Editoriale
Che si tratti o meno della #svoltabuona# per l’Italia, come twitta continuamente il neo presidente del Consiglio Matteo Renzi, si vedrà nei prossimi mesi. Certo, al di là del credito che si può dare a questo governo, si deve sperare che lo sia davvero per un Paese “in coma” da troppo tempo. Si dirà che la crisi economico-finanziaria e sociale degli ultimi anni è stata la peggiore dal dopoguerra e non è ancora finita, questo è vero. Però ha colpito tutta l’Europa non solo l’Italia. Allora perché l’Italia è tra i pochi Paesi che non riescono a invertire la tendenza? Osservando i dati contenuti in una Relazione pubblicata a inizio marzo dalla Commissione europea, con la quale si fa un bilancio dei primi quattro anni di attuazione della strategia Europa 2020, emergono chiaramente i diffusi ritardi italiani sulla maggior parte degli obiettivi prefissati. L’Italia ha il più basso tasso d’istruzione terziaria di tutta l’Ue, è al quarto posto su ventotto per numero di abbandoni scolastico-formativi, è al quart’ultimo posto per i tassi di occupazione, è al secondo posto tra i “vecchi” Stati membri dell’Ue per rischio di povertà con un tasso del 30% e circa 18 milioni di persone coinvolte. Inoltre è tra i Paesi meno innovatori e potrebbe raggiungere l’obiettivo 2020 in materia di spesa in ricerca e sviluppo solo perché ha fissato un obiettivo poco ambizioso (1,53% del Pil, circa metà dell’obiettivo dell’Ue). Anche dal punto di vista macroeconomico l’Italia è da poco stata richiamata dalla Commissione europea per lo «squilibrio eccessivo»: debito elevato, competitività debole e crescita deludente. Questo mentre molti altri Paesi dell’Ue stanno iniziando una lieve ripresa. A queste pessime prestazioni economico-sociali, spesso in controtendenza rispetto alla maggior parte del resto dell’Ue, si aggiunge una percezione negativa e pessimista dell’Unione europea come evidenziato dall’ultimo Eurobarometro. Anche qui in controtendenza con il resto dell’Ue dove, perlomeno secondo questo sondaggio, i cittadini sembrano avere nuovamente moderata fiducia nell’Unione europea.
C’è da chiedersi se il negativo “sentire” europeo dei cittadini italiani sia condizionato dalle scarse politiche nazionali che hanno allontanato sempre di più l’Italia dall’Europa “che funziona”, oppure se la mancanza di riforme sia causata da una sfiducia nell’Ue che è di tutti i cittadini italiani e quindi anche della classe politica.
Sta di fatto che l’Italia deve riprendersi, ma non può farlo in contrasto o in conflitto con l’Ue. Quindi una “svolta” è necessaria, se poi sarà “buona” tanto meglio.