Un piano industriale per il Green Deal europeo

Presentato dalla Commissione, ma criticato perché privo di condizioni sociali
Lo aveva annunciato durante il Forum economico mondiale di Davos, poche settimane fa, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: un piano industriale per consentire all’Ue di rafforzare il suo vantaggio competitivo attraverso investimenti nelle tecnologie pulite e di continuare a guidare il percorso verso la neutralità climatica.
Iniziativa da ricondurre nell’ambito di quel Green Deal europeo, presentato nel dicembre 2019, che intende rendere l’Europa entro il 2050 il primo continente a impatto climatico zero, passando attraverso l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serro di almeno il 55% entro il 2030. Questo piano industriale per il Green Deal, con cui l’Ue intende assumere la leadership industriale rispetto alle «zero emissioni nette», è ora stato presentato dalla Commissione europea, con l’obiettivo di favorire la capacità produttiva europea per tecnologie e prodotti a zero emissioni.
I pilastri del piano industriale “verde”
Il piano si basa su quattro pilastri. Il primo prevede un quadro normativo più semplice, con una legge per individuare gli obiettivi di capacità industriale a zero emissioni nette e favorirne una rapida diffusione, con autorizzazioni semplificate e rapide, progetti strategici europei e norme per l’espansione delle tecnologie in tutto il mercato unico. Tale quadro sarà integrato da una normativa per garantire l’accesso a materiali come le terre rare, essenziali per la produzione tecnologica, e da una riforma del mercato dell’energia elettrica.
Il secondo pilastro intende favorire un accesso più rapido ai finanziamenti, accelerando gli investimenti e i finanziamenti per la produzione di tecnologie pulite in Europa. L’obiettivo è che i finanziamenti pubblici possano sbloccare gli enormi finanziamenti privati necessari per la transizione verde, semplificando nel contempo la concessione da parte degli Stati membri degli aiuti necessari anche modificando il quadro europeo per gli aiuti di Stato.
Il terzo pilastro attiene all’attuale Anno europeo delle competenze e lo sviluppo, con l’istituzione di «Academy per l’industria a zero emissioni al fine di attuare programmi di miglioramento delle competenze e di riqualificazione nelle industrie strategiche», un approccio che dia priorità alle competenze (skills-first approach) e agevolando l’accesso di cittadini di Paesi terzi ai mercati del lavoro dell’Ue in settori prioritari. Il tutto considerando che il 35-40% di tutti i posti di lavoro potrebbero essere interessati dalla transizione verde. Infine, il quarto pilastro del piano riguarda la cooperazione globale e il contributo del commercio alla transizione verde, «nel rispetto dei principi della concorrenza leale e del commercio aperto, sulla base degli impegni assunti con i partner dell’Ue». L’Ue «valuterà inoltre la creazione di un Club delle materie prime critiche, al fine di riunire i “consumatori” di materie prime e i Paesi ricchi di risorse per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento a livello mondiale attraverso una base industriale competitiva e diversificata, e di partenariati industriali per tecnologie pulite e zero emissioni nette».
Ces: sono necessarie condizioni sociali
Il piano industriale verde presentato dalla Commissione è criticato dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces) perché, sostiene, «consegna agli amministratori delegati un assegno in bianco, non riuscendo a porre condizioni sociali su miliardi di euro di sussidi per le imprese europee». Il piano industriale Green Deal prevede, infatti, circa 250 miliardi di fondi dell’Ue e altri miliardi in aiuti di Stato nazionali per sostenere le imprese di tecnologia pulita, oltre a considerare le competenze tra i quattro pilastri dell’iniziativa, tuttavia «non include alcuna condizione sociale sul finanziamento che ne garantirebbe l’utilizzo per creare posti di lavoro e apprendistati di qualità» osservano i sindacati europei. Condizioni senza le quali «esiste un chiaro pericolo che la semplificazione normativa possa portare alla deregolamentazione ed esercitare una pressione al ribasso sulle condizioni di lavoro» ammonisce la Ces, aggiungendo come oltretutto non si faccia menzione neanche della “due diligence” sui diritti umani, necessaria per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori nelle catene di approvvigionamento. Secondo i sindacati europei questa assenza di condizioni sociali all’interno del piano industriale avviene nonostante la proposta affermi che «una maggiore competitività deve andare di pari passo con posti di lavoro di qualità ben retribuiti», nonostante la vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager, abbia affermato che «gli aiuti di Stato sono un trasferimento dai contribuenti agli azionisti, dobbiamo garantire che producano bene comune», nonché in contrasto con l’Inflation Reduction Act, che include misure al fine di garantire che i sussidi portino a salari più alti e migliori condizioni di lavoro.
La Ces e industriAll Europe hanno chiesto alla Commissione di includere alcune condizioni sociali, quali la contrattazione con i sindacati e il rispetto dei contratti collettivi, l’informazione e consultazione con i sindacati sulle decisioni di fusione e investimento, evitare licenziamenti e deterioramento delle condizioni di lavoro, vietare il pagamento dei dividendi mentre una società riceve forme di finanziamento pubblico, la riqualificazione e la creazione di posti di alta qualità per apprendisti e laureati.
«Il Green Deal è un’opportunità per ridurre le emissioni di carbonio e aumentare gli stipendi, ma questo annuncio non include ancora le misure e le condizioni sociali necessarie e rischia di essere un assegno in bianco per gli amministratori delegati stampato su carta riciclata» ha dichiarato la segretaria generale della Ces, Esther Lynch, aggiungendo: «Allo stato attuale, le aziende private riceveranno miliardi di euro di denaro pubblico senza dover assumere alcun impegno a pagare salari dignitosi, rispettare i diritti dei lavoratori o creare posti di lavoro e apprendistati di qualità. L’UE è stata giustamente pronta a eguagliare gli Stati Uniti quando si tratta di sussidi verdi, ma è molto indietro sul cogliere questa opportunità per elevare gli standard sociali».