Migrazioni: Paesi dell’Ue uniti solo nella chiusura

Al Consiglio europeo un vago accordo sulla gestione comune dei flussi migratori

Se non fosse troppo cinico, data la drammaticità dell’argomento, si potrebbe definire “in alto mare” la situazione creatasi con il Consiglio europeo del 28 giugno scorso dedicato alla questione migratoria. I capi di Stato e di governo dell’Ue dovevano cercare un accordo tra la richiesta italiana di condivisione degli oneri dei flussi migratori in arrivo sulle coste europee, soprattutto italiane, e la posizione di vari governi che non accettano la redistribuzione dei migranti. Ne è così scaturita una sintesi caratterizzata da più interrogativi che certezze, soprattutto rispetto a quale sarà la traduzione concreta di alcune iniziative annunciate.

Piattaforme di sbarco regionali

Su tutte, il significato di quelle che sono state definite «piattaforme regionali di sbarco». Al proposito si legge nelle Conclusioni del Consiglio europeo: «Occorre un nuovo approccio allo sbarco di chi viene salvato in operazioni di ricerca e soccorso, basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri. Al riguardo, il Consiglio europeo invita il Consiglio e la Commissione a esaminare rapidamente il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i Paesi terzi interessati e con l’Unhcr e l’Oim. Tali piattaforme dovrebbero agire operando distinzioni tra i singoli casi, nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza che si venga a creare un fattore di attrazione».

È evidente l’intento di limitare gli arrivi nei Paesi dell’Ue, ma non è stato ancora stabilito se tali piattaforme saranno collocate sul territorio europeo o piuttosto su quello di Paesi terzi collaboranti, come preferirebbe la stragrande maggioranza dei governi dell’Ue secondo una logica di delocalizzazione dei controlli già collaudata in parte con Turchia e Libia, a discapito però dei diritti umani. Inoltre, non è chiaro da chi e come saranno gestiti tali luoghi, quale sarà la loro funzione e, nel caso sorgessero in Paesi terzi, come sarà gestito il rapporto logistico, amministrativo e giuridico tra il Paese interessato e le istituzioni dell’Ue.

Misure attuate su base volontaria

Altra questione emersa dal Consiglio europeo, che ha di fatto proclamato la vittoria di tutti i Paesi contrari alla redistribuzione dei migranti, è quella relativa alla volontarietà. Recitano le Conclusioni del Consiglio: «Nel territorio dell’Ue coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell’Ue, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino». Un’accoglienza delegata alla volontà dei singoli Stati membri lascerà tutto a carico dei Paesi che lo stanno già facendo.

Ma la cosa che desta maggiori perplessità e critiche è quella che riguarda i “centri sorvegliati” in cui dovrebbero essere rinchiusi i migranti, in attesa di distinguere gli immigrati irregolari da coloro che hanno diritto a protezione internazionale: una pratica non troppo dissimile dai vergognosi gabbioni visti ai confini degli Stati Uniti. Oltre agli evidenti rischi di violazioni dei diritti umani, tale approccio evidenzia ancora una volta la miopia della politica migratoria europea, che senza l’istituzione di canali regolari d’ingresso non farà che produrre altra immigrazione “irregolare”, con tutti i rischi che ciò comporta.

Un’emergenza che non esiste

Lo stesso giorno del Consiglio europeo si è diffusa la notizia dell’ennesimo naufragio di migranti, questa volta al largo delle coste libiche, che avrebbe causato la morte di un centinaio di persone, portando così a quasi 1.000 il numero dei migranti morti nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno. Inoltre, la retorica dell’emergenza divulgata dal ministro degli Interni italiano è smentita dai dati forniti dal suo stesso ministero: nella prima metà del 2018 sono sbarcati in Italia 16.566 migranti, il 79% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017, quando ne arrivarono 79.154; gli sbarchi sono in calo costante ormai da 12 mesi; tra gli arrivi del primo semestre di quest’anno, 11.401 sono partiti dalla Libia, con un calo dell’84,94% rispetto al 2017 e dell’83,18% rispetto al 2016.

Ces: «La decenza umana è stata dimenticata»

«Il Mediterraneo sta diventando una fossa comune mentre i leader dell’Ue stanno segnando i punti da portare a casa invece di trovare soluzioni reali» ha dichiarato il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Luca Visentini, mettendo in relazione la drammaticità del naufragio nelle acque libiche con il cinismo del Consiglio europeo.

«I leader dell’Ue devono ricordare che i migranti sono persone come noi – ha proseguito Visentini –. I nostri leader eletti hanno l’obbligo morale e legale di mostrare l’umanità a persone che sono in grave rischio di annegare in mare. In che modo l’Europa ha raggiunto un punto in cui le persone in fuga dalla guerra e dalla povertà estrema vengono trattate come un nemico che deve essere tenuto a distanza? La decenza umana sembra essere stata dimenticata». Il segretario della Ces ha poi criticato alcune delle decisioni del Consiglio europeo: «È semplicemente irrealistico e insostenibile mettere troppa enfasi sulla sorveglianza delle frontiere e esternalizzare la gestione dei rifugiati in Turchia e in Nord Africa per tenere i rifugiati fuori dall’Europa attraverso le cosiddette piattaforme di sbarco regionali. Deve essere intensificato lo sforzo umanitario con il contributo di tutti gli Stati membri e devono essere aperti modi legali per entrare nell’Ue. È solo in parte giusto incolpare i trafficanti per gli annegamenti, il fatto che non sia possibile per i rifugiati entrare legalmente nell’Ue rende i rischi purtroppo inevitabili».