Questione ambientale al centro
In corso a Sharm el-Sheikh la COP27 per l’attuazione degli accordi sul clima
La questione ambientale sta passando in secondo piano rispetto alle varie emergenze mondiali in corso, cosa che rappresenta un grave errore perché se trascurata potrebbe diventare irrecuperabile. Secondo il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, le emissioni di CO2 devono essere ridotte del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, per raggiungere l’obiettivo centrale dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi entro la fine del secolo. Eppure, un recente Rapporto dell’Onu evidenzia che, nonostante una generale diminuzione delle emissioni globali di gas serra, gli sforzi rimangono insufficienti per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi. Dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP26, svoltasi a Glasgow nel novembre 2020, solo 29 Paesi su 194 hanno presentato piani nazionali più rigorosi. Inoltre, con l’impatto devastante delle crisi simultanee di energia, cibo, acqua e costo della vita, aggravate da conflitti armati e tensioni geopolitiche, molti Paesi hanno iniziato a bloccare o invertire le politiche climatiche e raddoppiato l’uso di combustibili fossili.
In questo quadro generale si è aperta a Sharm el-Sheikh, in Egitto, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP27 , che per 10 giorni mette a confronto la comunità internazionale al fine di capire come garantire l’attuazione dell’Accordo di Parigi, siglato nel 2015 e che ha avuto la piena adesione da parte di 183 Paesi nel 2018. Nel discorso di apertura alla COP27, il segretario esecutivo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Simon Stiell, ha chiesto ai governi di concentrarsi su tre aree critiche. La prima riguarda appunto l’attuazione dell’Accordo di Parigi, trasformando i negoziati in azioni concrete. La seconda attiene ai necessari progressi su mitigazione, adattamento, finanziamento e danno, rafforzando i finanziamenti per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici. La terza richiesta è di migliorare l’attuazione dei principi di trasparenza e responsabilità.
Ue in prima fila sui cambiamenti climatici
Avendo già ridotto le emissioni di più di un quarto dal 1990, l’Ue è leader mondiale nell’azione per il clima. Con il Green Deal europeo , presentato nel dicembre 2019, si è inoltre impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, obiettivo divenuto giuridicamente vincolante con la normativa europea sul clima del luglio 2021, che stabilisce un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto al 1990. Alla COP27 l’Ue insiste affinché gli impegni già assunti a livello globale si traducano in azioni concrete. Particolarmente delicata è la questione delle perdite e dei danni, per la quale servono soluzioni efficaci in modo da rispondere ai bisogni dei Paesi vulnerabili. L’Ue appoggia un impegno ufficiale «affinché le parti possano discutere il modo migliore di far accedere rapidamente i Paesi e le comunità vulnerabili ai finanziamenti e aumentare il sostegno a loro favore». L’obiettivo è che entro il 2025 raddoppino i finanziamenti per l’adattamento rispetto ai livelli del 2019 e aumentino i contributi finanziari per il clima, così da raggiungere i 100 miliardi di dollari annui (23 dei quali sono stati forniti dall’Ue nel 2021).
Greenpeace: aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi climatica
Nel corso della COP27 è necessario «compiere progressi significativi e positivi nei confronti dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica e dai disastri ambientali, sia in termini di giustizia che di supporto economico con impegni finanziari reali» sostiene l’organizzazione Greenpeace, secondo cui il summit dell’Onu sul clima avrà successo solo se saranno stipulati alcuni accordi concreti. Tra questi, l’istituzione di un meccanismo di finanziamento delle perdite e dei danni che sostenga economicamente i Paesi e le comunità più vulnerabili. Poi va garantita l’attuazione dell’impegno per 100 miliardi di dollari preso dai Paesi più ricchi per aumentare la resilienza dei Paesi a basso reddito. È necessario, secondo Greenpeace, un monitoraggio affinchè «tutti i Paesi adottino un approccio di transizione giusta ed equa e un rapido abbandono delle fonti fossili, compresa la cancellazione di tutti i nuovi progetti di sfruttamento dei combustibili fossili». Parallelamente a ciò, devono essere perseguiti la protezione e il ripristino della natura con la partecipazione attiva delle popolazioni indigene e delle comunità locali. «La giustizia climatica, le responsabilità di chi inquina e il supporto finanziario ai Paesi più colpiti dalla crisi climatica passata, presente e futura sono i tre ingredienti fondamentali per il successo del Vertice» sostiene la delegazione di Greenpeace alla COP27.
Legambiente: servono impegni concreti urgenti
«Non c’è più tempo da perdere. Servono impegni concreti da parte delle maggiori economie del pianeta, a partire dall’Europa con il pieno sostegno dell’Italia, in grado di costruire un largo consenso su un pacchetto di decisioni che si traduca in un Accordo di Sharm El Sheik ambizioso e giusto, in grado di fronteggiare con efficacia l’emergenza climatica» ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, illustrando quelli che sono secondo l’associazione i pilastri essenziali. Occorre adeguare gli attuali impegni di riduzione delle emissioni all’obiettivo di 1,5°C, ed è cruciale un primo passo dell’Europa che «deve andare oltre l’obiettivo del 55% e ridurre le emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per poter così raggiungere la neutralità climatica entro il 2050». Si deve poi garantire il necessario sostegno finanziario ai Paesi più poveri e vulnerabili: «Il successo di Sharm El Sheik dipende molto dal rispetto da parte dei Paesi industrializzati dell’impegno di garantire ai Paesi poveri un aiuto economico, nel periodo 2020-2025, di almeno 100 miliardi di dollari l’anno per contribuire a ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici». Inoltre, va rivista l’attuale architettura della finanza climatica: «Non solo aiuti per la mitigazione e l’adattamento, serve un nuovo strumento finanziario per sostenere la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili messe in ginocchio dai disastri climatici», risorse che possono essere reperite attraverso la tassazione degli extra-profitti delle imprese fossili.