Inserto n. 47:
Politica migratoria Ue


aperture selettive della “fortezza” Europa

Contrasto dell’immigrazione illegale, selezione qualitativa dei flussi d’ingresso di immigrati in base alle esigenze europee, migliore integrazione dei cittadini di Paesi terzi residenti regolarmente nell’Ue: su questi tre pilastri si basa la politica migratoria europea ormai da qualche anno. La sua realizzazione è però molto più complessa di quanto può apparire, per vari motivi e responsabilità, e quel che è peggio è che le conseguenze ricadono inevitabilmente sulle persone più deboli che costituiscono la numerosa e alquanto eterogenea popolazione dei migranti.
Innanzitutto la difficoltà di definire, e soprattutto applicare, una politica migratoria comune a tutti gli Stati membri. Avviata con il Consiglio europeo di Tampere nel 1999 e rilanciata col Programma dell’Aia nel 2004, la politica comune è stata una delle priorità delle istituzioni europee nel corso degli ultimi due anni, ma inizia ad avere caratteri comunitari quasi esclusivamente in materia di contrasto dell’immigrazione illegale, per tutto il resto gli Stati membri dell’Ue continuano a difendere strenuamente la loro sovranità.

contrasto dell’immigrazione illegale
Varie le iniziative in atto sul fronte dell’immigrazione illegale, e “fronte” è termine appropriato dato che si stimano quasi 10.000 vittime delle migrazioni verso l’Ue negli ultimi 20 anni, circa 1600 nel corso del 2006 e 960 nei primi otto mesi del 2007. L’Agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex, con sede a Varsavia), in pochi mesi di attività ha già coordinato diverse operazioni congiunte di pattugliamento costiero al fine di limitare l’immigrazione via mare verso il territorio europeo. Inoltre, su indicazioni della Commissione e del Consiglio europeo, dovrebbe avviare un Rete di pattugliamento e un Sistema europeo di sorveglianza, oltre che un’assistenza operativa per migliorare la capacità degli Stati membri dell’Ue di gestire i flussi illegali d’ingresso. Se da un lato, però, controlli più intensi riducono quantitativamente i flussi illegali delle migrazioni, dall’altro aumentano i rischi per i migranti perché spingono gli organizzatori dei traffici a ricercare nuove e più pericolose vie d’ingresso: a una diminuzione degli sbarchi di migranti sulle coste europee negli ultimi mesi è corrisposto un aumento delle tragedie dell’immigrazione.
Un grave problema umanitario che l’Ue non può sottovalutare. E infatti, come dimostrato dal primo Vertice Europa-Africa svoltosi nel novembre 2006 a Tripoli, l’Ue chiede ai principali Paesi di provenienza e transito dei flussi migratori maggior cooperazione nel controllo delle frontiere e nel rispetto degli accordi di riammissione. Una sorta di delocalizzazione dei controlli sulle migrazioni illegali che andrebbe però monitorata meglio dall’Ue: le ispezioni svolte in alcuni Paesi nordafricani dalla commissione del Parlamento europeo e varie denunce di organizzazioni umanitarie mostrano gravi violazioni dei diritti umani nelle pratiche di contrasto delle migrazioni e condizioni inaccettabili nei Centri di trattenimento per migranti.
Quello dei luoghi di detenzione amministrativa per gli immigrati illegali è un problema che investe anche l’Ue al suo interno: negli oltre 170 Centri esistenti in tutta Europa sono state rilevate gravi violazioni di diritti fondamentali nonché enormi differenze di trattamento; ad esempio, il periodo di trattenimento varia negli Stati membri da un minimo di 36 ore a un termine illimitato. Per questo la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva, attualmente al vaglio del Parlamento europeo, per definire regole comuni sui rimpatri che prevede un fermo massimo di 18 mesi: anche in questo caso, però, le critiche espresse da forze politiche e sociali sono numerose, perché si ritiene comunque un termine esagerato per procedere alla semplice identificazione del migrante e che implica un carattere estremamente punitivo verso persone che non hanno commesso reato (l’Ue non ha mai riconosciuto infatti il reato di immigrazione illegale).

Tabella 1immigrazione selezionata
Altro aspetto della politica europea è poi quello della selezione all’ingresso, così da stabilire quanti cittadini di Paesi terzi possono entrare e soprattutto con quali caratteristiche. A tale proposito, la Commissione europea ha annunciato l’imminente presentazione di una proposta che prevede l’istituzione di una “Carta blu” per l’ingresso legale e agevolato (ispirata alla “Carta verde” statunitense). Secondo il commissario europeo responsabile per Libertà, Sicurezza e Giustizia, Franco Frattini, la politica migratoria europea deve rispondere a una duplice sfida: «Il declino demografico europeo e la penuria di lavoratori qualificati in alcuni settori». Il vicepresidente della Commissione ha aggiunto che, attualmente, «l’85% dei lavoratori non qualificati va verso l’Ue e solo il 5% negli Usa, mentre il 55% del lavoro qualificato si dirige verso gli Usa e solo il 5% verso l’Ue». L’intenzione è dunque di invertire questa tendenza, ma esistono due rischi principali. Quello di creare una sorta di “tratta globale dei cervelli”: secondo uno studio della Banca Mondiale, i Paesi poveri “donano” a quelli ricchi fino all’89% dei propri cittadini con alti livelli di istruzione e qualifica professionale, con un conseguente circolo vizioso di povertà e arretratezza sociale, e sono costretti a importare know how dai Paesi sviluppati per un costo complessivo di 14 miliardi di dollari ogni anno. Un altro rischio è che nel selezionare qualitativamente l’immigrazione si determini anche un diversa garanzia di diritti fondamentali, ai danni di quella maggioranza di migranti che sono già più deboli perché poco qualificati. Senz’altro più egualitaria pare essere la proposta della Commissione di facilitare e incoraggiare la “migrazione circolare e temporanea”, intensificando la collaborazione con i Paesi di provenienza dei migranti. Comunque sia, per ora la politica comune in materia di immigrazione legale è solo un’intenzione: le istituzioni europee mirano a migliorare il coordinamento e ad armonizzare le norme, dopodichè la gestione di flussi e quote rimarrà gestita dai singoli Stati membri.

molto da fare per l’integrazione
Restano poi da definire regole comuni europee per tutti i cittadini di Paesi terzi che già vivono e lavorano regolarmente nell’Ue, molti dei quali da parecchi anni. Secondo le stime contenute nel recente Rapporto su migrazioni e integrazione presentato dalla Commissione europea, si tratta di almeno 18,5 milioni di persone, pari al 3,8% delle popolazione totale dell’Ue. L’integrazione di questi cittadini va migliorata in tutti gli Stati membri, perché come riportano i vari Rapporti dell’ex Osservatorio europeo sul razzismo e dell’attuale Agenzia europea per i diritti fondamentali, le discriminazioni sono ancora diffuse in molti ambiti della vita sociale ed economica. Come osserva il commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari sociali Vladimir Špidla, «non si tratta di scegliere tra un futuro con o senza immigrazione», perché «il mercato del lavoro europeo avrà inevitabilmente bisogno di nuovi migranti». Il vero problema, nota giustamente Špidla, «sarà riuscire a integrare gli immigrati di oggi e di domani, inserirli cioè non solo nel mondo del lavoro ma anche in tutte le sfere delle nostre società».

iniziative politiche e difficoltà



La politica migratoria comune, prospettata a Tampere nel 1999 e riaffermata col Programma dell’Aia nel 2004, non è un obiettivo semplice da raggiungere perché si tratta di materia sulla quale è necessaria l’unanimità degli Stati membri, che hanno però esigenze e approcci differenti. Nel documento di valutazione dell’attuazione del Programma dell’Aia, presentato nel 2006 dalla Commissione europea, si evidenziavano varie carenze tra i Paesi dell’Ue sia quantitative che qualitative nel recepimento delle norme europee. L’applicazione a livello nazionale non è soddisfacente, sottolineava la Commissione, gli Stati membri non possono essere denunciati alla Corte in caso di violazioni e i negoziati in sede di Consiglio sono difficili e lenti, mentre l’obbligo dell’unanimità porta spesso ad accordi “annacquati”. In ogni caso, l’attuazione del Programma dell’Aia prosegue ed è centrata sugli interventi più urgenti: diritti fondamentali e cittadinanza; asilo, con lo sviluppo della seconda fase della politica comune; gestione dell’immigrazione e gestione integrata delle frontiere esterne.

controlli alle frontiere esterne
La gestione delle frontiere esterne resta uno dei punti centrali per lo spazio comune di sicurezza e giustizia. Entro la fine del 2007 è prevista l’estensione ai 10 Paesi entrati a far parte dell’Ue nel 2004 (dunque non ancora a Bulgaria e Romania) dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne. Lo Spazio Schengen senza frontiere si allarga quindi significativamente, ma proprio per questo sono necessari una seconda generazione del Sistema d’Informazione Schengen (SIS II) e una nuova organizzazione dei controlli alle frontiere esterne. A est, soprattutto con l’Ucraina, Paese da cui si stima sia transitato circa il 70% dell’immigrazione illegale verso l’Ue da oriente e che rischia di diventare il “centro di respingimento” dei migranti diretti nell’Ue allargata. Sul fronte meridionale, invece, nell’ultimo anno l’Ue ha messo in atto varie iniziative, tra le quali le Conferenze ministeriali di Rabat e di Tripoli, quest’ultima particolarmente significativa perché primo incontro ufficiale sulle migrazioni tra l’Ue e l’Unione Africana (Ua). È stato stipulato un accordo di cooperazione che prevede un miglior controllo delle frontiere, il rispetto degli accordi di riammissione degli immigrati illegali e l’impegno a valutare la possibilità di un Fondo euro-africano per l’immigrazione. Collaborazione euro-africana per la quale la Commissione ha proposto nuove misure alla fine del 2006, quali l’istituzione di «squadre di assistenza» per migliorare la capacità operativa e amministrativa, «portali europei della mobilità professionale» per fornire informazioni sulle opportunità di lavoro in Europa, «centri di assistenza per la migrazione» nei Paesi d’origine dei flussi. Prosegue poi l’attività dell’Agenzia per il coordinamento delle frontiere esterne (Frontex), soprattutto con interventi di pattugliamento nel Mediterraneo e nel tratto di Atlantico che separa le coste africane dalle Canarie: il potenziamento di Frontex è stato deciso nel Consiglio europeo che, prospettando la creazione di un «sistema europeo di sorveglianza», ha invitato l’Agenzia e gli Stati membri dell’area mediterranea a istituire «una rete permanente» di pattugliamento costiero.

maggior coordinamento interno
Oltre alla cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi migratori diretti in territorio europeo, l’Ue deve però accrescere la collaborazione interna se intende giungere nei prossimi anni a una politica comune. Lo stesso Consiglio europeo del dicembre 2006, dedicato in gran parte alla politica migratoria, ha espresso «preoccupazione per la difficoltà di rispondere alle aspettative» sull’armonizzazione necessaria nell’ottica di una politica comune «avvalendosi delle attuali procedure decisionali». Oltre a concordare sulla necessità di una maggior solidarietà tra gli Stati membri nel contrasto e soprattutto della gestione dell’immigrazione illegale, l’Ue sta discutendo una proposta di direttiva sui rimpatri (attualmente all’analisi dell’Europarlamento), per armonizzare norme e pratiche ancora molto difformi tra i Paesi europei, ed è alle prese con la seconda fase della creazione di un regime comune in materia di asilo. Mentre la prima fase prevedeva un’armonizzazione degli ordinamenti sulla base di norme minime comuni, la seconda fase prevede un ulteriore ravvicinamento delle procedure, delle norme giuridiche e delle condizioni di accoglienza nazionali, il tutto entro il 2010. A tale proposito, nei mesi scorsi è stato pubblicato un Libro Verde: in base all’esito di questa consultazione, nel primo trimestre 2008 la Commissione presenterà un piano strategico sulle modalità di attuazione del regime comune d’asilo.
Per aumentare la comunicazione tra gli Stati membri, poi, nell’ottobre 2006 è stata introdotta una procedura d’informazione reciproca sulle misure prese dai vari Paesi nei settori dell’asilo e dell’immigrazione, riconoscendo la crescente interdipendenza delle politiche nazionali su questa materia.

immigrazione legale
Ma è sull’immigrazione legale che la politica comune incontra le maggiori difficoltà, perché si tratta di materia di competenza dei singoli Stati membri cui spetta il compito della gestione dei flussi migratori in base alle esigenze nazionali. L’Ue, alle prese con carenza di manodopera e invecchiamento costante della popolazione, intende però migliorare almeno il coordinamento delle politiche. In questo senso vanno alcune recenti iniziative della Commissione, come la comunicazione sulla “migrazione circolare” (temporanea), da attuare in partenariato con i Paesi e le regioni di origine e transito dei migranti al fine di adattare la mobilità delle persone alle esigenze del mercato del lavoro europeo. Inoltre, in ottobre è prevista la presentazione di due proposte di direttiva: una sulle condizioni di ammissione nell’Ue dei lavoratori altamente qualificati (con la definizione della cosiddetta “Carta blu”), l’altra sulla tutela dei diritti degli immigrati regolari nel mercato del lavoro, diretta ad assicurare che tutti i lavoratori di Paesi terzi godano di un livello comparabile di diritti in tutta l’Ue. Queste iniziative rientrano nel piano d’azione sull’immigrazione legale, richiesto dal Programma dell’Aia per «reagire rapidamente alla domanda fluttuante di manodopera straniera nel mercato del lavoro».

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/justice_home/index_en.htm

Rapporto su migrazione e integrazione

«Realizzare il pieno potenziale dell’immigrazione è possibile solo se diamo agli immigrati l’opportunità di integrarsi nella società e nell’economia del Paese ospitante» ha dichiarato il commissario europeo responsabile per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Franco Frattini, presentando il 12 settembre scorso il terzo Rapporto annuale su migrazione e integrazione nell’Ue. Uno studio che analizza le misure prese, a livello europeo e nazionale, per l’ammissione e l’integrazione dei cittadini provenienti da Paesi terzi, fornisce una panoramica degli sviluppi politici e intende contribuire a valutare e rafforzare le misure di integrazione. Il Rapporto segue quelli pubblicati nel luglio 2004 e nel giugno 2006 e contiene informazioni sulla creazione del quadro normativo comunitario per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi. Annuncia inoltre l’impegno della Commissione per sviluppare tale quadro, esaminando in che modo la partecipazione e la cittadinanza possono favorire il processo di integrazione e promuovendo la definizione di indicatori e indici comuni utilizzabili dagli Stati membri su base volontaria.

Tabella 2alcuni dati del Rapporto
Secondo il Rapporto, nel gennaio 2006 i cittadini di Paesi terzi residenti nell’Ue erano 18,5 milioni, pari al 3,8% della popolazione totale (che è di circa 493 milioni). L’immigrazione continua a essere il principale elemento di crescita demografica dell’Ue e in molti Stati membri si registra una migrazione netta positiva: mentre per quasi tutti gli anni Novanta si è situata tra il mezzo milione e il milione annui, la migrazione netta ha raggiunto dal 2002 un livello compreso tra 1,5 e 2 milioni. Le comunità di stranieri immigrati più consistenti nell’Ue sono quelle turca (circa 2,3 milioni), marocchina (1,7 milioni), albanese (circa 800.000) e algerina (circa 600.000), mentre in alcuni Stati membri il numero di cittadini nati all’estero è sensibilmente più alto di quello relativo ai cittadini residenti di nazionalità straniera, questo perché molti immigrati da Paesi terzi decidono di acquisire la cittadinanza del Paese ospitante (vedi tabella a lato). La tipologia degli ingressi varia a seconda dei Paesi: mentre le riunificazioni familiari sono considerevoli in Austria, Francia e Svezia, in altri Stati membri, come Irlanda, Regno Unito, Spagna e Portogallo, prevale l’immigrazione per motivi di lavoro. Approccio diverso anche per quanto concerne i processi di regolarizzazione: la Spagna, ad esempio (come prima l’Italia), ha messo in atto regolarizzazioni generalizzate, mentre Paesi quali Francia, Germania e Olanda hanno optato per regolarizzazioni limitate a specifici gruppi di immigrati.

distanza tra teoria e pratica

Secondo la Commissione europea, consolidare la struttura legale sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini non comunitari è essenziale per lo sviluppo di un coerente approccio dell’Ue sull’integrazione. Oltre a ricordare gli strumenti legislativi già in vigore sui ricongiungimenti familiari, i residenti di lungo periodo, coloro che necessitano di protezione internazionale, la Commissione sottolinea l’importanza di garantire l’accesso a occupazione, istruzione e sanità attraverso la definizione di diritti minimi riconosciuti da tutti gli Stati membri. Gli elementi principali per l’integrazione, sottolinea il Rapporto, sono vari: l’inserimento nel mercato del lavoro, ad esempio, eliminando ogni barriera sia per il lavoro dipendente sia per la crescente imprenditorialità immigrata; il dialogo interculturale, che avrà un maggior impulso nel 2008 dichiarato Anno europeo su questo tema; la promozione dei diritti fondamentali, delle pari opportunità e della non discriminazione; la protezione e l’inclusione sociale. Al di là dei buoni intenti, però, l’integrazione nell’Ue resta difficoltosa e permane di fatto una sorta di “cittadinanza inferiore” per molti residenti di origine non comunitaria. Vari studi europei mostrano infatti l’esistenza di diverse forme di discriminazione nei principali ambiti della vita sociale ai danni degli immigrati ma anche di richiedenti asilo e rifugiati, discriminazioni che avvengono o si ripercuotono spesso anche sulle seconde e terze generazioni. La Caritas Europa, ad esempio, segnala che il rischio di esclusione sociale è elevato tra gli immigrati stranieri per il lavoro, l’alloggio, la salute, l’istruzione e la partecipazione alla vita pubblica, mentre l’Ocse rileva che la disoccupazione è più elevata tra gli stranieri che tra i cittadini nazionali in tutti gli Stati dell’Ue.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/justice_home/doc_centre/immigration/integration/doc_immigration_integration_en.htm



immigrazione secondo l’Europarlamento

Una direttiva che fissi un quadro comune di diritti e obblighi dei lavoratori immigrati, nuove misure per attirare lavoratori qualificati, ma anche maggiore attenzione per i lavoratori stagionali e iniziative per agevolare l’integrazione. È quanto ha chiesto il Parlamento europeo adottando, il 26 settembre scorso, una relazione sull’immigrazione legale. L’Europarlamento sottolinea la necessità di un approccio globale e coerente in materia d’immigrazione a livello europeo, «poiché una modifica della politica d’immigrazione in uno Stato membro influenza i flussi migratori e l’evoluzione in altri Stati membri». A tale proposito, i deputati condividono il piano d’azione sull’immigrazione legale presentato dalla Commissione, perché «l’apertura di canali di immigrazione legale contribuirà alla lotta a quella illegale e al traffico di esseri umani». Sottolineando che i controlli sull’immigrazione legale nell’Ue «sono sempre più severi», gli eurodeputati ritengono «sbagliato far credere che l’immigrazione non sia controllata» e chiedono alla Commissione di procedere a una previsione a breve e medio termine del fabbisogno di manodopera supplementare nei vari Stati membri. Tali stime dovrebbero anche tener conto degli immigrati non economici, dei profughi e delle persone che necessitano di un regime di protezione sussidiaria, nonché dei ricongiungimenti familiari. L’Europarlamento concorda poi sulla necessità di migrazioni temporanee, così da evitare gli effetti dannosi della “fuga di cervelli” stimolando invece la “circolazione dei cervelli”.

diritti e doveri comuni per i lavoratori immigrati
L’attenzione del Parlamento europeo è rivolta soprattutto al mercato del lavoro, dunque alla definizione di diritti e doveri comuni per i lavoratori non comunitari già occupati nell’Ue e alle condizioni di ingresso e soggiorno per i nuovi lavoratori. Gli eurodeputati considerano «indispensabile» l’adozione di una direttiva generale per garantire, ai cittadini di Paesi terzi che lavorano legalmente in uno Stato membro dell’Ue, «un quadro comune di diritti corredato da un certo numero di obblighi da rispettare». In proposito, sottolineano la necessità di evitare una gerarchia dei diritti tra le diverse categorie di lavoratori e di proteggere in particolare i lavoratori stagionali e i tirocinanti retribuiti. È ritenuto opportuno, inoltre, elaborare un vademecum dei diritti e dei doveri dei lavoratori migranti, al fine di «agevolarne la partecipazione alla vita economica, sociale e politica». Approvando poi l’idea di un’unica richiesta per un permesso combinato soggiorno/lavoro, i deputati europei ritengono che la direttiva debba includere proposte che consentano agli immigranti di cambiare status o lavoro, pur restando nell’Ue. Istituire relazioni di lavoro stabili e basate sul diritto tra imprese e lavoratori è importante secondo il Parlamento, che appoggia dunque la proposta di visti di lunga durata per ingressi multipli, nonché la possibilità per gli immigrati tornati nei Paesi d’origine di ottenere prioritariamente un nuovo permesso di soggiorno, in vista di un’ulteriore occupazione temporanea.

attrarre i lavoratori qualificati

L’Europarlamento appoggia «ogni misura volta ad aumentare l’attrattiva dell’Ue agli occhi dei lavoratori maggiormente qualificati, al fine di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro europeo». Per questo, suggerisce alla Commissione europea e agli Stati membri di individuare le modalità necessarie ad accordare immediatamente a tali lavoratori il diritto di circolare liberamente nell’Ue. È sostenuta «ogni misura di semplificazione che agevoli l’entrata di questi lavoratori», pur riconoscendo il diritto di ogni Stato membro di definire le quote di immigrazione economica. I deputati europei si dicono favorevoli alla creazione di un permesso di lavoro europeo, la cosiddetta “Carta blu”, «per facilitare la libera circolazione dei “cervelli” in Europa nonché i trasferimenti di personale in seno alle multinazionali». Uno studio sulla possibilità di attuare un sistema di “Carta blu” anche per gli immigrati non comunitari in ricerca di lavoro è poi richiesto alla Commissione europea. Per quanto riguarda il lavoro stagionale, l’Europarlamento sottolinea come i lavoratori provenienti da Paesi terzi apportino un «contributo essenziale» a settori come l’agricoltura, l’edilizia e il turismo, per cui i lavoratori immigrati stagionali che rispettano le norme stabilite dall’Ue devono beneficiare di un accesso prioritario alle altre forme d’immigrazione legale. D’altro canto, i settori che utilizzano maggiormente manodopera immigrata stagionale sono anche quelli che fanno più ricorso al lavoro irregolare: gli eurodeputati esprimono quindi parere favorevole sulla proposta di direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano immigrati illegali.

INFORMAZIONI: http://www.europarl.europa.eu

I NUMERI DELL’IMMIGRAZIONE IN EUROPA

• Circa 26 milioni gli stranieri in regola con le norme del soggiorno nell’Ue è 6-7 milioni gli irregolari stimati. Tra i residenti stranieri regolari, circa il 57% proviene da altri Paesi del continente europeo e di questi circa il 27,5% da altri Stati membri dell’Ue.
• Nel 2005 l’International Organization for Migration (Iom) stimava il numero complessivo di stranieri residenti legalmente e illegalmente nell’attuale Ue a 27 Stati compreso tra i 35 e i 38 milioni.
• La Germania è il primo Paese dell’Ue per numero di stranieri regolari (quasi 7,3 milioni), seguono Spagna (circa 3,4 milioni), Francia (circa 3,3 milioni), Italia (circa 3 milioni) e Regno Unito (poco meno di 3 milioni). Rispetto all’incidenza sulla popolazione, al primo posto si trova il Lussemburgo (circa il 37% di residenti stranieri), seguito da Lettonia (circa 22%) ed Estonia (circa 20%), mentre con percentuali decisamente inferiori seguono altri Paesi quali Austria (9,4%), Germania (8,8%) e Belgio (8,4%); la Slovacchia, con lo 0,4%, è invece lo Stato membro dell’Ue con l’incidenza più bassa di stranieri sulla popolazione
• Dal 2000 al 2005 gli incrementi più alti di stranieri regolari si sono verificati in Portogallo (numero quasi raddoppiato), Italia (+70%, soprattutto grazie alla sanatoria) e Spagna, Paese dove le presenze ufficiali si sono quasi triplicate anche per effetto della vasta regolarizzazione attuata nel 2005 (quasi 700.000 regolarizzati), ma che registra anche un sensibile aumento nei flussi d’ingresso (+50% tra il 2003 e il 2005).

Fonte: Rapporto sui diritti globali 2007, edizione Ediesse


deficit di diritti per i migranti
Esiste un vero «deficit di molteplici diritti alla base del fenomeno migratorio e che accompagna l’intero processo», scriveva il Relatore speciale dell’Onu sui diritti umani dei migranti in un Rapporto pubblicato nel settembre 2006. Un deficit che «può iniziare con la violazione dei diritti già nel Paese d’origine, continuare con abusi e violazioni nei Paesi di transito, in particolare ai danni dei migranti illegali vittime di violazioni da parte delle autorità di frontiera, fino agli abusi subiti nei Paesi di arrivo, che si delineano come sfruttamento lavorativo e discriminazione». Nonostante le molte iniziative delle istituzioni europee per la salvaguardia dei diritti dei migranti, questa situazione è ancora molto diffusa, soprattutto perché vari Paesi cercano di limitare l’applicazione delle garanzie fondamentali, com’è dimostrato dalla riluttanza a ratificare la Convenzione internazionale per la tutela dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, o dalla lentezza nel ratificare le Convenzioni dell’Ilo che riguardano le migrazioni e la Convenzione europea sullo status legale dei lavoratori migranti (ratificata da 9 dei 46 Stati membri del Consiglio d’Europa).

detenuti senza aver commesso reato
Una questione molto dibattuta a livello europeo è quella della detenzione amministrativa cui sono sottoposti gli immigrati illegali nei Paesi di transito o di destinazione, anche per lungo tempo. In Spagna, ad esempio, il numero delle persone detenute nei Centri per immigrati illegali è sestuplicato tra il 2005 e il 2006, soprattutto per gli ingenti flussi dalle coste dell’Africa occidentale verso le Canarie, raggiungendo la quota di 33.000 nelle strutture dell’arcipelago spagnolo e di circa 47.000 a livello nazionale. In Italia, nel periodo 2005/2006 sono transitati nei Centri di detenzione circa 25.000 migranti e circa 22.000 sono poi stati trattenuti. In tutti i casi di detenzione amministrativa, i migranti hanno scarsi o nulli diritti di contestare la legalità della detenzione, a volte soggetta a procedure che non derivano da organi giudiziari. Questa limitazione di diritti è considerata normale nella maggior parte dei Paesi e raramente è oggetto di discussione, con il risultato che spesso i migranti sottoposti a detenzione amministrativa hanno diritti più limitati di qualsiasi detenuto comune in carcere. Una condizione assurda per persone che non hanno commesso alcun reato, dal momento che l’Ue non ha mai riconosciuto il reato di immigrazione clandestina. Quel che è peggio, è che spesso sono sottoposti a detenzione amministrativa anche minori soli (non accompagnati) e donne in gravidanza, come denuncia l’International Detention Coalition (IDC - Coalizione internazionale di Ong).

una direttiva molto discussa
A livello europeo esiste una notevole difformità sulle norme e le pratiche relative al trattenimento e al rimpatrio degli immigrati illegali: per la detenzione, ad esempio, si passa negli Stati membri dell’Ue da poche ore a un periodo illimitato. Per questo la Commissione europea ha proposto una direttiva che è attualmente al vaglio del Parlamento europeo, la cui commissione Libertà civili ha approvato il 12 settembre scorso e che nelle prossime settimane sarà sottoposta all’Assemblea plenaria. Il testo prevede un tempo di detenzione dei migranti da 3 a 18 mesi e il divieto di rientro in tutta l’Ue in caso di espulsione da uno Stato membro, mentre resta piuttosto vago sulle espulsioni collettive, non abbastanza chiaro sullo status dei minori e sulle garanzie procedurali per le persone in attesa di espulsione. Così, molte organizzazioni umanitarie e alcuni gruppi politici hanno criticato fermamente il voto della commissione europarlamentare e annunciano iniziative in vista della discussione in plenaria. Il periodo di detenzione previsto, ad esempio, è ritenuto esageratamente lungo per procedere alla semplice identificazione dell’immigrato illegale e quindi considerato implicitamente punitivo. Inoltre, secondo le critiche, la proposta di direttiva è stata adottata dalla commissione senza attendere i risultati di uno studio sulle condizioni di detenzione negli oltre 170 Centri esistenti nell’Ue, commissionato dallo stesso Parlamento. Contro i contenuti di questa direttiva e contro la stessa esistenza dei Centri di permanenza per immigrati, è stata lanciata una campagna europea organizzata da varie organizzazioni della società civile, cittadini e alcune forze politiche, con una petizione cui è possibile aderire sul sito web www.no-fortress-europe.eu.

LE VITTIME DELLE MIGRAZIONI VERSO L’EUROPA

• La rassegna on line Fortress Europe, che conteggia le vittime delle migrazioni verso l’Europa, ha registrato nell’estate appena conclusa 243 morti in agosto, 217 in luglio, 154 in giugno, per un totale di almeno 960 vittime nei soli primi otto mesi del 2007. La stima relativa agli ultimi anni segnala 1582 vittime nel 2006, almeno 822 nel 2005 e 564 nel 2004, a dimostrazione di una tragica escalation. Complessivamente, negli ultimi 20 anni Fortress Europe ha conteggiato quasi 9800 migranti morti nel tentativo di raggiungere l’Ue, di cui almeno 3650 dispersi.

• Fortress Europe stima almeno 2421 migranti morti nel Canale di Sicilia, lungo le rotte che vanno dalle coste nordafricane e turche a quelle maltesi e italiane. Almeno 724 migranti sono morti nel Mar Egeo. Lungo le rotte che vanno dall’Africa settentrionale alle coste spagnole e alle Canarie sono morte almeno 3252 persone. Almeno 1113 persone dal 1996 sono morte attraversando il Sahara per imbarcarsi poi verso l’Europa. Le vittime delle forze dell’ordine in tutta Europa sono state almeno 57 e includendo i 35 morti di Ceuta e Malilla il numero sale a 92. Viaggiando nascosti nei tir hanno perso la vita almeno 280 migranti e oltre 40 sono assiderati nei vani carrello degli aerei. Almeno 18 persone sono poi decedute mentre erano trattenute in Centri di detenzione per stranieri in attesa di espulsione.

• Secondo l’organizzazione internazionale UNITED, dal 1993 al marzo 2007 le persone morte per raggiungere il territorio europeo sono state 8855, almeno quelle documentare.

• Circa 6000 le vittime delle migrazioni verso le isole spagnole delle Canarie stimate nel 2006 dalle autorità spagnole. L’organizzazione spagnola Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía stima in circa 7000 il numero complessivo di morti e dispersi nelle acque mediterranee e atlantiche.

INFORMAZIONI: http://fortresseurope.blogspot.com; http://www.unitedagainstracism.org

Europa sempre meno terra d’asilo
Non tutte le persone che emigrano lo fanno per motivi economici, seppur legittimi, molte fuggono da conflitti o persecuzioni in corso nel proprio Paese chiedendo asilo politico. Le domande d’asilo presentate ai Paesi più industrializzati, e quindi anche agli Stai membri dell’Ue, sono però in forte calo e non certo perché meno persone hanno bisogno di protezione. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr), infatti, se sono oggettivamente migliorate le condizioni in alcuni Paesi da cui è giunta la maggior parte dei richiedenti asilo negli ultimi anni, è indubbio che un ruolo determinante nella flessione delle domande è da attribuire alle restrizioni sulla concessione dell’asilo introdotte dalla quasi totalità dei Paesi di accoglienza. Dati gli ostacoli crescenti nei canali d’asilo, dunque, un numero crescente di persone si affida sempre più frequentemente alla sorte dei viaggi clandestini o controllati dalle organizzazioni criminali del traffico di esseri umani. Tendenza grave e preoccupante, dimostrata dal numero crescente di potenziali richiedenti asilo tra le vittime delle migrazioni e tra le persone fermate per immigrazione illegale. Non resta però alternativa, e la generale sfiducia nelle regolari procedure di asilo è dimostrata anche dalle statistiche relative al 2006.

Tabella 3crollo delle domande, dimezzate in cinque anni
Il numero complessivo delle domande d’asilo presentate nei 27 attuali Stati membri dell’Ue è stato di circa 192.000 nel 2006, con una diminuzione di oltre il 15% rispetto all’anno precedente, mentre negli ultimi cinque anni si è più che dimezzato. Tale diminuzione ha riguardato soprattutto i nuovi Stati membri: mentre infatti il calo delle domande è stato di circa il 15% nei 15 “vecchi” Stati membri, nei 12 Paesi entrati nell’Ue dal 2004 ha superato il 30%. Altra caratteristica europea riguarda la differente tendenza tra un aumento nell’estremo nord e sud e la forte diminuzione negli altri Paesi. Infatti, nei 5 Paesi nordici le domande presentate nel 2006 sono aumentate del 17%, con la Svezia al primo posto dove l’incremento è stato del 39%; nei 6 Paesi del sud (Cipro, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna), il numero di richieste d’asilo del 2006 è stato il secondo più alto degli ultimi 15 anni. Con alcune differenze importanti anche in questo gruppo, comunque: mentre in Grecia sono aumentate del 35%, a Cipro sono diminuite del 41%. Per il resto dei Paesi dell’Ue è significativo osservare come il calo delle domande abbia riguardato alcuni Paesi di tradizionale accoglienza, quali Austria, Francia, Lussemburgo, Germania e Belgio. Le diminuzioni più rilevanti si sono registrate in Slovenia (-72%), Lettonia (-60%), Austria (-41%), Francia e Polonia (-38%), Lussemburgo (-35%), Germania e Belgio (-27%). Fuori dall’Ue, ma sempre nel continente europeo, si rilevano forti cali in Serbia (-78%), Ucraina (-59%), Bielorussia (-57%), Islanda (-56%), Croazia e Bosnia (-53%), mentre gli aumenti maggiori riguardano invece Armenia (+288%) e Georgia (+50%).

forte aumento di richieste in Svezia
Nonostante il forte calo rispetto alle oltre 100.000 richieste d’asilo del 2002, il Regno Unito è tornato a essere nel 2006 il primo Paese dell’Ue per domande ricevute, con 27.850 richieste, anche se il dato va preso con cautela perché non distingue tra domande presentate per la prima volta o ripresentate. Al secondo posto si trova la Francia, con 26.270 domande, che era stato il Paese europeo con più richieste nei due anni precedenti e che raggiungerebbe quota 34.800 nel 2006 se non separasse le domande presentate una o più volte, come fanno il Regno Unito e la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Seguono la Svezia (24.320 domande), la Germania (circa 21.000), i Paesi Bassi (14.465) e l’Austria (13.250). In Italia sono state presentate 10.350 domande nel 2006, con un leggero aumento rispetto ai due anni precedenti ma un numero decisamente inferiore alle 16.000 circa del 2002. La forte crescita di domande d’asilo pervenute in Svezia segnala il grave problema delle provenienza dei richiedenti asilo: in Svezia è infatti quadruplicato nell’ultimo anno il numero di richieste presentate da cittadini iracheni. In un anno il numero complessivo delledomande d’asilo inoltrate da iracheni nei 50 Paesi monitorati dall’Unhcr è cresciuto del 77%, con un aumento particolare registrato nell’ultimo trimestre del 2006. La disastrosa situazione dell’Iraq ha portato i suoi cittadini a essere la prima comunità al mondo per numero di richiedenti asilo (oltre 22.000 domande nel 2006), seguiti da cinesi, russi, serbi e turchi, mentre tra le più numerose comunità di richiedenti asilo hanno fatto registrare un aumento nell’ultimo anno anche quelle afghana e somala. Nell’Unione europea, dopo gli iracheni le comunità più numerose di richiedenti asilo nel 2006 sono state quelle russa, serba, afghana e turca.

INFORMAZIONI: http://epp.eurostat.ec.europa.eu

SALVAGUARDARE I DIRITTI DI RICHIDENTI ASILO E RIFUGIATI

Il sistema comune di asilo europeo, che si basa sulla Convenzione di Ginevra, ha fissato il 2010 come data limite per disporre di standard comuni per l’asilo e la relativa protezione in tutta l’Ue. La pratica dimostra però che spesso le cose non stanno così. Ogni Stato infatti dispone di un sistema proprio e la Convenzione di Ginevra non chiarisce come un Paese debba definire un rifugiato e un immigrato. In pratica, il sistema funziona come una «vera e propria lotteria», secondo la definizione delle organizzazioni per i rifugiati. La diversità delle norme applicabili negli Stati membri causa un notevole spostamento dei richiedenti asilo tra un Paese e l’altro, il cosiddetto “asylum shopping”: nel periodo 2003-2005, Eurodac ha rilevato che circa il 12% delle domande d’asilo è stato presentato da persone che avevano già fatto in precedenza richiesta in un altro Paese. Qualsiasi sia la ragione più evidente della fuga dei rifugiati, osserva l’Unhcr, alla base della difficile situazione di queste persone vi è sempre una forma di intolleranza, sia essa politica, culturale, religiosa o sociale, che non lascia loro scelta. «Purtroppo oggi, sull’onda delle preoccupazioni sulla sicurezza, i rifugiati sono spesso vittime di sentimenti ostili che talvolta degenerano in razzismo e xenofobia perfino nelle società più sviluppate. I rifugiati si trovano così ad affrontare, oltre all’intolleranza che li ha costretti alla fuga, una nuova intolleranza nel Paese d’asilo che mina la loro integrazione e rende la loro vita ancora più difficile» ha dichiarato l’Unhcr in occasione della presentazione della Giornata mondiale del rifugiato, lo scorso 20 giugno. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha anche presentato alcune raccomandazioni alla presidenza portoghese dell’Ue, invitandola a lavorare affinché le misure prese al fine di scoraggiare la migrazione irregolare non comportino violazioni dei diritti fondamentali, fra cui il diritto di cercare e godere dell’asilo. Sull’intercettazione e il soccorso in mare, ad esempio, l’Unhcr chiede agli Stati dell’Ue di mettere maggiormente in risalto l’obbligo assoluto di assistere persone che si trovano in pericolo. L’Unhcr invita inoltre la presidenza dell’Ue a impegnarsi affinché la cooperazione europea con i Paesi terzi sulla protezione dei rifugiati sia intrapresa in uno spirito di effettiva collaborazione, in modo da far fronte ai bisogni dei rifugiati e trovare soluzioni durature ai loro problemi. L’Unhcr chiede poi che sia migliorato il reinsediamento dei rifugiati nell’Ue, ancora carente nella maggior parte dei Paesi europei.
INFORMAZIONI: http://www.unhcr.org

CAUSE DELLE MIGRAZIONI

Lo squilibrio economico è una delle principali cause delle migrazioni internazionali: meno del 15% della popolazione mondiale detiene circa la metà della ricchezza complessiva; il Pil pro capite medio è di 5200 dollari nei Paesi in via di sviluppo (Pvs) e di oltre 32.000 nei Paesi a sviluppo avanzato (Psa); quasi la metà della popolazione mondiale vive al di sotto della soglia di povertà dei 2 dollari al giorno. Ma i flussi migratori sono determinati anche da fattori demografici: se oggi i Psa hanno 142 potenziali nuovi entranti nella forza lavoro (cioè giovani di 20-24 anni) ogni 100 persone prossime al ritiro (di età 60-64 anni), tra soli 10 anni tale rapporto sarà invertito con 87 giovani ogni 100 lavoratori anziani; al contrario, nei Pvs oggi ci sono 342 giovani ogni 100 potenziali lavoratori anziani e, pur in diminuzione, tale eccesso è destinato a permanere. Le agenzie dell’Onu prevedono inoltre circa 135 milioni di sfollati ambientali nei prossimi 5 anni, causa alluvioni e desertificazioni, mentre non si può prevedere il numero di persone in fuga da guerre e persecuzioni (oggi circa 21 milioni), ma l’instabilità internazionale non lascia prevedere una situazione migliore di quella attuale.