinare i cittadini alle istituzioni e alle politiche europee.
In esso sono proposti cinque campi d’azione principali: la definizione di principi comuni per le autorità di comunicazione su tematiche europee; il coinvolgimento dei cittadini; la collaborazione con i media e il ricorso alle nuove tecnologie; la comprensione dell’opinione pubblica; la cooperazione. È previsto un periodo di consultazione di sei mesi, nel corso del quale i cittadini europei e gli operatori del settore potranno avanzare proposte e contributi tramite il sito web appositamente creato (http://europa.eu.int/comm/communication_white_ paper).
La Commissione propone di organizzare, in cooperazione con le altre istituzioni europee, una serie di Forum consultivi con la partecipazione di gruppi di interesse specifico (Ong, associazioni di imprese e altre parti interessate), mentre una serie speciale di sondaggi Eurobarometro permetterà di raccogliere i migliori dati d’analisi possibili.
Alla fine di tale periodo, in base alle indicazioni ricevute la Commissione elaborerà i piani d’azione specifici per ciascun settore, così da avvicinare il più possibile l’Europa ai suoi cittadini e porre le basi di una politica di comunicazione dell’Ue.
Secondo la vicepresidente Wallström, che ha voluto la pubblicazione del Libro bianco, «la comunicazione è anzitutto e soprattutto una questione di democrazia. I cittadini hanno il diritto di sapere quello che fa l’Ue e hanno il diritto di partecipare pienamente al progetto europeo».

richieste dei sindacati europei per la coesione sociale

Anche le parti sociali hanno reso nota la loro posizione sul futuro dell’Ue. La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha comunicato di sostenere la proposta avanzata dalla cancelliere tedesca di aggiungere una dichiarazione relativa alla dimensione sociale dell’Europa e/o di convocare una nuova Convenzione, «affinché dia il proprio parere in merito alla questione relativa al testo costituzionale, vale a dire individuare se il testo della Costituzione debba o no essere parzialmente ristrutturato, migliorato e accompagnato da dichiarazioni parallele, oppure illustrare più chiaramente gli obiettivi dell’Unione europea», scrivono i sindacati europei nel Memorandum inviato lo scorso gennaio alla presidenza austriaca dell’Ue.
Secondo la Ces, per superare il sentimento di malessere molto diffuso all’interno dell’Ue è necessario che si riaffermino, senza minimizzarli, i valori europei riguardanti la coesione sociale, la solidarietà e lo sviluppo sostenibile nel settore dell’ambiente.
La posizione della Ces è stata affermata con la manifestazione del 14 febbraio scorso, in occasione della prima lettura parlamentare del progetto di direttiva sui servizi (“Bolkestein”), iniziativa cui hanno preso parte quasi 50.000 persone. Il segretario generale della Ces, John Monks, aveva lanciato un appello per una manifestazione contro la versione iniziale del progetto di direttiva considerato negativo perché possibile causa di forte dumping sociale, mentre il testo nella versione emendata dal Parlamento europeo è stato definito dalla Confederazione europea dei sindacati come «un vero e proprio successo per i lavoratori europei».



L’ALTERNATIVA DELLA COOPERAZIONE RAFFORZATA

Il primo ministro belga, Guy Verhofstadt, nell’ottobre 2005 aveva sostenuto lo sviluppo di una “cooperazione rafforzata” nel settore economico e sociale, lasciando però aperto il dubbio sul fatto che tale cooperazione si potesse sviluppare nel quadro del Trattato oppure al di fuori. Nel discorso pronunciato il 1° dicembre 2005 in occasione dell’uscita del suo libro Gli Stati Uniti d’Europa è andato oltre. D’accordo con l’idea del “Trattato nel Trattato” formulata da Jacques Delors e dal ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, la soluzione che si consiglia è la costruzione degli Stati Uniti d’Europa partendo dagli Stati partecipanti alla zona euro, proposta già avanzata in passato dal presidente della Convenzione europea Valéry Giscard d’Estaing ma respinta durante i lavori. In pratica, accanto a questo “nocciolo politico” di Paesi sussisterebbe un’Organizzazione degli Stati Europei, cioè l’attuale Unione europea. Conformemente al principio di sussidiarietà, la “nuova Europa” dovrebbe intervenire in quegli spazi dove essa apporta un plusvalore e concentrarsi su cinque “missioni”: la realizzazione di un governo e di una strategia socio-economica europea; la creazione di uno spazio europeo di giustizia e sicurezza; una diplomazia europea; lo sviluppo di un esercito europeo. Durante un discorso pronunciato a Washington nel gennaio 2006, Verhofstadt ha considerato tale via come un’alternativa al blocco della Costituzione europea. In materia socio-economica, il primo ministro belga riprende essenzialmente le idee presentate nel 2005, in vista del rilancio della Strategia di Lisbona, vale a dire la definizione di un “codice di convergenza”, che consiste nella definizione di «fasce all’interno delle quali si deve verificare lo sviluppo delle economie europee» e di una riforma dei regimi fiscali grazie allo «scivolamento delle imposte dirette verso le imposte indirette o di altro tipo».
Al termine del Consiglio europeo del dicembre 2005, il presidente francese Jacques Chirac aveva annunciato la presentazione di nuove iniziative istituzionali. A sostegno dell’ambizione della presidenza di turno austriaca di promuovere, in occasione del Consiglio europeo di primavera, «un’Europa più competitiva e al tempo stesso più sociale, giusta e solidale», all’inizio del 2006 Chirac ha espresso il desiderio che il Consiglio europeo di giugno «possa prendere le decisioni necessarie per migliorare il funzionamento delle istituzioni a partire dal quadro dei trattati attualmente esistente», identificando tre settori: la sicurezza interna e la giustizia, l’azione esterna e la difesa europea, nonché un migliore collegamento dei parlamenti nazionali al processo decisionale dell’Ue. Il presidente francese ha anche sottolineato la possibilità di creare un «gruppo pionieristico, che si possa chiamare altrimenti» e identificato i Paesi della zona euro come quelli con una «naturale vocazione volta ad approfondire l’integrazione politica, economica, sociale e fiscale». Affermazione letta da molti come un sostegno alle proposte di Guy Verhofstadt. L’appello, mirante a convocare un Vertice nel corso del 2006 tra i partecipanti della zona euro, non ha provocato reazioni entusiastiche da parte degli altri partner europei. In ogni caso, il primo ministro lussemburghese non ha accantonato la possibilità, pronunciandosi per un “nocciolo duro” tra qualche anno in caso di blocco “complessivo”, mentre la ministra degli Esteri austriaca Ursula Plassnik ha sottolineato come i trattati attuali contengano le basi per lo sviluppo di una tale cooperazione. A favore di un “nocciolo duro” di Stati membri che vogliano progredire nell’integrazione europea, formato in un primo tempo da Italia, Francia, Germania, Spagna, Belgio e Lussemburgo ma aperto a tutti quanti vogliano aderire, si è pronunciato recentemente anche il prossimo presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, che nel corso di un’intervista rilasciata il 16 aprile al settimanale britannico “Sunday Times” ha espresso la necessità di formulare un testo costituzionale «meno tecnico», che faccia proprie la prima e la seconda parte della Costituzione «ed eventualmente un protocollo sociale» da sottoporre all’approvazione dei cittadini europei mediante un referendum unico da tenersi in concomitanza con le elezioni europee del 2009.



LA FASE ATTUALE DELL’UE SECONDO DELORS

L’Unione europea sta attraversando «una crisi di crescita e, quindi, di legittimità che riflette una tensione tra il locale e il globale», ma l’Europa può essere definita come il progetto del XXI secolo sulla base di tre elementi «estremamente banali»: l’Europa come fattore di pace, come realtà che contribuisce al controllo della globalizzazione e come “progetto di società”. È quanto espresso nel novembre 2005 dall’ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, che ha illustrato questi tre punti sottolineando come in questo momento storico l’Europa manchi di «ingegneri del consenso».
In relazione all’Europa in quanto fattore di pace, Delors ricorda che «non vi è una visione del futuro senza memoria», riferendosi alla formula “il perdono e la promessa” utilizzata dalla filosofa ebrea Anna Harendt. Tale formula è la chiave dei «problemi dei Balcani, Paesi tra i quali si è accumulata un’enorme quantità di odio». Secondo Delors «l’ispirazione dei padri dell’Europa nel 1945-50» non è stata applicata, e a partire dal 1995 «si sarebbe potuto proporre ai Paesi dell’ex Jugoslavia di creare un’unione europea del pagamento», ma non è stato fatto. L’Europa si è sempre adattata interrogandosi e, talvolta, «perdendo la strada», dopo la caduta del muro di Berlino, di fronte ai Paesi dell’Europa centro-orientale che uscivano da una dittatura ed erano incapaci di decidere «se fosse necessario partire da un tetto politico oppure economico. Sicuramente noi non abbiamo dato prova di immaginazione e audacia, non dando loro un tetto politico più velocemente. In tal modo si sarebbe creato un clima diverso e, sopratutto, sarebbero stati meno affascinati dall’Alleanza atlantica e dal modello anglosassone: un errore di cui noi stessi stiamo pagando il prezzo».
Per quanto riguarda il controllo della globalizzazione, Jacques Delors interroga gli europei: «Perché non continuare la lotta per il proseguimento della globalizzazione tramite il trionfo del soft power e del diritto, nonché tramite azioni concertate per lo sviluppo sostenibile del pianeta?». Secondo Delors, il libero scambio ha permesso dei progressi, ma bisogna evitare che esso diventi «la nuova ideologia, il rimedio miracoloso». L’ex presidente della Commissione invita a una distinzione tra i Paesi in sviluppo, «tra il Brasile e il Mali, oppure la Cina e un Paese del Centro America», insiste sulle aspettative «tanto importanti quanto le nostre» del contributo al commercio mondiale da parte della Cina o dell’India: «Tenuto conto dell’utilizzo di manodopera non qualificata o poco qualificata, ma anche della loro capacità di lanciarsi in attività quanto mai sofisticate, questi Paesi non devono più essere considerati come Paesi in via di sviluppo, come Paesi poveri a prescindere, nei confronti dei quali noi dobbiamo fare uno sforzo unilaterale».
Infine, sul “modello di società europeo” Delors riconosce l’esistenza di settori in cui prevale l’armonizzazione, ricorda la diversità dei modelli sociali e insiste: «L’attacco più perverso contro l’Europa (…) arriva da coloro che chiedono che la competitività tra le imprese sia completata dalla competizione tra nazioni (…). Se ciò dovesse accadere non ci sarà mai un’Europa politica, vi sarebbe addirittura la disintegrazione dell’acquis europeo a causa di un eccesso di dumping fiscale e sociale». Promotore della differenziazione dell’Ue, Delors ha valutato come il meccanismo della cooperazione rafforzata permetterebbe tale differenziazione. Rispetto all’Unione economica e monetaria, Delors ritiene necessaria una riforma: «Rendere l’Uem la prima cooperazione rafforzata (…) riequilibrando l’economia e la moneta e mettendosi d’accordo su un minimo di armonizzazione». Secondo Delors è necessario “adattarsi e non rinnegare”, ricordando che «il sociale è un fattore di sviluppo, un fattore economico e non un sottoprodotto dell’economia». D’altronde, ricorda l’ex presidente della Commissione, «i Paesi che sono riusciti a adattarsi meglio in Europa, sono quelli che presentano un ricco dialogo sociale e una solida eredità di Welfare».


la questione delle prospettive finanziarie

Rese note all’inizio del dicembre 2005, le prime proposte dell’allora presidenza di turno britannica dell’Ue riflettevano il principio di voler costruire le prospettive finanziarie 2007-2013 a partire dal mantenimento del loro “ribasso” a scapito delle spese dedicate ai nuovi Stati membri, riducendo l’ammontare dei fondi strutturali. Definito nell’ipotesi di un’Unione europea a 27 Stati, a partire dal 2007, l’ammontare totale delle spese (in crediti di impegno) era di 846,754 milioni di euro, vale a dire l’1,03% del Pil dell’Ue. Tali proposte erano state respinte sia dal presidente della Commissione che dal Parlamento europeo, istituzioni che devono dare l’assenso relativamente all’atto che “ufficializza” le prospettive finanziarie, cioè l’accordo inter-istituzionale sulla disciplina di bilancio.

l’accordo raggiunto dal Consiglio europeo

Oltre alla polemica sulla politica agricola comune, il mantenimento del finanziamento minimo alla politica di coesione all’interno dell’Ue e l’assegno britannico sono state le principali variabili di adattamento del quadro finanziario 2007-2013.
Nel dicembre 2005 il Consiglio europeo ha definito le prospettive finanziarie nell’ordine di 862,4 miliardi di euro (in crediti di impegno), vale a dire l’1,045% del Pil dell’Ue a 27 Stati (gli attuali 25 più la Romania e la Bulgaria). In crediti di pagamento ciò rappresenta in media lo 0,99% del Pil europeo. Nel giugno 2005, la presidenza lussemburghese dell’Ue aveva proposto 871,5 miliardi di euro (in crediti di impegno), cioè l’1,06% del Pil, mentre la proposta iniziale avanzata dalla Commissione europea era di 1022 miliardi.
Il Consiglio europeo di Bruxelles ha fissato l’ammontare stanziato per la politica di coesione a 307,619 miliardi di euro per i sette anni relativi alle prospettive finanziarie (contro i 309,4 miliardi proposti dalla presidenza lussemburghese e i 338,710 miliardi di euro proposti dalla Commissione). Il Consiglio ha riconosciuto l’insufficienza dei fondi per l’azione estera, invitando l’autorità di bilancio a «garantire un aumento sostanziale del bilancio dedicato alla politica estera e di sicurezza comune a partire dal 2007». Sono poi state aggiunte alcune concessioni per i vecchi Stati membri: la Spagna recupera 2 miliardi, nonché 50 milioni per le enclave di Ceuta e Melilla in Marocco; l’Italia 1,4 miliardi; la Francia 100 milioni (per la Corsica e il Nord-Pas-de-Calais); la Germania 225 milioni per i Länder dell’Est e 75 milioni per la Baviera. In totale, la politica di coesione rappresenta il 35,7% dell’insieme delle prospettive finanziarie: il 51,4% di tali fondi sarà destinato ai nuovi Stati membri, mentre il 48,6% ai vecchi Stati membri.
L’assegno di cui il Regno Unito gode fin dagli anni Ottanta sarà ridotto di 10,5 miliardi di euro, su un totale stimato tra 50 e 55 miliardi se fosse rimasto immutato. Il compromesso esclude dal calcolo del ribasso una percentuale di aiuti regionali diretta verso i nuovi Stati membri. Tale percentuale raggiungerà progressivamente il 100% nel corso del periodo incluso nelle prospettive finanziarie. Il tasso di appello della risorsa Iva è congelato allo 0,30%. Tre Stati contribuenti netti beneficiano di un alleggerimento (0,225% per l’Austria, 0,15% per la Germania e 0,10% per i Paesi Bassi). Svezia e Paesi Bassi beneficiano inoltre di una riduzione annuale della risorsa calcolata sul Pil pari, rispettivamente, a 150 milioni e 605 milioni di euro.
Il Consiglio europeo ha poi invitato la Commissione a intraprendere un’«analisi completa e globale che includa tutti gli aspetti delle spese dell’Unione, compresa la compensazione in favore del Regno Unito, e a presentare un rapporto nell’anno 2008-2009 ». La Commissione aveva previsto l’introduzione di una risorsa fiscale propria che dovrà essere operativa dal 1° gennaio 2014, ma tale approccio aveva suscitato forti riserve o viva opposizione da parte di quasi tutte le delegazioni, in occasione dei lavori portati avanti nel periodo di presidenza olandese (secondo semestre 2004).

il rifiuto del Parlamento europeo

Le prospettive finanziarie sono ufficializzate per mezzo di un accordo inter-istituzionale concluso tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Una volta che si è raggiunto l’accordo, le soglie relative alle prospettive finanziarie devono essere rispettate. L’accordo inter-istituzionale attualmente applicato prevede che tali soglie possano, in taluni casi, essere modificate: revisione, flessibilità ai fini dell’allargamento, creazione di fondi di solidarietà ecc. La risoluzione del Parlamento europeo dell’8 giugno 2005 aveva puntualizzato il fatto che la creazione delle riserve di flessibilità era un elemento «non negoziabile dell’accordo globale relativo al quadro finanziario». Il Pe aveva inoltre annunciato che avrebbe tenuto conto, nella sua valutazione globale, della maniera in cui il Consiglio avrebbe considerato il bisogno «di una riforma profonda del sistema attuale delle risorse proprie, in modo tale da permettere di ripartire le nuove spese in modo eguale tra gli Stati membri (…) e, conseguentemente, di provvedere nuovamente al finanziamento delle politiche comuni per mezzo di autentiche risorse proprie». Il Pe richiedeva una revisione del sistema delle risorse proprie e riteneva che la preparazione di tale revisione dovesse essere affidata a una conferenza parlamentare tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Nel gennaio 2006 il Parlamento europeo ha quindi respinto le conclusioni del Consiglio europeo, considerandole insufficienti a garantire le condizioni necessarie per far fronte alle nuove sfide e sviluppare un valore aggiunto europeo a favore dei cittadini. L’aula parlamentare non ha condiviso l’atteggiamento degli Stati membri, che «combattono per preservare i propri interessi nazionali piuttosto che per generare una dimensione europea», e ha definito le conclusioni del Consiglio troppo incentrate «sulle politiche tradizionali» a scapito del futuro dell’Ue, perché «non garantiscono un bilancio europeo che rafforzi la prosperità, la solidarietà e la sicurezza in futuro, né offrono un meccanismo di flessibilità specifico né un ruolo del Parlamento europeo nella revisione».

rinnovo dell’accordo sul bilancio

All’inizio del febbraio scorso, la Commissione europea ha presentato una proposta in vista del rinnovamento dell’accordo inter-istituzionale, contenente tre aspetti principali: l’iscrizione di un certo grado di flessibilità, la creazione di fondi di aggiustamento alla globalizzazione e la pianificazione della riforma di bilancio. In relazione alla flessibilità, la Commissione ha proposto di aumentare la dotazione dello strumento di flessibilità a 700 milioni di euro l’anno (attualmente limitato a 200 milioni di euro e concentrato quasi esclusivamente nel settore delle attività estere), nonché di allargarne il campo di applicazione, in modo tale da coprire non solo i bisogni annuali imprevisti, ma anche i nuovi bisogni pluriennali. Il progetto di accordo inter-istituzionale comprende anche le regole fondamentali che dovranno reggere il Fondo europeo di aggiustamento alla globalizzazione, inizialmente presentato dalla Commissione come Fondo d’aggiustamento alla crescita. Il Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 2005 aveva manifestato il proprio accordo in relazione alla creazione di un tale fondo «incaricato di fornire assistenza complementare ai lavoratori che hanno perso la propria occupazione in seguito alle significative modifiche della struttura del commercio mondiale». L’ammontare massimo delle spese sarà di 500 milioni di euro all’anno. Non si prevede alcuna disposizione finanziaria all’interno delle prospettive finanziarie relative al Fondo, che verrà finanziato per mezzo delle somme sottoutilizzate e/o dei fondi sbloccati. La Commissione propone di associare “strettamente” il Parlamento europeo al processo di riforma di bilancio che verrà preparato in seguito a un’ampia consultazione. Nell’anno 20082009, la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio un Libro bianco completo, che comprenderà l’intera struttura di bilancio, nella parte relativa alle spese e alle entrate. Considerando insufficiente il margine dovuto all’aumento dello strumento di flessibilità, i deputati europei hanno reagito negativamente a queste proposte. La delusione è relativa alla non inclusione di alcune riserve supplementari e alla mancanza di un serio impegno per associare il Parlamento alla revisione di bilancio comunitario nell’anno 2008-2009.

l’accordo definitivo sulle prospettive finanziarie

In aprile, Parlamento, Consiglio e Commissione sono infine pervenuti a un accordo definitivo sulle prospettive finanziarie 2007-2013. Il compromesso raggiunto dalle istituzioni europee prevede 2 miliardi di euro in più per i progetti di crescita e competitività, ricerca e sviluppo, formazione permanente e politica estera e di sicurezza comune. Saranno incrementate di 2,5 miliardi di euro anche le riserve della Banca europea per gli investimenti (Bei), che serviranno a rafforzare le attività di ricerca e a sostenere le piccole medie imprese. Il Parlamento europeo ha chiesto e ottenuto un suo maggior coinvolgimento nella procedura di revisione budgetaria, mentre il presidente della commissione, Manuel Barroso, si è mostrato soddisfatto dell’accordo raggiunto, che ha ottenuto un’approvazione di principio anche da parte del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper). Il testo dovrà ancora essere rivisto dai giuristi e linguisti prima dell’adozione formale da parte del Consiglio, mentre il Parlamento europeo adotterà l’accordo nel corso di una sessione plenaria a metà maggio. Secondo il compromesso finale, l’ammontare degli stanziamenti per impegni previsti per l’Ue a 27 Stati nel periodo 2007-2013 è di 864,4 miliardi di euro, pari all’1,048% del Pil dell’Ue, gli stanziamenti per pagamenti di 820 miliardi circa. Le spese per impegni sono divise in cinque voci: crescita sostenibile per circa 382 miliardi di euro; gestioni delle risorse naturali per 371 miliardi di euro; cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia per 10,77 miliardi di euro; azioni esterne per circa 49 miliardi di euro; spese amministrative per poco meno di 50 miliardi di euro.



CONSEGUENZE DEL VERTICE DI HAMPTON COURT

Il 27 ottobre 2005, l’allora presidenza di turno britannica dell’Ue aveva organizzato un Consiglio europeo informale ad Hampton Court (Londra) per discutere, in particolare, del ruolo dell’Ue e del futuro modello sociale europeo. Deludendo le aspettative, il Vertice si risolse in un’accademica discussione sulla globalizzazione, sulla strategia globale dell’Ue e sul suo profilo futuro. Il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha tuttavia adottato un Rapporto ad interim della Commissione relativo al follow-up del Vertice, documento che illustra come considerare, a livello interno, i differenti argomenti dibattuti in occasione dell’incontro (ricerca e sviluppo, università, sfida demografica, energia, migrazioni, sicurezza), ai quali si aggiunge la dimensione esterna. Un documento separato affronta poi le priorità d’azione miranti ad affrontare la sfida delle migrazioni e insiste su tre assi: il rafforzamento della cooperazione tra Stati membri e della loro azione in materia di migrazioni, la cooperazione con alcuni Paesi d’origine “chiave” in Africa e la cooperazione con i Paesi confinanti. La Commissione ha anche adottato un nuovo quadro relativo a un aperto coordinamento delle politiche di protezione e di inclusione sociale all’interno dell’Ue. La proposta verte sulla realizzazione di un Metodo aperto di coordinamento (Moc) più forte e più visibile, mirato maggiormente alle realizzazioni, che dovrebbe interagire positivamente con la Strategia di Lisbona ora rivista e, contemporaneamente, dovrebbe semplificare il lavoro di analisi e aumentare le possibilità di scambio di opinioni sulla politica da seguire.
La Commissione ha inoltre reso nota, nel febbraio 2006, la propria iniziativa relativa ai dispositivi di risorse minime e all’integrazione dei mercati del lavoro. In realtà, non si tratta di un’iniziativa comunitaria, come annunciato nell’Agenda per la politica sociale pubblicata un anno prima, ma di un documento che vuole avviare «una consultazione relativa a un’azione da realizzarsi a livello comunitario al fine di promuovere l’inclusione attiva degli individui più lontani dal mondo del lavoro». Fondata sull’articolo 138 del Trattato, la consultazione non riguarda solo le parti sociali, ma anche le autorità pubbliche a tutti i livelli, nonché le organizzazioni della società civile. Tutti gli attori hanno potuto fornire il proprio parere su tre punti:
• L’inclusione sociale rappresenta una grande sfida per gli Stati membri, e in particolare l’inserimento degli individui più lontani dal mercato del lavoro; è necessaria quindi un’azione complementare su scala europea? In caso di risposta affermativa, quali sono gli strumenti più utili attraverso cui l’Ue potrebbe completare e sostenere l’azione a livello nazionale?
• Come può l’Ue basarsi sugli elementi comuni concordati nella raccomandazione del 1992, al fine di promuovere i diritti degli esclusi e l’accesso ai servizi necessari al loro inserimento, tenendo conto delle innovazioni introdotte da allora?
• Un’azione a livello comunitario può essere giustificata sulla base dell’articolo 137 (punto 1h) del Trattato? In un tale contesto, gli aspetti relativi all’attivazione e all’accesso al mercato del lavoro possono essere oggetto di negoziati tra i partner sociali?


continua l’allargamento dell’Ue


Dopo la decisione dell’ottobre 2005 relativa all’apertura dei negoziati di adesione con la Turchia e la Croazia, il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha concesso all’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) lo statuto di Paese candidato, senza precisare la data per l’apertura dei negoziati. La concessione dello statuto di Paese candidato sbloccherà dei crediti supplementari a favore della Croazia. Il Parlamento europeo ha infatti adottato la trasformazione del partenariato con la Croazia in un “partenariato per l’adesione” e, inoltre, ha adottato il rapporto sulla politica di prossimità che richiede un rafforzamento delle relazioni politiche. La Commissione europea ha invece adottato una comunicazione relativa ai Balcani occidentali, in cui sottolinea l’importanza della “vocazione europea” di questi Paesi, vale a dire la loro prospettiva di adesione in conformità con le prospettive aperte dal Consiglio europeo di Salonicco (giugno 2003), e propone che i Paesi della regione creino una zona di libero scambio che li comprenda. Infine, il Consiglio ha adottato una decisione sui principi, sulle priorità e sulle condizioni indicate nel partenariato per l’adesione della Turchia.

Balcani come “laboratorio” politico

Il commissario europeo all’Allargamento Olli Rehn, intervenendo al Parlamento europeo il 15 marzo scorso, ha dichiarato che gli sforzi e le attenzioni dell’Ue sono concentrati prevalentemente «sull’unificazione dell’Europa sud-orientale: Bulgaria e Romania, Turchia e Balcani occidentali» e che, in questo quadro, i Balcani occidentali rappresentano un «laboratorio per implementare la politica estera e di sicurezza dell’Ue».
Mentre con Bulgaria e Romania sono stati sottoscritti il 27 aprile 2005 i Trattati di adesione e i due Paesi dovrebbero diventare Stati membri dell’Ue nel 2007 (con la Romania in leggero ritardo su alcuni capitoli dell’acquis comunitario), con Turchia e Croazia sono stati avviati i negoziati di adesione, mentre la Macedonia ha ottenuto lo status di Paese candidato, come detto in precedenza. Con l’Albania sta per essere siglato un Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa), mentre sono in corso negoziati per giungere a un simile accordo con la Bosnia Erzegovina e, seppur con maggiori difficoltà, con la Serbia-Montenegro, con clausola fondamentale la collaborazione delle autorità bosniache e soprattutto serbe con il Tribunale penale internazionale sull’ex Jugoslavia. La questione più delicata resta quella dello status del Kosovo, per il quale l’Ue ritiene fondamentali trattative tra le autorità di Belgrado e Pristina affinché sia trovata una soluzione sostenibile e stabile.

una maggior cooperazione economica

L’avvicinamento politico dell’Ue con l’area balcanica non può prescindere dall’incremento della cooperazione economica, infatti le istituzioni europee mirano alla creazione in tempi brevi di un’area regionale di libero scambio, per rafforzare i 31 accordi bilaterali già esistenti con 6 Paesi dei Balcani. In tale direzione va il Trattato multilaterale siglato il 25 ottobre 2005 dall’Ue e i Paesi dell’area balcanica, che oltre a istituire la Comunità dell’Energia favorisce l’apertura dei mercati e la garanzia degli investimenti nella regione. Il 13 marzo scorso, poi, si è svolto a Salisburgo un Consiglio Affari Esteri informale dell’Ue aperto a Romania, Bulgaria, Turchia e ai Paesi dei Balcani occidentali, la cui dichiarazione finale congiunta ha confermato l’impegno comune per il processo di stabilizzazione e di associazione, aggiungendo che «l’obiettivo ultimo è l’adesione pura e semplice all’Ue». Per quanto concerne il negoziato già in corso con la Turchia e il rispetto dei criteri economici, il Consiglio europeo ha incoraggiato il proseguimento delle riforme strutturali già concordate, di concerto con il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale (Bm). Non è cosa nuova, tuttavia va sottolineato che all’interno di un rapporto adottato durante l’incontro del 1° febbraio scorso, la commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo ha presentato in maniera critica le esigenze del Fmi e le conseguenze sociali da esse derivanti.

ENERGIA: UN LIBRO VERDE PER LA POLITICA COMUNE

L’8 marzo 2006 la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde sull’energia, per contribuire alla formazione di una politica energetica comune sollecitando tutti i soggetti interessati a esprimere opinioni su oltre 20 proposte di intervento, basate su tre obiettivi prioritari: sviluppo sostenibile, competitività e sicurezza dell’approvvigionamento. L’urgenza di definire una politica europea sull’energia è dettata dal fatto che l’Ue importa circa la metà delle fonti energetiche di cui necessita e, dati i problemi verificatisi negli ultimi mesi per le forniture di gas russo, va creato un meccanismo comunitario che consenta di reagire con rapidità e in modo coordinato alle crisi esterne dell’approvvigionamento energetico. La Commissione ricorda come, senza correttivi, la dipendenza dell’Ue dalle importazioni di energia raggiungerà il 70% del fabbisogno nei prossimi 2 o 3 decenni e che per soddisfare la domanda di energia prevista e sostituire le vecchie infrastrutture, nei prossimi 20 anni saranno necessari investimenti per circa 3 miliardi di euro. In materia di gas naturale, ad esempio, oggi circa la metà del gas consumato dagli Stati membri dell’Ue proviene da soli tre Paesi (Russia, Norvegia e Algeria) e, se gli attuali modelli di consumo rimarranno immutati, nei prossimi 25 anni le importazioni di gas potrebbero aumentare fino a rappresentare l’80% del fabbisogno europeo. Non va meglio per il petrolio, il cui consumo globale è aumentato del 20% dal 1994 e si prevede che la domanda globale di greggio aumenterà dell’1,6% all’anno. Così, i prezzi di gas e petrolio sono in costante aumento e negli ultimi due anni sono in pratica raddoppiati nell’Ue, cosa avvenuta anche per i prezzi dell’elettricità. Nonostante ciò, l’Ue non ha ancora istituito mercati energetici interni perfettamente competitivi. Anche per questo è urgente una politica energetica europea comune, sollecitata dalla Commissione europea con la pubblicazione del Libro verde.

INFORMAZIONI: http://europa.eu.int/comm/energy/index_it.html



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