Porre fine alla violenza contro le donne

Un numero telefonico europeo per le denunce, ma restano forti barriere culturali

È inaccettabile che nel 21° secolo donne e ragazze continuino ad essere maltrattate, vessate, uccise, stuprate, mutilate o costrette a sposarsi. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne l’Ue ha giustamente condannato queste assurde pratiche, ricordando come nell’Ue e nel mondo una donna su tre ha subito violenze fisiche o sessuali, una ragazzina su cinque è vittima di abusi sessuali, mentre aumenta la violenza online con una giovane donna su due vittima di violenza informatica di genere. Dopo aver proposto nel marzo scorso nuove norme europee per contrastare la violenza contro le donne, anche online, la Commissione europea ha ora annunciato l’istituzione di un numero telefonico comune dell’Ue per le donne vittime di violenza: 116 016. Si potrà quindi chiamare lo stesso numero in tutta l’Ue per ottenere consulenza e sostegno, iniziativa alla quale tutti gli Stati membri dovranno adeguarsi entro la fine di aprile 2023. «Rimaniamo fermi nella nostra ambizione di porre fine alla violenza contro le donne all’interno e all’esterno dell’Ue. Siamo solidali con le donne e le ragazze, vittime e sopravvissute alla violenza, e continueremo a sostenere la società civile, le organizzazioni per i diritti delle donne e i difensori dei diritti umani» ha dichiarato l’alto rappresentante e vicepresidente della Commissione, Josep Borrell, riaffermando l’impegno a favore della Convenzione di Istanbul. A oltre 10 anni dalla firma, avvenuta nel maggio 2011, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, lo strumento giuridico internazionale di più ampia portata per stabilire obblighi vincolanti nella prevenzione e nel contrasto di questo vergognoso fenomeno, non è infatti ancora stata ratificata da tutti gli Stati membri dell’Ue.

La Convenzione di Istanbul, che riconosce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, ha un approccio incentrato sulla vittima offrendo strumenti pratici per garantirne la protezione, la sicurezza e l’emancipazione.

Migliorare la tutela e il sostegno alle vittime di violenza

Il Comitato per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, istituito dalla Convenzione Cedaw (1979) e composto da esperte di varie nazonalità nel campo dei diritti delle donne, ha identificato i fattori chiave per l’accesso alla giustizia da parte delle donne: giustiziabilità, disponibilità, accessibilità, buona qualità, fornitura di rimedi per le vittime e responsabilità dei sistemi giudiziari. Per questo ha chiesto agli Stati di creare ambienti di supporto per le donne affinché possano rivendicare i propri diritti, denunciare i reati e partecipare ai processi giudiziari, prevenendo le ritorsioni. «In un contesto di molteplici crisi, inclusi conflitti armati, cambiamenti climatici, migrazioni forzate e sfollamento, una pandemia persistente e una recessione economica, l’accesso delle donne alla giustizia, alla riparazione e all’emancipazione è sempre più a rischio e richiede salvaguardie sostenibili» sostiene il  Cedaw. Osservando l’avvio di riforme legali a livello nazionale in molte regioni del mondo, le esperte di diritti delle donne segnalano come esistano però ancora molte carenze, compresi gli stereotipi negativi contro le donne che minano la loro credibilità e continuano a colpevolizzare le vittime da parte di forze dell’ordine e attori giudiziari, contribuendo a una scarsa elaborazione dei casi e a un basso livello di procedimenti giudiziari. Inoltre, non sono forniti sistematicamente alle vittime protezione e sostegno durante la fase investigativa e durante i procedimenti giudiziari, cosa che incide sulla capacità delle donne e delle ragazze di perseguire la giustizia penale. La mancanza di sensibilità e riservatezza per le donne e le ragazze quando interagiscono con il sistema giudiziario contribuisce poi ai bassi tassi di segnalazione e all’alto livello di logoramento. «Donne e ragazze che affrontano forme di discriminazione multiple e interconnesse, comprese le donne migranti, donne appartenenti a minoranze nazionali e/o etniche, donne con disabilità, donne Lbti, donne anziane e donne con dipendenza, sono a maggior rischio di emarginazione all’interno dei sistemi giudiziari a causa di pregiudizi persistenti e barriere fisiche, comunicative o amministrative che hanno difficoltà a superare» afferma il Cedaw, esortando gli Stati a intensificare urgentemente gli sforzi per adempiere ai loro impegni di tutela e sostegno di donne e ragazze vittime di violenze di vario genere.

Contrastare il controllo coercitivo e la violenza psicologica

Non solo violenze fisiche ma anche psicologiche sono perpetrate quotidianamente ai danni delle donne, come ha evidenziato una recente Relazione dell’European Institute for Gender Equality (Eige) sul controllo coercitivo e la violenza psicologica negli Stati membri dell’Ue. Sono soprattutto le donne più giovani, le donne con disabilità o problemi di salute, le donne non eterosessuali e le donne con un background migratorio a subire maggiormente la violenza psicologica, rileva l’Eige, sottolineando che le implicazioni della violenza psicologica e del controllo coercitivo sono profonde sulle vittime, con rischio di suicidio, depressione e disturbo da stress post-traumatico particolarmente diffusi, così come l’impatto negativo può essere pesante anche sui figli delle vittime, aumentando il rischio di vittimizzazione e la perpetrazione in età adulta. Dallo studio emerge che la scarsa conoscenza della violenza psicologica costituisce l’ostacolo più importante alla prevenzione, di conseguenza le vittime del controllo coercitivo e della violenza psicologica sono riluttanti a denunciare le proprie esperienze. Il controllo coercitivo è «un corso strategico di condotta oppressiva tipicamente caratterizzato da abusi fisici frequenti ma di basso livello e coercizione sessuale in combinazione con tattiche per intimidire, degradare, isolare e controllare le vittime», mentre la Convenzione di Istanbul definisce la violenza psicologica come «qualsiasi condotta intenzionale che compromette gravemente l’integrità psicologica di un’altra persona attraverso la coercizione o le minacce». Secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra), il 44% delle donne nell’Ue ha subito violenza psicologica da parte di un partner nel corso della propria vita. L’Eige raccomanda di trattare la violenza psicologica in modo specifico e chiede di includere una dimensione digitale nel quadro di prevenzione e risposta rivolto alle vittime di abusi online.