Stress test bancari: severità incompleta?

Sono stati pubblicati il 23 luglio scorso i risultati degli stress test imposti a 91 istituti di credito europei da Banca centrale europea (Bce), Commissione europea e Comitato europeo di sorveglianza bancaria (Cebs). I rappresentanti dei tre organismi si sono detti soddisfatti dei risultati e della «trasparenza di questo esercizio», tenendo conto delle condizioni particolari in cui operano i mercati finanziari.

I test sono basati sull’indice di capitalizzazione del mondo del credito aggregato, il cosiddetto “Tier 1” definibile come la quota del patrimonio di un istituto di credito rappresentato da capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte. Secondo quanto scritto nel secondo accordo di Basilea (Basilea II) il Tier 1 non può essere inferiore al 4%; a fine 2009 il dato rilevato a livello europeo era del 10,3%.

Gli stress test hanno analizzato l’evoluzione di questa grandezza in presenza di un nuovo severo schock economico finanziario in grado di produrre nel volgere di un biennio una caduta del Pil del 3% e violente turbolenze sui mercati finanziari, tali da produrre, per il sistema bancario europeo, perdite per 566 miliardi di euro. L’indice di capitalizzazione scenderebbe allora al 9,2%.

Soltanto per sette banche europee sulle 91 sottoposte ai test (le spagnole Unnim, Diada, Espiga, CajaSur, Banca Civica, l’ellenica Ate e la tedesca Hypo Real Estate) l’indice di capitalizzazione scenderebbe al di sotto del 6%, indicato, per altro, nel Rapporto conclusivo sugli stress test come «soglia di riferimento soltanto per questo esercizio e da non interpretarsi né come parametro regolativo – in tal senso resta valido il 4% indicato dagli accordi di Basilea – né come indicatore del profilo di rischio delle diverse istituzioni bancarie».

Necessari 3,5 miliardi per salvare il sistema bancario

Sarebbero allora necessari 3,5 miliardi di nuovi capitali per salvaguardare il sistema bancario europeo, risorse da reperire prioritariamente per via privata dal momento che, come si legge nel comunicato della Banca centrale europea e come più volte ribadito nel corso della conferenza stampa di presentazione dei risultati, «solo se necessario potranno fare ricorso ai fondi messi a disposizione dagli Stati membri».

Nonostante molte rassicurazioni sulla severità del test, più volte ribadite dal vicepresidente della Banca centrale europea, Victor Constancio, molti osservatori hanno invece messo in luce come esso sia in realtà «troppo morbido» in quanto non prende in esame la possibilità di default di un Paese dell’Ue, eventualità di cui tanto si discusse, conti alla mano, nei giorni dell’esplosione della crisi greca, quando altri Paesi mediterranei (Spagna, Portogallo e Italia) vennero indicati come Paesi a rischio con tanto di previsioni e relative prese di posizioni strategiche dei leader politici nazionali.

Eppure questa eventualità non è stata presa in considerazione da chi ha elaborato il test perché, ha detto ancora Constancio, «non è un’ipotesi che riteniamo possibile», sottolineando che la scelta di non prendere in considerazione questa opzione «non è una scelta politica».

37 istituti bancari a rischio

Altro elemento che genera perplessità in alcuni osservatori è la quota di capitali necessari per salvaguardare l’indice di capitalizzazione: quei 3,5 miliardi di euro sono considerati troppo pochi soprattutto da chi fa riferimento ad alcuni dati diffusi da Goldman Sachs e provenienti da una ricerca condotta tra operatori economici europei, asiatici e americani, secondo i quali lo scenario prefigurato nei test determinerebbe il fallimento di 10 istituti di credito e la necessità di ricapitalizzare per un ammontare non inferiore ai 10 miliardi di euro.

In effetti, come ha dichiarato lo stesso vicepresidente del Cebs Giovanni Carosio, una ricapitalizzazione post stress di 3,5 miliardi di euro porterebbe tutte le banche europee al di sopra del 6% ma molte di esse resterebbero pericolosamente vicine a questa soglia: «Undici banche sono fra il 6 e 6,5% e altre 19 entro il 7%».

Aggiungendo questi numeri ai sette istituti che non supererebbero lo stress si arriva a 37 istituti a rischio e questo senza considerare l’eventualità di default di un altro Stato membro dell’Ue.

Dubbi sulla promozione delle banche italiane

Le prime reazioni dei mercati sono state positive, ma saranno la politica economica degli Stati dell’Ue (per ora coordinata ma non comune) e la forza della solidarietà europea (che non ha certo dato buona prova di sé nel recente passato) a dire quanto è remota l’eventualità di un nuovo default e quanto l’Europa è in grado di farvi fronte.

Certo che, guardando all’Italia, si comprendono le perplessità di chi critica i test se è vero che tutte le banche italiane che vi hanno preso parte sono state promosse (Monte dei Paschi di Siena, Unicredit, UBI banca, Intesa San Paolo e Banca Popolare) ma che per tre di loro l’indice di capitalizzazione in caso di stress sarebbe tra il 6% e il 7% (UBI Banca, Monte dei Paschi e Banca popolare).

Dato non fino in fondo tranquillizzante se lo si confronta con quello registrato da altri importanti istituti di credito europei (BNP, Crédit Agricole, Deutsche Bank, Berclays, Royal Bank of Scotland) il cui  margine di capitalizzazione, anche dopo le turbolenze, resterebbe al di sopra del 9%.

Non a caso esponenti di spicco di Bankitalia, pur commentando positivamente gli esiti dei test, invitano gli istituti di credito italiani a rafforzare il patrimonio perché «i livelli di patrimonializzazione sono adeguati anche nello scenario avverso ma, anche alla luce del basso grado di leva finanziaria dei gruppi italiani, procedere sull’irrobustimento del capitale è essenziale, anche per garantire adeguati livelli di credito al sistema economico produttivo».

(Marina Marchisio)

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