Inserto n. 41:
Economia


previsioni economiche:
riprende la crescita nell’Ue

«Sia l’Unione europea che l’area dell’euro dovrebbero registrare una crescita nettamente più sostenuta nel 2006. Tuttavia, raggiungere il potenziale di crescita o superarlo leggermente non è sufficiente e taluni Paesi sono ben lontani dallo sfruttare appieno il proprio potenziale. L’Europa deve proseguire sulla via delle riforme, correggere gli squilibri di bilancio laddove esistano e liberare risorse da spendere in ricerca e sviluppo, innovazione e istruzione, dove gli investimenti sono maggiormente necessari. Solo così il tasso di disoccupazione scenderà ulteriormente». È quanto dichiarato dal commissario europeo responsabile per gli Affari economici e monetari, Joaquìn Almunia, l’8 maggio scorso a Bruxelles, durante la presentazione delle Previsioni economiche elaborate dalla Commissione europea per il periodo 2006-2007.
Secondo tali previsioni, cosiddette “di primavera”, nell’anno in corso la crescita economica europea dovrebbe riprendere, raggiungendo il 2,3% nell’Ue e il 2,1% nell’area dell’euro, cioè lo 0,2% in più di quanto previsto lo scorso autunno, registrando così un sensibile miglioramento (circa tre quarti di punto percentuale) rispetto ai tassi del 2005 che sono stati rispettivamente dell’1,6% nell’Ue e dell’1,3% nella zona euro. Secondo la Commissione, tale ripresa è da attribuire principalmente alla significativa crescita degli investimenti e al rafforzamento della domanda interna, alla conferma della generale crescita mondiale e alla competitività delle imprese europee in alcuni Stati membri, che supporteranno le esportazioni, nonché al miglioramento delle prospettive economiche per la Germania, Paese centrale per l’economia europea e dove la crescita dovrebbe raggiungere l’1,7% nel 2006 rispetto allo 0,9% dell’anno precedente. Nel 2007 poi, sostiene la Commissione, la crescita europea complessiva dovrebbe rallentare lievemente, scendendo al 2,2% nell’Ue e all’1,8% nell’area dell’euro.

nuova occupazione


Se queste previsioni economiche saranno confermate, nel periodo 2006-2007 dovrebbero essere creati circa 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro nell’Ue, numero quindi superiore a quello registrato nel biennio 2004-2005 quando i posti di lavoro creati sono stati circa 3 milioni. La quota prevista di nuova occupazione dovrebbe così contribuire al generale calo della disoccupazione, il cui tasso passerebbe dal livello record di oltre il 9% del 2004 all’8,2% previsto per il 2007.
Nonostante il continuo aumento del prezzo del petrolio, che rappresenta il rischio principale per la crescita economica, la Commissione prevede inoltre che l’inflazione resterà stabile poco al di sopra del 2%.

investimenti e consumi


Secondo il monitoraggio della Commissione, la crescita della produzione europea è in aumento dalla seconda metà del 2005, soprattutto grazie a una ripresa degli investimenti che registrano una crescita del 5% circa e che dovrebbero mantenere livelli di crescita del 4,5% anche nel 2007. Questo dipende da alcuni fattori che la Commissione individua in una maggior fiducia delle imprese, nel miglioramento delle prospettive di profitto, nelle favorevoli condizioni di finanziamento e in un maggiore ricorso agli investimenti di sostituzione dopo un lungo periodo di crescita limitata in questo ambito. Secondo le previsioni, anche i consumi privati dovrebbero riprendere, sebbene in misura più modesta in quanto i miglioramenti nel mercato del lavoro sono più graduali.

disoccupazione

L’occupazione ha fatto registrare una ripresa graduale della crescita nel corso del 2005 e la Commissione prevede che migliori ulteriormente quest’anno, in particolare nel settore dei servizi. Nel complesso, l’Unione europea dovrebbe creare quasi 3,6 milioni di nuovi posti di lavoro nel periodo 2006-2007, dei quali circa 2,4 milioni nell’area dell’euro.
Tenuto conto dell’incremento della forza lavoro che si verifica tradizionalmente in caso di miglioramento del mercato del lavoro, la disoccupazione dovrebbe continuare a diminuire gradualmente. Dopo un picco di circa il 9% nel 2004 sia nell’Ue che nella zona euro, il tasso di disoccupazione ha iniziato a diminuire nel 2005, soprattutto per la conseguenza delle riforme strutturali introdotte nel mercato del lavoro. Così, secondo le previsioni della Commissione tale diminuzione dovrebbe continuare fino a raggiungere nel 2007 un tasso di disoccupazione di poco superiore all’8% sia nell’Ue che nell’area dell’euro.

inflazione e spesa pubblica


Nel corso del 2005 l’inflazione è rimasta stabile al 2,2% sia nell’Ue che nella zona euro, cosa avvenuta nonostante il continuo aumento dei prezzi del petrolio e dell’energia. L’inflazione di fondo (core), sottolinea la Commissione, è addirittura diminuita, il che dimostra che l’impennata del prezzo del petrolio non ha esercitato significativi effetti di secondo impatto. Considerato che secondo le previsioni tali effetti continueranno a essere ampiamente assenti, l’inflazione globale (headline) dovrebbe mantenersi appena al di sopra del 2% nel periodo oggetto di previsione in entrambe le aree.
Anche la situazione delle finanze pubbliche è risultata a fine anno migliore di quanto previsto in autunno. La nota positiva è stata una spesa inferiore rispetto a quella prevista, fatto che ha più che compensato la diminuzione delle entrate. Malgrado questo miglioramento generale, sette Stati membri, tra cui quattro membri della zona euro, hanno registrato un disavanzo delle amministrazioni pubbliche di oltre il 3% del Pil, il valore di riferimento fissato nel Trattato di Maastricht. Per il 2006 la Commissione prevede che il disavanzo delle amministrazioni pubbliche in percentuale del Pil resti invariato al 2,3% nell’Ue e al 2,4% nell’area dell’euro, per poi scendere lievemente nel 2007.

rischi della situazione mondiale

La Commissione europea ritiene inoltre che la ripresa della crescita europea sia sostenuta anche da prospettive economiche mondiali favorevoli. La crescita dell’economia mondiale, infatti, dovrebbe raggiungere il 4,6% nel 2006 e il 4,3% nel 2007. Negli Stati Uniti la crescita subirà una leggera flessione, ma si manterrà comunque intorno al 3% da qui al 2007, mentre in Asia, escluso il Giappone, i tassi di crescita dovrebbero superare il 7,5%. Pur con livelli decisamente più bassi, il Giappone dovrebbe uscire dalla stagnazione degli ultimi anni e registrare una crescita del 2,8% nel 2006 e del 2,4% nel 2007.
Il versante esterno presenta tuttavia anche alcune minacce per le prospettive economiche dell’Europa. Una correzione disordinata degli squilibri delle bilance delle partite correnti a livello mondiale, infatti, resta uno dei principali rischi di revisione al ribasso delle previsioni.
A breve termine il rischio principale proviene tuttavia dai mercati del petrolio, sottolinea la Commissione, perché le capacità inutilizzate sono scarse e i mercati estremamente vulnerabili alle perturbazioni effettive e potenziali degli approvvigionamenti. Così, considerato che gli attuali prezzi elevati del greggio sono fortemente influenzati dalle tensioni geopolitiche a livello mondiale, le ipotesi relative ai prezzi del petrolio sui quali si basano le previsioni economiche della Commissione (68,9 dollari al barile in media per il 2006 e 71 dollari al barile per il 2007) sono soggette a potenziali variazioni, sia al rialzo che al ribasso.

INFORMAZIONI: http://europa.eu.int/comm/economy_finance/publications/european_economy/forecasts_en.htm

preoccupazioni dell’Europarlamento
per le finanze pubbliche nell’Ue


Il Trattato di Maastricht stabilisce che l’evoluzione della finanza pubblica di ciascuno Stato membro dell’Ue va monitorata attentamente a livello europeo, dal momento che questa ha importanti implicazioni per la crescita, l’occupazione e la stabilità macroeconomica e fornisce il contesto fondamentale per il funzionamento della moneta unica, per cui va considerata una questione di interesse comune da parte di tutti gli Stati membri. Tuttavia, la relazione riguardante lo stato della finanza pubblica dell’Ue nel 2005, presentata dalla Commissione europea, evidenzia una situazione di bilancio precaria nella maggior parte degli Stati membri, senza miglioramenti sostanziali rispetto all’anno precedente. Ciò preoccupa il Parlamento europeo, che il 17 maggio scorso ha votato una relazione con la quale chiede ai governi europei di promuovere gli investimenti, riorientare la spesa pubblica, attuare riforme strutturali e fiscali, e coordinare maggiormente le politiche nella zona euro.
La relazione del deputato europeo Dariusz Rosati, approvata dal Parlamento, esprime preoccupazione per la crescita persistentemente lenta in Europa dal 2002, per il tasso di disoccupazione che continua a essere elevato e per il divario tra prodotto effettivo e potenziale (output gap). Ma preoccupazione è manifestata dall’Europarlamento anche per la debolezza dei consumi privati, che «è dipesa dal clima di incertezza prevalente su occupazione e pensioni, dal persistente alto livello di disoccupazione e dalla lenta crescita dei salari reali». Secondo i parlamentari europei, che sottolineano l’importanza di posizioni fiscali più sane per la crescita qualitativa, la creazione di posti di lavoro e la strategia di Lisbona, la salute delle finanze pubbliche «non è un obiettivo in sé» ma piuttosto «un mezzo a disposizione degli Stati per ottemperare ai loro adempimenti pubblici».

procedure correttive inefficaci


Sulla base dei dati forniti dalla Commissione, il Parlamento osserva che il disavanzo pubblico dei 25 Stati membri è in media sceso marginalmente dal 3% del Pil del 2003 al 2,6% del 2004, e nella zona euro rispettivamente dal 3% al 2,7%, ma che tale flessione è stata per lo più il riflesso di fattori ciclici piuttosto che di politiche di riequilibrio volute. Nel 2005, poi, in un contesto di crescita debole, il disavanzo complessivo è passato al 2,7% nell’Ue a 25 e al 2,9% nella zona euro. Dal 2003, undici Stati membri hanno raggiunto un disavanzo che supera la soglia del 3% del Pil, mentre dall’estate del 2004 dieci Paesi membri sono stati oggetto della procedura per disavanzo eccessivo. Secondo il Parlamento è rilevante che tale procedura abbia riguardato, tra le altre, anche quattro delle maggiori economie europee, ovvero Francia, Germania, Italia e Regno Unito, mentre il caso della Grecia è particolarmente grave non solo perché il disavanzo (il più alto tra i Paesi dell’Ue) ha superato nel 2004 il 6% del Pil, ma anche per le revisioni nettamente al rialzo dei dati fiscali della Grecia che pongono dubbi sulla loro affidabilità.
L’Europarlamento osserva come «un chiaro sintomo dell’applicazione poco rigorosa delle norme fiscali» sia costituito dal fatto che, pur essendo la procedura per disavanzo eccessivo operativa già da parecchi anni per alcuni Stati membri, essa si sia dimostrata largamente inefficace nel consentire a questi Stati di riportare il bilancio entro i termini previsti. Complessivamente, questa situazione dimostra non solo che gli Stati membri non sono riusciti a ridurre gli squilibri fiscali, ma anche che i meccanismi correttivi non hanno funzionato a dovere.
Come conseguenza della crescita debole e della grande lentezza con cui procedono le necessarie correzioni fiscali, il rapporto tra debito pubblico e Pil è andato sistematicamente aumentando nell’Ue a 25 e nella zona euro, rispettivamente dal 61,4% del 2002 al 64,1% del 2005 e dal 69,2% al 71,7%. «Tale aumento pone seri problemi per la sostenibilità finanziaria di lungo termine dell’intera Ue», avverte il Parlamento, soprattutto considerando un quadro generale in cui crescono le passività esplicite e implicite, comprese le pensioni.

crescita debole e poche riforme


L’Europarlamento individua i motivi di simili deludenti risultati nella debole crescita economica europea e nella mancanza di riforme strutturali mirate a rafforzare le finanze pubbliche nel lungo periodo. La crescita dell’Ue, osserva il Pe, è inferiore al suo potenziale e significativamente inferiore a quella di altre economie di grandi dimensioni, come quelle degli Stati Uniti e del Giappone, nonché della Cina, dell’India e di altre economie emergenti. Alla base della crescita debole ci sono la mancanza di riforme strutturali e la stagnazione della domanda interna, che rispecchiano l’incertezza dei consumatori su occupazione, protezione sociale e pensioni e, da parte degli investitori, sulle previsioni future della domanda.
I costi elevati dell’energia, l’instabilità dei mercati del petrolio e del gas nonché i gravi squilibri a livello globale causati dall’enorme disavanzo delle partite correnti (twin deficit) degli Stati Uniti, rispecchiati dal costante avanzo delle partite correnti nella maggior parte dei Paesi asiatici, hanno poi ulteriormente minato la fiducia degli imprenditori europei.
Nell’Ue, le politiche economiche non sono riuscite a superare tali ostacoli alla crescita, rileva il Pe: «In generale, anche politiche fiscali meno rigorose non sono riuscite ad avviare le economie europee su una strada di maggiore crescita in quanto gli effetti, in senso keynesiano, di una maggiore domanda finale in condizioni di grandi rigidità strutturali probabilmente sono stati più che compensati dagli effetti avversi (non keynesiani) che hanno mantenuto basso il livello della spesa per investimenti e fatto aumentare l’incertezza generale».
La struttura della spesa pubblica è rimasta per lo più invariata, essendo state limitate le risorse destinate alla costituzione del capitale materiale e umano, al sostegno dell’innovazione e della ricerca nonché ad altri obiettivi mirati alla crescita. Al contrario, pur in un quadro di crescita lenta del Pil e di euro costantemente forte, le politiche monetarie si sono mantenute restrittive. «Ne è quindi risultata una combinazione di politiche tutt’altro che ideale, e il mantenimento della stabilità dei prezzi ha comportato maggiori costi in termini macroeconomici» sostiene l’Europarlamento, che auspica una combinazione maggiormente bilanciata tra le politiche, con una politica fiscale più rigorosa e una politica monetaria meno restrittiva.

ritardi nella Strategia di Lisbona


La strategia di Lisbona avviata nel 2000 prevedeva un programma di riforme completo, tuttavia, sostiene il Parlamento, la sua effettiva attuazione negli Stati membri si è rivelata incerta ed è in ritardo sul programma. Così, secondo i deputati europei dovranno essere dedicate maggiori risorse per il miglioramento delle attività occupazionali e la competitività, tra cui misure come la facilitazione dell’accesso all’istruzione e alla formazione permanente, norme flessibili in tema d’impiego, sostegno all’innovazione e riduzione della burocrazia per le imprese. «L’adozione delle misure previste dall’agenda di Lisbona agirebbe da stimolo sulla crescita e l’occupazione, aiutando la stabilizzazione delle finanze pubbliche» osserva l’Europarlamento, secondo cui una parte importante di tale processo è costituita dalla riforma del sistema pensionistico, «che aiuterebbe ad affrontare gli effetti finanziari negativi dell’invecchiamento demografico e consentirebbe di riportare sotto controllo le dinamiche del debito pubblico».

evitare la contabilità “creativa”


Oltre alle riforme strutturali e al quadro migliore per il monitoraggio e il controllo dell’evoluzione delle finanze pubbliche realizzato con il Patto di stabilità e crescita, il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri a collaborare a stretto contatto e a intraprendere misure atte a migliorare la governance statistica in materia di bilancio e la qualità dei dati fiscali, elaborando norme trasparenti comuni per la contabilità del patrimonio pubblico e delle passività implicite, evitando quindi pratiche di contabilità creativa. Per evitare previsioni di bilancio eccessivamente ottimistiche, gli Stati membri andrebbero incoraggiati a usare le previsioni elaborate dalla Commissione come base comune per le previsioni di gettito e di spesa. Una soluzione alternativa sarebbe quella di delegare a un’istituzione indipendente il compito di elaborare le previsioni finanziarie. «Un modo interessante per migliorare l’efficacia delle misure volte al conseguimento del pareggio delle finanze pubbliche sarebbe quello di sensibilizzare ulteriormente i cittadini e accrescere la credibilità degli impegni assunti dagli Stati in materia di disavanzo e debito» si legge nella relazione parlamentare. A tal fine, si incoraggia l’elaborazione di relazioni nazionali di alto livello sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, che sottolineino i rischi esistenti e propongano politiche alternative. Il Pe ritiene che sarebbe anche utile considerare i possibili vantaggi derivanti dalla costituzione di istituti nazionali indipendenti, incaricati di stabilire quali siano i livelli di disavanzo annuale compatibili con l’obiettivo di medio termine del pareggio di bilancio. Un organo di questo tipo consentirebbe di prendere decisioni sulla misura del disavanzo al di fuori del dibattito politico di breve termine, lasciando comunque agli organi politici le questioni fondamentali di politica economica sul livello e la struttura delle entrate e le uscite di bilancio.

migliorare il coordinamento tra Stati


Infine, l’Europarlamento esprime preoccupazione per la «mancanza del necessario coordinamento tra Stati membri in materia di politica fiscale», coordinamento particolarmente importante nella zona euro dove lo stato della moneta unica dipende in modo decisivo dalla politica fiscale dei singoli Stati membri e dove sussiste un elevato rischio di comportamenti opportunistici (free riding). «Un’eventuale riforma strutturale attuata da uno Stato della zona euro andrebbe a vantaggio dell’intera zona, in quanto rafforzerebbe la posizione della moneta unica e ridurrebbe i tassi di interesse e lungo termine». Al contrario, osserva il Pe, la mancata attuazione delle riforme necessarie in uno o più Stati avrebbe ripercussioni negative sugli altri Stati membri perché porterebbe all’indebolimento della moneta unica e al rialzo dei tassi d’interesse. È importante quindi un coordinamento delle politiche, così da ottenere significative sinergie dalle riforme ed evitare comportamenti antagonistici tra Stati membri. «Per un reale coordinamento delle politiche occorrono volontà politica e disponibilità a intraprendere azioni concertate» sostiene il Parlamento, secondo cui tale compito può essere reso più agevole introducendo alcune misure tecniche che contribuirebbero a creare un quadro di coordinamento migliore delle politiche fiscali a livello comunitario. Tra queste, l’adozione di un calendario uniforme per le procedure di bilancio valido per tutti gli Stati membri, l’invito agli Stati membri affinché predispongano il bilancio con cadenza semestrale e il ricorso al sistema di correzione del disavanzo per ciclo nelle procedure di bilancio nazionali. L’Europarlamento invita così la Commissione a elaborare uno studio che valuti gli effetti in termini di vantaggi economici derivanti da un effettivo coordinamento delle politiche fiscali in tutta l’Ue nonché il costo-opportunità per l’Ue derivante dal mancato coordinamento.
In particolare, il Pe sottolinea l’importanza di disporre di sane politiche fiscali per i nuovi Stati membri nel processo di adeguamento ai livelli medi di reddito e di benessere europei. Considerando che, in generale, il risparmio interno nella maggior parte dei nuovi Stati membri è a un livello inferiore rispetto agli altri Stati dell’Ue, un eventuale rapporto tra disavanzo e Pil di dimensioni analoghe a quanto esiste nei 15 lascerebbe, in proporzione, meno risorse per gli investimenti privati e si ripercuoterebbe negativamente sulla crescita. «Ciò impone l’esigenza di continuare le riforme fiscali e strutturali per fare in modo che i tassi di crescita all’interno dei nuovi Stati membri siano abbastanza elevati da consentire una convergenza effettiva e nominale con il resto dell’Unione».
Sottolineando l’importanza di avere finanze pubbliche sane e sostenibili per raggiungere gli obiettivi di maggiore crescita e maggiore occupazione all’interno dell’Ue, il Parlamento europeo invita quindi gli Stati a farsi carico di quanto previsto dall’art. 99 del Trattato, che fa obbligo agli Stati membri di considerare le rispettive politiche economiche come questione di interesse comune e di coordinare meglio tali politiche, mentre si dichiara deciso a svolgere un ruolo importante e costruttivo in questo processo, conformemente alle proprie competenze e prerogative.








CRITICHE DEL CESE ALLA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ

Preoccupazione per la situazione «di stallo» venutasi a creare nell’ambito della governance economica europea è stata espressa anche dal Comitato economico e sociale europeo (Cese) che, nel corso della sessione plenaria tenutasi il 15 febbraio 2006, ha adottato un parere riguardante in particolare la riforma del Patto di stabilità e crescita decisa dal Consiglio europeo nel marzo 2005.
Secondo il Cese, la riforma indebolisce il Patto attraverso due vie: il protrarsi delle scadenze e l’introduzione di un sistema di eccezioni e di esenzioni all’interno del quale può rientrare di tutto, proprio perché i fattori introdotti prestano il fianco a interpretazioni divergenti. La combinazione dei due elementi tende a indebolire la sorveglianza di bilancio e a renderla meno trasparente. Con un Patto che risulta indebolito nel suo obiettivo di garantire la disciplina di bilancio degli Stati membri, la Banca centrale europea (Bce) potrebbe essere portata ad assumere il ruolo esclusivo di “guardiano” del Patto e di unico garante della stabilità monetaria dell’Ue. In termini macroeconomici, si crea così una situazione tipica dei “giochi a somma zero” nella quale i guadagni derivanti dall’allentamento della politica fiscale risulterebbero compensati dalle perdite derivanti dall’irrigidimento della politica monetaria. Il Cese rileva nella riforma del Patto un tentativo «piuttosto ben riuscito» da parte dei governi nazionali di riappropriarsi di uno strumento di politica economica che era stato loro sottratto o quantomeno imbrigliato. La via per la quale si verifica un’espansione del rapporto debito/Pil passa inevitabilmente per un incremento continuo del rapporto deficit/Pil. Ma è altrettanto vero che in un quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche, il deficit diventa un obiettivo intermedio e il debito un obiettivo finale. Essendo la sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche degli Stati membri uno dei problemi chiave dell’Uem, secondo il Cese sarebbero utili strumenti comunitari concordati in grado di garantire un risanamento delle finanze pubbliche per i Paesi con alti livelli di debito pubblico, poiché oltre a garantire una stabilità monetaria la sostenibilità delle finanze permette di avviare un percorso di sviluppo e di crescita. Tale sostenibilità però, osserva il Cese, non passa per una riduzione automatica della spesa sociale bensì per una sua ottimizzazione e per una sua migliore efficienza ed efficacia, perché «la protezione sociale può svolgere un ruolo importante come fattore produttivo in grado di garantire la creazione di economie efficienti, dinamiche e moderne fondate su basi solide e sulla giustizia sociale».
Il Cese osserva che la riforma del Patto ha cercato di risolvere il «paradosso della sovranità», secondo cui gli Stati nazionali e il Parlamento europeo (organi di rappresentanza con legittimità democratica) sono privi di un’adeguata strumentazione di politica economica mentre organismi quali la Commissione e la Bce (senza legittimità diretta) sono dotati di un’adeguata strumentazione: in pratica una contrapposizione tra legittimità senza potere e potere senza legittimità. Il Consiglio europeo ha però nei fatti neutralizzato il potere di controllo della Commissione, attribuendolo a un Consiglio formato proprio da coloro che potenzialmente potranno rientrare nella categoria dei “controllati”. Il deficit di democrazia presente nella versione originaria del Patto di stabilità e di crescita non sembra quindi essere superato con la sua riforma: «Anzi, a questo deficit se ne aggiunge un altro, legato all’assenza di trasparenza e semplicità». Secondo il Cese è dunque necessario interrogarsi su quali possano essere gli interventi in grado di migliorare, riequilibrandoli, i poteri tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei. Tra le proposte, l’applicazione di cooperazioni rafforzate in ambito di Uem e la nomina di un coordinatore e portavoce europeo per la politica economica degli Stati membri dell’Ue, cui affidare il coordinamento delle politiche economiche europee attraverso la definizione di una serie di priorità di politica economica e di strumenti atti a realizzare tali obiettivi. Inoltre, sostiene il Cese, andrebbe ripresa l’indicazione contenuta nel Libro bianco di Delors del 1993, costituendo un fondo europeo per la promozione della crescita economica e il rilancio della competitività europea, attraverso l’emissione di obbligazioni dell’Ue a lunga scadenza, collegate a progetti strategici di infrastrutturazione materiale e immateriale.

INFORMAZIONI: http://eesc.europa.eu



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