L’Europa malata

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In un’estate in cui il grosso delle attenzioni era rivolto alle decisioni delle istituzioni europee e dei capi di Stato e di governo della zona euro per salvare dal fallimento la Grecia e con essa la moneta unica europea, agli immediati confini dell’Unione europea, nella pacifica Norvegia, si è consumata una strage di un centinaio di persone, in gran parte giovani.

E così l’Unione europea, che aveva appena tirato il fiato dopo la svolta avviata finalmente da Bruxelles a fronte di una crisi finanziaria certo non ancora risolta, è ripiombata nello sgomento per un massacro che interroga tutti e avrà bisogno di tempo e lucidità per trovare risposte almeno convincenti, anche se non rassicuranti.

Passata la prima frettolosa attribuzione di responsabilità al fanatismo islamico, si è fatta strada l’ipotesi di altri fanatismi di casa nostra, coltivati nell’ombra ma diffusi ormai su larga scala in Europa anche se con numeri ancora contenuti. Del loro terreno di coltura si era detto a più riprese, evocando il virus populista e xenofobo che si andava diffondendo in molti Paesi europei e che adesso rischia di saldarsi con pericolose ondate di antipolitica, di destra e di sinistra, che minacciano anche l’Italia.

Riepiloghiamo alcuni dati sulla consistenza di forze populiste presenti in Europa, senza peraltro confonderle – almeno per ora – con quelle dell’estrema destra, in alcuni Paesi confinanti con movimenti neo-nazisti.

I primi segnali erano venuti già anni fa dall’Austria di Jörg Haider, il cui Partito della Libertà si è assicurato nel 2010 il favore di oltre un elettore su quattro: qualcuno vi vide agli inizi qualche somiglianza con la Lega in Italia che avrebbe ottenuto l’8,3% nelle elezioni del 2008. Un consenso equivalente l’avrebbe raggiunto, alle elezioni europee del 2009, il partito della “Grande Romania” e da quella data in poi fu una vera frana.

Nel 2010 il Partito della Libertà nei Paesi Bassi incassa oltre il 15%, il partito “Nuova alleanza fiamminga” in Belgio sfiora il 30%, il partito di Jean-Marie Le Pen raggiunge il 15% al primo turno delle amministrative in Francia e in Svizzera il “Partito del popolo” detiene la maggioranza nel Parlamento federale con poco meno del 30% dei consensi.

Non va meglio nei Paesi scandinavi, dove i “Democratici di Svezia” entrano in Parlamento superando la soglia del 5%, in Finlandia dove il partito dei “Veri finlandesi” diventa la terza forza politica con il 19% dei voti, posizione in Parlamento occupata anche in Danimarca dal “Partito popolare”.

Una tendenza populista analoga – e almeno altrettanto inquietante – si manifesta nei Paesi dell’est europeo: oltre alla Romania, ricordata sopra, alla Slovacchia e alla Repubblica Ceca, si segnala l’Ungheria con il partito Jobbik, forte di quasi il 17% dei consensi, non senza responsabilità nell’adozione di una Costituzione con una forte impronta nazionalista.

Numeri e sigle – dove sono ricorrenti le parole “popolo” e “libertà” – che compongono un universo politico per ora non omogeneo, con difficoltà ad aggregarsi a livello europeo, ma che traduce il sentire diffuso di una società impaurita da una globalizzazione e da flussi migratori non governati, ossessionata dal bisogno di un’identità culturale e religiosa rassicurante, ferita da una crisi economica e sociale che morde nella carne viva delle persone.

Accade così che il progetto generoso e preveggente di una società multiculturale – e progressivamente interculturale – aperta e tollerante si trovi stretto tra le molte paure dei cittadini e il poco coraggio dei responsabili politici europei a tenere fermo il timone verso la stagione del mondo che verrà e che riproporrà al suo centro il tema delle “diversità” e della loro civile convivenza. Hanno alzato troppo presto bandiera bianca i leader di tre Paesi importanti come Angela Merkel in Germania, David Cameron nel Regno Unito e Nicolas Sarkozy in Francia, con il rischio di buttare il bambino – del progetto multiculturale – con l’acqua dell’inevitabile disagio delle prime convivenze tra diversi.

Non è stata questa la reazione dei responsabili norvegesi che, dinanzi alla strage che ha colpito il loro Paese, hanno riaffermato la loro fiducia in una società aperta, fondata sui valori della tolleranza e del dialogo.

Impari la lezione anche l’Unione europea – e con essa l’Italia – riconsegnando il primato a una politica ridiventata credibile e capace di governare economia e finanza e rispettando il ruolo della società civile, distogliendola dalla tentazione dell’anti-politica, anch’essa terreno di coltura del populismo e varco verso derive violente di cui non abbiamo proprio bisogno.

(Franco Chittolina)

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