Salvare Gaza dalla catastrofe umanitaria

L’Europarlamento chiede a Israele di consentire gli aiuti alla popolazione

È urgente e necessario «un accesso umanitario rapido, sicuro e senza ostacoli» a Gaza, per scongiurare la «catastrofica situazione umanitaria, compresi il rischio di carestia imminente, la diffusione di malattie e la morte confermata di bambini per malnutrizione e disidratazione». Lo dichiara il Parlamento europeo in una risoluzione del 14 marzo scorso sul rischio immediato di una carestia di massa a Gaza, con cui invita Israele a rispettare le disposizioni del diritto internazionale umanitario e a conformarsi alla risoluzione 2712 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede l’uso di «tutte le rotte disponibili verso e attraverso la Striscia di Gaza» per facilitare la consegna degli aiuti. Le autorità israeliane sono quindi sollecitate dall’Europarlamento a riaprire i valichi di Rafah, Kerem Shalom, Karmi ed Erez, nonché a mettere in atto «misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari». Condannando lo «spregevole attacco» subito da Israele il 7 ottobre e ribadendo il suo diritto all’autodifesa, il Parlamento europeo sottolinea come questo debba avvenire «entro i limiti del diritto internazionale», per cui condanna allo stesso modo «la risposta sproporzionata di Israele che ha provocato oltre 30.000 morti e 70.000 feriti a Gaza», nella quasi totalità civili e in prevalenza donne e bambini, tra i quali anche 161 operatori umanitari delle Nazioni Unite, 340 operatori sanitari, 7 membri del personale umanitario e 133 giornalisti e operatori dei media. Gli europarlamentari hanno espresso ferma condanna per il blocco degli aiuti umanitari e gli attacchi contro i convogli umanitari da parte dell’esercito israeliano, così come per i dirottamenti e saccheggi da parte di Hamas, esortando Israele a «consentire e ad agevolare immediatamente la consegna completa, senza ostacoli e sicura degli aiuti a Gaza e in tutto il suo territorio», accogliendo con favore i corridoi umanitari marittimi, ma ricordando che «la priorità va data alla distribuzione via terra». Il Parlamento europeo ribadisce quindi la richiesta di un cessate il fuoco immediato e permanente, «per affrontare il rischio incombente di carestia di massa a Gaza», e di un rilascio «immediato e incondizionato» di tutti gli ostaggi. Condanna è espressa anche per «l’aumento della violenza dei coloni estremisti e gli attacchi delle forze armate israeliane contro palestinesi in Cisgiordania, che hanno già causato centinaia di morti e migliaia di feriti tra i civili», sostiene l’Europarlamento, condannando inoltre «la colonizzazione illegale incalzante del territorio palestinese, che costituisce una violazione del diritto internazionale».

Una carestia imminente

Dura condanna alle autorità israeliane è giunta anche dall’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in un comunicato congiunto col commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ribadendo che «la fame non può essere usata come arma di guerra», che si sta assistendo «non a un rischio naturale, ma a un disastro provocato dall’uomo» e che «è nostro dovere morale fermarlo». Secondo Borrell, «prima della guerra Gaza era una grande prigione a cielo aperto, oggi è un grande cimitero a cielo aperto, anche per quanto riguarda il rispetto delle regole internazionali». La denuncia del rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri prende spunto da una recente valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), iniziativa internazionale multi-partner per l’analisi e il miglioramento della sicurezza alimentare. «La carestia è imminente nei governatorati settentrionali della Striscia di Gaza e si prevede che si verificherà in qualsiasi momento tra metà marzo e maggio 2024, se non si avrà la cessazione immediata delle ostilità e l’accesso prolungato per forniture e servizi essenziali alla popolazione» sostiene l’Ipc, secondo cui «l’intera popolazione della Striscia di Gaza (2,23 milioni) si trova ad affrontare alti livelli di grave insicurezza alimentare». La devastazione causata dalle ostilità «è indescrivibile», osserva il Rapporto, sottolineando come il «conflitto diffuso, intenso e implacabile» abbia costretto alla fuga circa 1,9 milioni di persone, che costituiscono l’85% della popolazione della Striscia di Gaza, con oltre 31.000 morti e 73.000 feriti segnalati. L’escalation delle ostilità ha inoltre causato danni diffusi a beni e infrastrutture indispensabili alla sopravvivenza, con oltre metà degli edifici danneggiati o distrutti in tutto il territorio, percentuale che supera il 70% nel nord della Striscia. Tutto ciò ha portato a una situazione in cui si prevede che da metà marzo a metà luglio 2024, «nello scenario più probabile e nell’ipotesi di un’escalation del conflitto inclusa un’offensiva di terra a Rafah», metà della popolazione della Striscia di Gaza (1,11 milioni di persone) si troverà ad affrontare condizioni catastrofiche, cioè il livello più grave nella scala dell’insicurezza alimentare acuta definita dall’Ipc.

Uso della fame come metodo di guerra

«La portata delle continue restrizioni israeliane sull’ingresso di aiuti a Gaza, insieme al modo in cui continua a condurre le ostilità, potrebbero equivalere all’uso della fame come metodo di guerra, il che è un crimine di guerra» ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, parlando del rischio di carestia a Gaza. Una carestia che «può e deve essere prevenuta» ha aggiunto, ricordando che «i campanelli d’allarme lanciati negli ultimi mesi dalle Nazioni Unite non sono stati ascoltati». Si tratta dunque di una catastrofe «provocata dall’uomo e del tutto prevenibile» secondo il commissario dell’Onu, perché «la situazione di fame, inedia e carestia è il risultato delle ampie restrizioni israeliane all’ingresso e alla distribuzione di aiuti umanitari e beni commerciali, allo sfollamento della maggior parte della popolazione, nonché alla distruzione di infrastrutture civili cruciali».

Il blocco di Gaza da parte di Israele, in vigore ormai da 16 anni, «ha già avuto un grave impatto sui diritti umani della popolazione civile, lasciando l’economia locale devastata e creando una dipendenza dagli aiuti» ha osservato Türk, secondo cui Israele «in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di garantire la fornitura di cibo e assistenza medica alla popolazione in misura adeguata e di facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie per fornire tale assistenza. Il diritto internazionale dei diritti umani impone un obbligo simile».