Promuovere diritti sociali e responsabilità sociale delle imprese
L’Unione europea si è posta non soltanto l’obiettivo di diventare un polo d’eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese (Rsi), ma anche quello di promuovere la Rsi nell’ambito delle politiche esterne che attua; le certificazioni e i marchi che attestano il rispetto dei principi della responsabilità sociale da parte delle imprese dovrebbero essere tenuti in maggior considerazione, così come dovrebbe essere chiaro che la Rsi rappresenta una forma di impegno utile per le aziende e non un vincolo. L’annosa questione della responsabilità sociale delle imprese è stata affrontata in questo modo dal Parlamento europeo, che a inizio giugno ha adottato un risoluzione sulla “dimensione esterna della politica sociale, la promozione delle norme sociali e del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese europee”.
Non servono nuove
norme ma nuovi ambiti di applicazione
Secondo l’Europarlamento non occorreadottare a livello dell’Ue direttive che disciplinino e impongano la responsabilità sociale delle imprese perché basta rispettare pienamente le norme che già esistono a livello internazionale, quali la norma Iso 26000, il Global Compact dell’Onu e i principi guida dell’Ocse per le imprese multinazionali, collegando inoltre la Rsi a iniziative più ampie che promuovano il lavoro dignitoso a livello settoriale, di comunità, nazionale e regionale, quali i programmi Better Work e Score dell’Ilo-Oil che coinvolgono lavoratori, datori di lavoro, autorità e altre parti interessate.
La Rsi, sostiene il Parlamento europeo, dovrebbe abbracciare nuovi ambiti quali l’organizzazione del lavoro, le pari opportunità e l’inclusione sociale, misure di antidiscriminazione e lo sviluppo dell’istruzione e dell’apprendimento permanenti: «La responsabilità sociale delle imprese deve riguardare, per esempio, la qualità del lavoro, il salario equo, le prospettive di carriera e la promozione di progetti innovativi in modo da sostenere il passaggio a un’economia sostenibile».
Le imprese domiciliate nell’Ue devono essere incoraggiate dalla Commissione europea e dagli Stati membri a rispettare i diritti umani, economici e sociali e l’ambiente in tutte le loro attività a livello globale, in particolare quelle condotte da proprie filiali o altre aziende collegate. Inoltre, aggiunge, l’Europarlamento, «all’osservanza di norme rigide in materia ambientale da parte delle aziende dell’Ue nei Paesi terzi deve essere conferita la stessa importanza garantita al rispetto dei diritti dei lavoratori, poiché i danni all’ambiente quasi sempre compromettono anche la salute dei lavoratori, distruggono le aree agricole, le zone di pesca e altre risorse economiche, privando quindi molte persone di elementi basilari per la loro sussistenza».
La responsabilità delle imprese europee
a livello globale
Dato il loro peso negli scambi commerciali internazionali, le imprese europee, le loro controllate e i loro fornitori esterni svolgono un ruolo fondamentale nella promozione e nella divulgazione degli standard sociali e del lavoro nel mondo, pertanto il loro comportamento dovrebbe essere conforme ai valori europei e alle norme riconosciute a livello internazionale, osserva l’Europarlamento, sottolineando che quando le imprese europee delocalizzano la loro produzione in Paesi caratterizzati da standard sociali inferiori «sarebbe assolutamente opportuno riconoscere, anche nelle sedi giurisdizionali in Europa, la responsabilità di dette imprese per gli eventuali danni e le esternalità negative riguardanti le popolazioni locali».
La Commissione europea è quindi esortata a modificare la sua proposta di regolamento concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale al fine di consentire la citazione in giudizio di una controllata con sede legale in un Paese terzo, insieme alla controllante europea, nonché di aggiungere ulteriori criteri di competenza.
L’esecutivo dell’Ue dovrebbe inoltre «promuovere la giusta rilevanza della Rsi nelle politiche commerciali a livello multilaterale, all’interno dei forum internazionali che hanno sostenuto la Rsi, in particolare Ocse e Ilo-Oil, nonché all’interno della Wto-Omc in un’ottica post Doha» sostiene il Parlamento europeo, che invita poi la Commissione a inserire sistematicamente negli accordi di libero scambio e di investimento che negozia con i Paesi terzi un capitolo sullo sviluppo sostenibile contenente una clausola sulla Rsi «giuridicamente vincolante». La clausola sulla responsabilità sociale, propone l’Europarlamento, dovrebbe contemplare non soltanto il rispetto delle otto Convezioni fondamentali e delle quattro Convenzioni prioritarie dell’Ilo-Oil, ma anche «appositi incentivi per incoraggiare le aziende ad assumere impegni in materia di Rsi e un obbligo di diligenza in capo alle imprese e ai gruppi di imprese, ossia il dovere di adottare misure proattive atte a individuare e prevenire eventuali violazioni dei diritti umani o ambientali nonché i casi di corruzione ed evasione fiscale, anche a livello di controllate e indotto (ossia di sfera di influenza)».
Alleanza sociale
nella cooperazione internazionale
«A livello mondiale l’Ue è considerata un polo d’attrazione e un partner interessante grazie alla sua combinazione unica di dinamismo economico e modello sociale» osserva poi il Parlamento europeo che, sottolineando l’importanza di un’azione coerente in materia di protezione sociale all’interno e all’esterno dell’Unione, chiede alla Commissione e agli Stati membri di cooperare con le organizzazioni internazionali per «migliorare la dimensione sociale della globalizzazione, tenendo come riferimento il modello sociale europeo».
L’Europarlamento si dichiara favorevole a che l’Ue si astenga dal concludere accordi commerciali con Paesi che non rispettino i diritti umani e le norme fondamentali del lavoro, invita la Commissione ad adattare in sede negoziale il livello dei requisiti imposti in base al grado di sviluppo dei singoli Paesi partner, proponendo di «stilare un elenco di standard aggiuntivi da applicare in maniera graduale e flessibile tenendo conto della situazione economica, sociale e ambientale del partner interessato». L’applicazione degli standard di base, tanto negli Stati membri quanto nel territorio dei Paesi partner, dovrebbe essere sottoposta a monitoraggio continuo da parte di organismi indipendenti e l’inosservanza o la violazione degli standard stessi, appurate sulla base di criteri prestabiliti, «dovrebbero essere punite con sanzioni comminate mediante procedure efficaci e trasparenti» sostiene il Parlamento europeo, sottolineando che gli standard in questione «dovrebbero essere applicati integralmente e che non si possano introdurre deroghe avvalendosi di zone franche o “accordi con i Paesi ospitanti” (host country agreements)».
Commissione e Stati membri sono invitati a cooperare reciprocamente e con i Paesi partner per proteggere le categorie di lavoratori vulnerabili e combattere la discriminazione, non solo basata sul genere, ma anche sull’origine razziale o etnica, sulla religione o le convinzioni personali, sulla disabilità, l’età e l’orientamento sessuale. Nell’ambito degli accordi commerciali, nel dialogo con altri Paesi e nella cooperazione allo sviluppo, aggiunge l’Europarlamento, devono essere prioritari l’eliminazione del lavoro minorile e il rispetto dei diritti dei bambini: «Le misure volte a contrastare il lavoro minorile devono prevedere la creazione di posti di lavoro dignitosi per gli adulti, consentendo così ai bambini di ricevere un’istruzione adeguata». Gli eurodeputati propongono inoltre l’istituzione di un numero verde europeo per il lavoro minorile, al quale i cittadini possono segnalare tutte le imprese che si avvalgono del lavoro minorile ovunque nel mondo.
«La spesa dell’Unione nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, degli accordi di associazione o di stabilità e degli accordi commerciali offre opportunità uniche per aiutare i Paesi partner nella realizzazione di istituti di istruzione, formazione professionale e del mercato del lavoro e di una protezione sociale di base sostenibili nell’ottica di una maggiore sicurezza sociale ed economica e, pertanto, di un maggiore benessere» osserva ancora l’Europarlamento.
Diritti dei lavoratori
e condizioni di lavoro
Tutti gli Stati membri sono poi invitati dal Parlamento europeo a rispettare e promuovere le norme fondamentali dell’Ilo-Oil in materia di lavoro, a rispettare le convenzioni finora emanate in materia sociale e ad applicarne concretamente i principi che si riferiscono ai diritti fondamentali dei lavoratori. In vari Paesi che godono del Regime speciale per lo sviluppo sostenibile ed il buon governo (Spg-Plus) sono state segnalate ripetute violazioni delle norme fondamentali del lavoro, senza che ciò abbia portato però a una sospensione delle preferenze: il Parlamento europeo ritiene che la mancata applicazione della condizionalità mini l’ambizione dell’Ue di promuovere la politica sociale e le norme fondamentali del lavoro a livello globale e sia contraria al principio della coerenza delle politiche per lo sviluppo;
La Commissione è esortata a promuovere una maggiore cooperazione tra la Wto-Omc e l’Ilo-Oil, consentendo a quest’ultima di presentare Relazioni di esperti alla Wto nelle controversie commerciali al fine di integrare nelle attività della Wto le norme in materia di lavoro e lavoro dignitoso, evitando di mettere a repentaglio lo sviluppo sociale: «Le politiche dell’Ue devono essere incentrate sulle persone oltre che sulle istituzioni per quanto concerne lo sviluppo del capitale umano e le riforme del mercato del lavoro» sostiene il Parlamento europeo. Così come deve essere sostenuta «l’attuazione della libertà di associazione per i sindacati e il diritto di concordare accordi collettivi, senza esclusioni, per rinforzare, migliorare e tutelare condizioni di lavoro dignitose».
In generale, secondo l’Europarlamento, la Commissione e gli Stati membri devono sviluppare un approccio costruttivo per affrontare le conseguenze sociali degli adeguamenti e delle ristrutturazioni collegati alla globalizzazione, mentre la ridefinizione della governance globale deve essere orientata verso una maggiore integrazione degli organismi di regolamentazione nell’ordinamento giuridico delle Nazioni Unite e un maggior rispetto dei principi abbracciati dalle sue agenzie specializzate, in particolare l’Ilo-Oil e l’Oms.
INFORMAZIONI:
L’ILO CONTRO IL LAVORO MINORILE PERICOLOSO
In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, del 12 giugno, l’International LabourOrganisation (Ilo, Organizzazione internazionale del lavoro – Oil) ha pubblicato un Rapporto sul lavoro minorile pericoloso, che analizza le ultime tendenze del fenomeno a livello globale e segnala i rischi per la salute dei minori impiegati in agricoltura, nelle estrazioni minerarie, nelle costruzioni, nell’industria, nel lavoro domestico e della raccolta dei rifiuti.
L’Ilo stima che tra i circa 215 milioni di minori impiegati in attività lavorative a livello mondiale almeno 115 milioni siano coinvolti in lavori pericolosi, lavori cioè che per loro natura o per le circostanze in cui sono eseguiti possono pregiudicare la salute, la sicurezza e la stabilità psicologica dei minori coinvolti. Si tratta di un problema globale, che riguarda sia i Paesi in via di sviluppo sia quelli industrializzati, e rappresenta una delle peggiori forme di lavoro minorile che la comunità internazionale si è imposta l’obiettivo di eliminare entro il 2016. Un fenomeno, quello del lavoro minorile pericoloso, che sembra essere in aumento nella fascia di età tra i 15 e i 17 anni, con una maggioranza di maschi, mentre diminuisce tra quelli più piccoli (5-14 anni), e che la crisi economica ha aggravato dato il ridimensionato impegno dei governi a debellarlo.
Le regioni mondiali dove il lavoro minorile pericoloso è più diffuso in valori assoluti sono quella asiatica, con circa 48 milioni di piccoli lavoratori coinvolti, e quella dell’Africa sub-sahariana che ne conta quasi 39 milioni ma che detiene il massimo valore relativo.
L’Ilo-Oil ha quindi rinnovato l’esortazione a tutti i Paesi affinché intervengano urgentemente e in modo radicale per eliminare le forme più pericolose di lavoro minorile. Oltretutto, impegnare bambini e ragazzi nel lavoro anziché garantire loro il diritto all’istruzione non è solo moralmente inaccettabile ma è anche economicamente svantaggioso. Secondo l’Ilo, infatti, anche da un punto di vista meramente produttivo i Paesi capaci di impegnarsi nel garantire una scolarizzazione alle nuove generazioni beneficerebbero di notevoli vantaggi nel lungo periodo: «Ogni anno in più che i ragazzi fino a 14 anni passano a scuola, anziché al lavoro, si traduce in un investimento economico non indifferente che supera di sei volte quello ottenuto dai lavoratori precocissimi». La frequenza di un corso scolastico rappresenta dunque la vera soluzione allo sfruttamento minorile: «Ad iniziare dai Paesi che pur definiti avanzati non permettono sempre l’accesso all’istruzione gratuita ed obbligatoria» conclude l’Ilo.
INFORMAZIONI:http://www.ilo.org