previsioni economiche:
riprende la crescita nell’Ue
«Sia l’Unione europea che l’area dell’euro
dovrebbero registrare una crescita nettamente più sostenuta nel 2006.
Tuttavia, raggiungere il potenziale di crescita o superarlo leggermente non
è sufficiente e taluni Paesi sono ben lontani dallo sfruttare appieno
il proprio potenziale. L’Europa deve proseguire sulla via delle riforme, correggere
gli squilibri di bilancio laddove esistano e liberare risorse da spendere in
ricerca e sviluppo, innovazione e istruzione, dove gli investimenti sono maggiormente
necessari. Solo così il tasso di disoccupazione scenderà ulteriormente».
È quanto dichiarato dal commissario europeo responsabile per gli Affari
economici e monetari, Joaquìn Almunia, l’8 maggio scorso a Bruxelles,
durante la presentazione delle Previsioni economiche elaborate dalla Commissione
europea per il periodo 2006-2007.
Secondo tali previsioni, cosiddette “di primavera”, nell’anno in corso la crescita
economica europea dovrebbe riprendere, raggiungendo il 2,3% nell’Ue e il 2,1%
nell’area dell’euro, cioè lo 0,2% in più di quanto previsto lo
scorso autunno, registrando così un sensibile miglioramento (circa tre
quarti di punto percentuale) rispetto ai tassi del 2005 che sono stati rispettivamente
dell’1,6% nell’Ue e dell’1,3% nella zona euro. Secondo la Commissione, tale
ripresa è da attribuire principalmente alla significativa crescita degli
investimenti e al rafforzamento della domanda interna, alla conferma della generale
crescita mondiale e alla competitività delle imprese europee in alcuni
Stati membri, che supporteranno le esportazioni, nonché al miglioramento
delle prospettive economiche per la Germania, Paese centrale per l’economia
europea e dove la crescita dovrebbe raggiungere l’1,7% nel 2006 rispetto allo
0,9% dell’anno precedente. Nel 2007 poi, sostiene la Commissione, la crescita
europea complessiva dovrebbe rallentare lievemente, scendendo al 2,2% nell’Ue
e all’1,8% nell’area dell’euro.
nuova occupazione
Se queste previsioni economiche saranno confermate, nel periodo 2006-2007 dovrebbero
essere creati circa 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro nell’Ue, numero quindi
superiore a quello registrato nel biennio 2004-2005 quando i posti di lavoro
creati sono stati circa 3 milioni. La quota prevista di nuova occupazione dovrebbe
così contribuire al generale calo della disoccupazione, il cui tasso
passerebbe dal livello record di oltre il 9% del 2004 all’8,2% previsto per
il 2007.
Nonostante il continuo aumento del prezzo del petrolio, che rappresenta il rischio
principale per la crescita economica, la Commissione prevede inoltre che l’inflazione
resterà stabile poco al di sopra del 2%.
investimenti e consumi
Secondo il monitoraggio della Commissione, la crescita della produzione europea
è in aumento dalla seconda metà del 2005, soprattutto grazie a
una ripresa degli investimenti che registrano una crescita del 5% circa e che
dovrebbero mantenere livelli di crescita del 4,5% anche nel 2007. Questo dipende
da alcuni fattori che la Commissione individua in una maggior fiducia delle
imprese, nel miglioramento delle prospettive di profitto, nelle favorevoli condizioni
di finanziamento e in un maggiore ricorso agli investimenti di sostituzione
dopo un lungo periodo di crescita limitata in questo ambito. Secondo le previsioni,
anche i consumi privati dovrebbero riprendere, sebbene in misura più
modesta in quanto i miglioramenti nel mercato del lavoro sono più graduali.
disoccupazione
L’occupazione ha fatto registrare una ripresa graduale della crescita nel corso
del 2005 e la Commissione prevede che migliori ulteriormente quest’anno, in
particolare nel settore dei servizi. Nel complesso, l’Unione europea dovrebbe
creare quasi 3,6 milioni di nuovi posti di lavoro nel periodo 2006-2007, dei
quali circa 2,4 milioni nell’area dell’euro.
Tenuto conto dell’incremento della forza lavoro che si verifica tradizionalmente
in caso di miglioramento del mercato del lavoro, la disoccupazione dovrebbe
continuare a diminuire gradualmente. Dopo un picco di circa il 9% nel 2004 sia
nell’Ue che nella zona euro, il tasso di disoccupazione ha iniziato a diminuire
nel 2005, soprattutto per la conseguenza delle riforme strutturali introdotte
nel mercato del lavoro. Così, secondo le previsioni della Commissione
tale diminuzione dovrebbe continuare fino a raggiungere nel 2007 un tasso di
disoccupazione di poco superiore all’8% sia nell’Ue che nell’area dell’euro.
inflazione e spesa pubblica
Nel corso del 2005 l’inflazione è rimasta stabile al 2,2% sia nell’Ue
che nella zona euro, cosa avvenuta nonostante il continuo aumento dei prezzi
del petrolio e dell’energia. L’inflazione di fondo (core), sottolinea la Commissione,
è addirittura diminuita, il che dimostra che l’impennata del prezzo del
petrolio non ha esercitato significativi effetti di secondo impatto. Considerato
che secondo le previsioni tali effetti continueranno a essere ampiamente assenti,
l’inflazione globale (headline) dovrebbe mantenersi appena al di sopra del 2%
nel periodo oggetto di previsione in entrambe le aree.
Anche la situazione delle finanze pubbliche è risultata a fine anno migliore
di quanto previsto in autunno. La nota positiva è stata una spesa inferiore
rispetto a quella prevista, fatto che ha più che compensato la diminuzione
delle entrate. Malgrado questo miglioramento generale, sette Stati membri, tra
cui quattro membri della zona euro, hanno registrato un disavanzo delle amministrazioni
pubbliche di oltre il 3% del Pil, il valore di riferimento fissato nel Trattato
di Maastricht. Per il 2006 la Commissione prevede che il disavanzo delle amministrazioni
pubbliche in percentuale del Pil resti invariato al 2,3% nell’Ue e al 2,4% nell’area
dell’euro, per poi scendere lievemente nel 2007.
rischi della situazione mondiale
La Commissione europea ritiene inoltre che la ripresa della crescita europea
sia sostenuta anche da prospettive economiche mondiali favorevoli. La crescita
dell’economia mondiale, infatti, dovrebbe raggiungere il 4,6% nel 2006 e il
4,3% nel 2007. Negli Stati Uniti la crescita subirà una leggera flessione,
ma si manterrà comunque intorno al 3% da qui al 2007, mentre in Asia,
escluso il Giappone, i tassi di crescita dovrebbero superare il 7,5%. Pur con
livelli decisamente più bassi, il Giappone dovrebbe uscire dalla stagnazione
degli ultimi anni e registrare una crescita del 2,8% nel 2006 e del 2,4% nel
2007.
Il versante esterno presenta tuttavia anche alcune minacce per le prospettive
economiche dell’Europa. Una correzione disordinata degli squilibri delle bilance
delle partite correnti a livello mondiale, infatti, resta uno dei principali
rischi di revisione al ribasso delle previsioni.
A breve termine il rischio principale proviene tuttavia dai mercati del petrolio,
sottolinea la Commissione, perché le capacità inutilizzate sono
scarse e i mercati estremamente vulnerabili alle perturbazioni effettive e potenziali
degli approvvigionamenti. Così, considerato che gli attuali prezzi elevati
del greggio sono fortemente influenzati dalle tensioni geopolitiche a livello
mondiale, le ipotesi relative ai prezzi del petrolio sui quali si basano le
previsioni economiche della Commissione (68,9 dollari al barile in media per
il 2006 e 71 dollari al barile per il 2007) sono soggette a potenziali variazioni,
sia al rialzo che al ribasso.
INFORMAZIONI: http://europa.eu.int/comm/economy_finance/publications/european_economy/forecasts_en.htm
preoccupazioni dell’Europarlamento
per le finanze pubbliche nell’Ue
Il Trattato di Maastricht stabilisce che l’evoluzione
della finanza pubblica di ciascuno Stato membro dell’Ue va monitorata attentamente
a livello europeo, dal momento che questa ha importanti implicazioni per la
crescita, l’occupazione e la stabilità macroeconomica e fornisce il contesto
fondamentale per il funzionamento della moneta unica, per cui va considerata
una questione di interesse comune da parte di tutti gli Stati membri. Tuttavia,
la relazione riguardante lo stato della finanza pubblica dell’Ue nel 2005, presentata
dalla Commissione europea, evidenzia una situazione di bilancio precaria nella
maggior parte degli Stati membri, senza miglioramenti sostanziali rispetto all’anno
precedente. Ciò preoccupa il Parlamento europeo, che il 17 maggio scorso
ha votato una relazione con la quale chiede ai governi europei di promuovere
gli investimenti, riorientare la spesa pubblica, attuare riforme strutturali
e fiscali, e coordinare maggiormente le politiche nella zona euro.
La relazione del deputato europeo Dariusz Rosati, approvata dal Parlamento,
esprime preoccupazione per la crescita persistentemente lenta in Europa dal
2002, per il tasso di disoccupazione che continua a essere elevato e per il
divario tra prodotto effettivo e potenziale (output gap). Ma preoccupazione
è manifestata dall’Europarlamento anche per la debolezza dei consumi
privati, che «è dipesa dal clima di incertezza prevalente su occupazione
e pensioni, dal persistente alto livello di disoccupazione e dalla lenta crescita
dei salari reali». Secondo i parlamentari europei, che sottolineano l’importanza
di posizioni fiscali più sane per la crescita qualitativa, la creazione
di posti di lavoro e la strategia di Lisbona, la salute delle finanze pubbliche
«non è un obiettivo in sé» ma piuttosto «un
mezzo a disposizione degli Stati per ottemperare ai loro adempimenti pubblici».
procedure correttive inefficaci
Sulla base dei dati forniti dalla Commissione, il Parlamento osserva che il
disavanzo pubblico dei 25 Stati membri è in media sceso marginalmente
dal 3% del Pil del 2003 al 2,6% del 2004, e nella zona euro rispettivamente
dal 3% al 2,7%, ma che tale flessione è stata per lo più il riflesso
di fattori ciclici piuttosto che di politiche di riequilibrio volute. Nel 2005,
poi, in un contesto di crescita debole, il disavanzo complessivo è passato
al 2,7% nell’Ue a 25 e al 2,9% nella zona euro. Dal 2003, undici Stati membri
hanno raggiunto un disavanzo che supera la soglia del 3% del Pil, mentre dall’estate
del 2004 dieci Paesi membri sono stati oggetto della procedura per disavanzo
eccessivo. Secondo il Parlamento è rilevante che tale procedura abbia
riguardato, tra le altre, anche quattro delle maggiori economie europee, ovvero
Francia, Germania, Italia e Regno Unito, mentre il caso della Grecia è
particolarmente grave non solo perché il disavanzo (il più alto
tra i Paesi dell’Ue) ha superato nel 2004 il 6% del Pil, ma anche per le revisioni
nettamente al rialzo dei dati fiscali della Grecia che pongono dubbi sulla loro
affidabilità.
L’Europarlamento osserva come «un chiaro sintomo dell’applicazione poco
rigorosa delle norme fiscali» sia costituito dal fatto che, pur essendo
la procedura per disavanzo eccessivo operativa già da parecchi anni per
alcuni Stati membri, essa si sia dimostrata largamente inefficace nel consentire
a questi Stati di riportare il bilancio entro i termini previsti. Complessivamente,
questa situazione dimostra non solo che gli Stati membri non sono riusciti a
ridurre gli squilibri fiscali, ma anche che i meccanismi correttivi non hanno
funzionato a dovere.
Come conseguenza della crescita debole e della grande lentezza con cui procedono
le necessarie correzioni fiscali, il rapporto tra debito pubblico e Pil è
andato sistematicamente aumentando nell’Ue a 25 e nella zona euro, rispettivamente
dal 61,4% del 2002 al 64,1% del 2005 e dal 69,2% al 71,7%. «Tale aumento
pone seri problemi per la sostenibilità finanziaria di lungo termine
dell’intera Ue», avverte il Parlamento, soprattutto considerando un quadro
generale in cui crescono le passività esplicite e implicite, comprese
le pensioni.
crescita debole e poche riforme
L’Europarlamento individua i motivi di simili deludenti risultati nella debole
crescita economica europea e nella mancanza di riforme strutturali mirate a
rafforzare le finanze pubbliche nel lungo periodo. La crescita dell’Ue, osserva
il Pe, è inferiore al suo potenziale e significativamente inferiore a
quella di altre economie di grandi dimensioni, come quelle degli Stati Uniti
e del Giappone, nonché della Cina, dell’India e di altre economie emergenti.
Alla base della crescita debole ci sono la mancanza di riforme strutturali e
la stagnazione della domanda interna, che rispecchiano l’incertezza dei consumatori
su occupazione, protezione sociale e pensioni e, da parte degli investitori,
sulle previsioni future della domanda.
I costi elevati dell’energia, l’instabilità dei mercati del petrolio
e del gas nonché i gravi squilibri a livello globale causati dall’enorme
disavanzo delle partite correnti (twin deficit) degli Stati Uniti, rispecchiati
dal costante avanzo delle partite correnti nella maggior parte dei Paesi asiatici,
hanno poi ulteriormente minato la fiducia degli imprenditori europei.
Nell’Ue, le politiche economiche non sono riuscite a superare tali ostacoli
alla crescita, rileva il Pe: «In generale, anche politiche fiscali meno
rigorose non sono riuscite ad avviare le economie europee su una strada di maggiore
crescita in quanto gli effetti, in senso keynesiano, di una maggiore domanda
finale in condizioni di grandi rigidità strutturali probabilmente sono
stati più che compensati dagli effetti avversi (non keynesiani) che hanno
mantenuto basso il livello della spesa per investimenti e fatto aumentare l’incertezza
generale».
La struttura della spesa pubblica è rimasta per lo più invariata,
essendo state limitate le risorse destinate alla costituzione del capitale materiale
e umano, al sostegno dell’innovazione e della ricerca nonché ad altri
obiettivi mirati alla crescita. Al contrario, pur in un quadro di crescita lenta
del Pil e di euro costantemente forte, le politiche monetarie si sono mantenute
restrittive. «Ne è quindi risultata una combinazione di politiche
tutt’altro che ideale, e il mantenimento della stabilità dei prezzi ha
comportato maggiori costi in termini macroeconomici» sostiene l’Europarlamento,
che auspica una combinazione maggiormente bilanciata tra le politiche, con una
politica fiscale più rigorosa e una politica monetaria meno restrittiva.
ritardi nella Strategia di Lisbona
La strategia di Lisbona avviata nel 2000 prevedeva un programma di riforme completo,
tuttavia, sostiene il Parlamento, la sua effettiva attuazione negli Stati membri
si è rivelata incerta ed è in ritardo sul programma. Così,
secondo i deputati europei dovranno essere dedicate maggiori risorse per il
miglioramento delle attività occupazionali e la competitività,
tra cui misure come la facilitazione dell’accesso all’istruzione e alla formazione
permanente, norme flessibili in tema d’impiego, sostegno all’innovazione e riduzione
della burocrazia per le imprese. «L’adozione delle misure previste dall’agenda
di Lisbona agirebbe da stimolo sulla crescita e l’occupazione, aiutando la stabilizzazione
delle finanze pubbliche» osserva l’Europarlamento, secondo cui una parte
importante di tale processo è costituita dalla riforma del sistema pensionistico,
«che aiuterebbe ad affrontare gli effetti finanziari negativi dell’invecchiamento
demografico e consentirebbe di riportare sotto controllo le dinamiche del debito
pubblico».
evitare la contabilità “creativa”
Oltre alle riforme strutturali e al quadro migliore per il monitoraggio e il
controllo dell’evoluzione delle finanze pubbliche realizzato con il Patto di
stabilità e crescita, il Parlamento europeo incoraggia gli Stati membri
a collaborare a stretto contatto e a intraprendere misure atte a migliorare
la governance statistica in materia di bilancio e la qualità dei dati
fiscali, elaborando norme trasparenti comuni per la contabilità del patrimonio
pubblico e delle passività implicite, evitando quindi pratiche di contabilità
creativa. Per evitare previsioni di bilancio eccessivamente ottimistiche, gli
Stati membri andrebbero incoraggiati a usare le previsioni elaborate dalla Commissione
come base comune per le previsioni di gettito e di spesa. Una soluzione alternativa
sarebbe quella di delegare a un’istituzione indipendente il compito di elaborare
le previsioni finanziarie. «Un modo interessante per migliorare l’efficacia
delle misure volte al conseguimento del pareggio delle finanze pubbliche sarebbe
quello di sensibilizzare ulteriormente i cittadini e accrescere la credibilità
degli impegni assunti dagli Stati in materia di disavanzo e debito» si
legge nella relazione parlamentare. A tal fine, si incoraggia l’elaborazione
di relazioni nazionali di alto livello sulla sostenibilità a lungo termine
delle finanze pubbliche, che sottolineino i rischi esistenti e propongano politiche
alternative. Il Pe ritiene che sarebbe anche utile considerare i possibili vantaggi
derivanti dalla costituzione di istituti nazionali indipendenti, incaricati
di stabilire quali siano i livelli di disavanzo annuale compatibili con l’obiettivo
di medio termine del pareggio di bilancio. Un organo di questo tipo consentirebbe
di prendere decisioni sulla misura del disavanzo al di fuori del dibattito politico
di breve termine, lasciando comunque agli organi politici le questioni fondamentali
di politica economica sul livello e la struttura delle entrate e le uscite di
bilancio.
migliorare il coordinamento tra Stati
Infine, l’Europarlamento esprime preoccupazione per la «mancanza del necessario
coordinamento tra Stati membri in materia di politica fiscale», coordinamento
particolarmente importante nella zona euro dove lo stato della moneta unica
dipende in modo decisivo dalla politica fiscale dei singoli Stati membri e dove
sussiste un elevato rischio di comportamenti opportunistici (free riding). «Un’eventuale
riforma strutturale attuata da uno Stato della zona euro andrebbe a vantaggio
dell’intera zona, in quanto rafforzerebbe la posizione della moneta unica e
ridurrebbe i tassi di interesse e lungo termine». Al contrario, osserva
il Pe, la mancata attuazione delle riforme necessarie in uno o più Stati
avrebbe ripercussioni negative sugli altri Stati membri perché porterebbe
all’indebolimento della moneta unica e al rialzo dei tassi d’interesse. È
importante quindi un coordinamento delle politiche, così da ottenere
significative sinergie dalle riforme ed evitare comportamenti antagonistici
tra Stati membri. «Per un reale coordinamento delle politiche occorrono
volontà politica e disponibilità a intraprendere azioni concertate»
sostiene il Parlamento, secondo cui tale compito può essere reso più
agevole introducendo alcune misure tecniche che contribuirebbero a creare un
quadro di coordinamento migliore delle politiche fiscali a livello comunitario.
Tra queste, l’adozione di un calendario uniforme per le procedure di bilancio
valido per tutti gli Stati membri, l’invito agli Stati membri affinché
predispongano il bilancio con cadenza semestrale e il ricorso al sistema di
correzione del disavanzo per ciclo nelle procedure di bilancio nazionali. L’Europarlamento
invita così la Commissione a elaborare uno studio che valuti gli effetti
in termini di vantaggi economici derivanti da un effettivo coordinamento delle
politiche fiscali in tutta l’Ue nonché il costo-opportunità per
l’Ue derivante dal mancato coordinamento.
In particolare, il Pe sottolinea l’importanza di disporre di sane politiche
fiscali per i nuovi Stati membri nel processo di adeguamento ai livelli medi
di reddito e di benessere europei. Considerando che, in generale, il risparmio
interno nella maggior parte dei nuovi Stati membri è a un livello inferiore
rispetto agli altri Stati dell’Ue, un eventuale rapporto tra disavanzo e Pil
di dimensioni analoghe a quanto esiste nei 15 lascerebbe, in proporzione, meno
risorse per gli investimenti privati e si ripercuoterebbe negativamente sulla
crescita. «Ciò impone l’esigenza di continuare le riforme fiscali
e strutturali per fare in modo che i tassi di crescita all’interno dei nuovi
Stati membri siano abbastanza elevati da consentire una convergenza effettiva
e nominale con il resto dell’Unione».
Sottolineando l’importanza di avere finanze pubbliche sane e sostenibili per
raggiungere gli obiettivi di maggiore crescita e maggiore occupazione all’interno
dell’Ue, il Parlamento europeo invita quindi gli Stati a farsi carico di quanto
previsto dall’art. 99 del Trattato, che fa obbligo agli Stati membri di considerare
le rispettive politiche economiche come questione di interesse comune e di coordinare
meglio tali politiche, mentre si dichiara deciso a svolgere un ruolo importante
e costruttivo in questo processo, conformemente alle proprie competenze e prerogative.
CRITICHE DEL CESE ALLA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ
Preoccupazione per la situazione «di stallo» venutasi a creare nell’ambito
della governance economica europea è stata espressa anche dal Comitato
economico e sociale europeo (Cese) che, nel corso della sessione plenaria tenutasi
il 15 febbraio 2006, ha adottato un parere riguardante in particolare la riforma
del Patto di stabilità e crescita decisa dal Consiglio europeo nel marzo
2005.
Secondo il Cese, la riforma indebolisce il Patto attraverso due vie: il protrarsi
delle scadenze e l’introduzione di un sistema di eccezioni e di esenzioni all’interno
del quale può rientrare di tutto, proprio perché i fattori introdotti
prestano il fianco a interpretazioni divergenti. La combinazione dei due elementi
tende a indebolire la sorveglianza di bilancio e a renderla meno trasparente.
Con un Patto che risulta indebolito nel suo obiettivo di garantire la disciplina
di bilancio degli Stati membri, la Banca centrale europea (Bce) potrebbe essere
portata ad assumere il ruolo esclusivo di “guardiano” del Patto e di unico garante
della stabilità monetaria dell’Ue. In termini macroeconomici, si crea
così una situazione tipica dei “giochi a somma zero” nella quale i guadagni
derivanti dall’allentamento della politica fiscale risulterebbero compensati
dalle perdite derivanti dall’irrigidimento della politica monetaria. Il Cese
rileva nella riforma del Patto un tentativo «piuttosto ben riuscito»
da parte dei governi nazionali di riappropriarsi di uno strumento di politica
economica che era stato loro sottratto o quantomeno imbrigliato. La via per
la quale si verifica un’espansione del rapporto debito/Pil passa inevitabilmente
per un incremento continuo del rapporto deficit/Pil. Ma è altrettanto
vero che in un quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche, il deficit
diventa un obiettivo intermedio e il debito un obiettivo finale. Essendo la
sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche degli Stati membri
uno dei problemi chiave dell’Uem, secondo il Cese sarebbero utili strumenti
comunitari concordati in grado di garantire un risanamento delle finanze pubbliche
per i Paesi con alti livelli di debito pubblico, poiché oltre a garantire
una stabilità monetaria la sostenibilità delle finanze permette
di avviare un percorso di sviluppo e di crescita. Tale sostenibilità
però, osserva il Cese, non passa per una riduzione automatica della spesa
sociale bensì per una sua ottimizzazione e per una sua migliore efficienza
ed efficacia, perché «la protezione sociale può svolgere
un ruolo importante come fattore produttivo in grado di garantire la creazione
di economie efficienti, dinamiche e moderne fondate su basi solide e sulla giustizia
sociale».
Il Cese osserva che la riforma del Patto ha cercato di risolvere il «paradosso
della sovranità», secondo cui gli Stati nazionali e il Parlamento
europeo (organi di rappresentanza con legittimità democratica) sono privi
di un’adeguata strumentazione di politica economica mentre organismi quali la
Commissione e la Bce (senza legittimità diretta) sono dotati di un’adeguata
strumentazione: in pratica una contrapposizione tra legittimità senza
potere e potere senza legittimità. Il Consiglio europeo ha però
nei fatti neutralizzato il potere di controllo della Commissione, attribuendolo
a un Consiglio formato proprio da coloro che potenzialmente potranno rientrare
nella categoria dei “controllati”. Il deficit di democrazia presente nella versione
originaria del Patto di stabilità e di crescita non sembra quindi essere
superato con la sua riforma: «Anzi, a questo deficit se ne aggiunge un
altro, legato all’assenza di trasparenza e semplicità». Secondo
il Cese è dunque necessario interrogarsi su quali possano essere gli
interventi in grado di migliorare, riequilibrandoli, i poteri tra Commissione,
Consiglio e Parlamento europei. Tra le proposte, l’applicazione di cooperazioni
rafforzate in ambito di Uem e la nomina di un coordinatore e portavoce europeo
per la politica economica degli Stati membri dell’Ue, cui affidare il coordinamento
delle politiche economiche europee attraverso la definizione di una serie di
priorità di politica economica e di strumenti atti a realizzare tali
obiettivi. Inoltre, sostiene il Cese, andrebbe ripresa l’indicazione contenuta
nel Libro bianco di Delors del 1993, costituendo un fondo europeo per la promozione
della crescita economica e il rilancio della competitività europea, attraverso
l’emissione di obbligazioni dell’Ue a lunga scadenza, collegate a progetti strategici
di infrastrutturazione materiale e immateriale.
INFORMAZIONI: http://eesc.europa.eu
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