Più impegno per la sicurezza sul lavoro
Lo chiede la Ces ai Paesi dell’Ue che non hanno ratificato le convenzioni dell’Ilo
«La maggioranza degli Stati membri dell’Ue non sostiene la salute e la sicurezza sul lavoro come diritto fondamentale e internazionale», questo secondo un esame della situazione legislativa dei Paesi dell’Ue svolto dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces). Secondo i sindacati europei, infatti, la maggior parte degli Stati membri non ha ancora ratificato le due convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo) in materia di salute e sicurezza (155 e 187) che lo scorso giugno sono diventate convenzioni fondamentali, nonostante siano state rese diritto fondamentale proprio grazie all’impegno dei Paesi europei e africani. La Convenzione 155 dell’Ilo riguarda l’elaborazione di una politica nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro con i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro, mentre la Convenzione 187 prevede la promozione del «miglioramento continuo della sicurezza e salute sul lavoro per prevenire infortuni, malattie e decessi sul lavoro». Rendendo la salute e la sicurezza sul lavoro diritti fondamentali, l’Ilo ha assicurato che le aziende siano responsabili in materia all’interno della loro catena di approvvigionamento in base a qualsiasi legge sulla “due diligence” (investigazione, approfondimento e verifica di conformità legislativa) o sul “governo aziendale sostenibile”, come quella proposta dall’Ue.
In occasione della Settimana europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (24-28 ottobre) la Ces ha quindi esortato tutti i Paesi dell’Ue a ratificare le convenzioni e riconoscere la salute e la sicurezza come un diritto fondamentale. In particolare, i sindacati europei hanno stilato un elenco dei Paesi che non hanno ancora ratificato una o tutte e due le convezioni fondamentali, lanciando avvertimenti “rossi” e “gialli” a seconda delle situazioni. Così, Italia, Polonia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia e Malta hanno ricevuto un avvertimento rosso perché non hanno ratificato né la 155 né la 187. Avvertimento giallo invece a Germania, Francia, Paesi Bassi, Grecia, Austria, Ungheria, Croazia, Irlanda e Lettonia per aver ratificato solo una delle due convenzioni. Ad oggi la ratifica di entrambe le convenzioni è avvenuta in soli 11 Paesi dell’Ue, che sono Spagna, Belgio, Portogallo, Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Danimarca, Finlandia, Slovenia, Lussemburgo e Cipro.
«È francamente vergognoso e imbarazzante che la maggioranza degli Stati dell’Ue non stia sostenendo i tentativi della comunità internazionale di fare della salute e della sicurezza un diritto fondamentale mondiale» ha detto il vicesegretario generale della Ces, Claes-Mikael Stahl, sottolineando come «non riuscire a sostenere un lavoro sano e sicuro nel resto del mondo, mina la salute e la sicurezza anche in Europa».
La situazione a livello mondiale e in Europa
La questione della salute e sicurezza al lavoro è molto rilevante a livello mondiale, se si considera che, secondo le rilevazioni dell’Ilo, mediamente ogni giorno oltre 5000 persone muoiono e quasi un milione si infortunano a causa del lavoro svolto. Si stimano infatti annualmente 1,9 milioni di morti per lavoro, 360 milioni di infortuni non mortali che implicano almeno 4 giorni di assenza dal lavoro e 90 milioni di anni di vita persi per malattia, disabilità o morte prematura (disability-adjusted life year o Daly) attribuibili all’esposizione a 19 principali fattori di rischio professionale.
A livello europeo, invece, Eurostat ha recentemente pubblicato i dati relativi al 2020 secondo cui nell’Ue quasi 2,7 milioni di incidenti sul lavoro non mortali hanno comportato l’assenza dal lavoro per quattro giorni o più, mentre 3.355 incidenti sul lavoro sono stati mortali. Il 2020 è però stato un anno anomalo, caratterizzato dalla pandemia di Covid-19, con meno infortuni rispetto all’anno precedente ad eccezione del settore sanitario, una tendenza decrescente influenzata dalla riduzione o dalla chiusura di molte attività e che già nel 2021 ha subito un’inversione con un nuovo rialzo. Oltre i due terzi degli infortuni sul lavoro riguardano gli uomini, questo perché si verificano prevalentemnte nei settori minerario, manifatturiero o edile, che hanno una forte prevalenza occupazionale maschile, e anche perché generalmente gli uomini tendono a lavorare a tempo pieno in numero maggiore rispetto alle donne, cosa che aumenta le possibilità di avere un infortunio sul lavoro. Tuttavia, nel 2020 è aumentato il numero di infortuni registrati nelle attività legate alla salute e all’assistenza, che tendono a essere prevalentemente femminili. Nel 2020, osserva Eurostat, il numero di incidenti mortali per 100.000 occupati variava da meno di uno in Finlandia, Grecia, Germania, Svezia e Paesi Bassi a tre o più per 100.000 occupati in Lituania, Romania, Italia, Bulgaria e Cipro.
Infortuni e malattie professionali in Italia nel 2022
Per quanto riguarda l’Italia, i dati resi noti recentemente dall’Inail relativi ai primi otto mesi del 2022 riportano 484.561 denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e agosto (+38,7% rispetto allo stesso periodo del 2021), 677 delle quali con esito mortale (-12,3%). Rispetto all’analogo periodo del 2021, dunque, l’Inail registra «un deciso aumento» delle denunce di infortunio («dovuto in parte al più elevato numero di denunce di infortunio da Covid-19 e in parte alla crescita degli infortuni “tradizionali”»), un calo di quelle mortali («per il notevole minor peso delle morti da contagio, a cui si contrappone però il contestuale incremento dei decessi “tradizionali”») e una crescita delle patologie di origine professionale denunciate, che sono state 39.367 (+7,9%).
L’incremento degli infortuni nei primi otto mesi del 2022 rispetto al 2021 ha riguardato sia i casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 303.628 a 429.161 (+41,3%), sia di quelli verificatisi nel tragitto tra l’abitazione e il posto di lavoro, con un aumento del 20,9%, da 45.821 a 55.400. Un aumento legato sia alla componente femminile, con un +63,4% (da 125.049 a 204.383 denunce), sia a quella maschile, che presenta un +24,9% (da 224.400 a 280.178). Che ha interessato sia i lavoratori italiani (+41,3%), sia quelli stranieri extracomunitari (+27,7%) e comunitari (+23,5%) e con incrementi in tutte le fasce d’età, anche se quasi la metà dei casi riguarda la classe 40-59 anni.