Libro Verde sulle pensioni
L’Europa discute di sistemi pensionistici adeguati,
sostenibili e sicuri
Il sistema pensionistico europeo è sotto pressione a causa dell’invecchiamento demografico, che deriva da un aumento della longevità e dalla contemporanea diminuzione del tasso delle nascite. Dal 2012 la popolazione attiva in Europa comincerà a diminuire, quindi si tratta di una sfida incombente. Molti Stati membri hanno già modificato i loro sistemi pensionistici in varia misura per poter affrontare tale sfida, ma la crisi economica e finanziaria ha reso la situazione ancora più difficile e più urgente.
In tale contesto, la Commissione europea ha ritenuto opportuno avviare un’ampia discussione su «se e come» il quadro pensionistico a livello di Unione europea debba essere sviluppato per fornire un miglior sostegno agli Stati membri che affrontano il difficile compito di garantire ai propri cittadini pensioni adeguate, sostenibili e sicure, sia oggi che in futuro. Per questo, nei mesi scorsi l’esecutivo europeo ha prodotto un nuovo Libro verde sulle pensioni intitolato Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa, attraverso cui è stata lanciata una consultazione pubblica durata dal 7 luglio al 15 novembre scorsi e aperta a tutte le parti in causa nell’Unione europea: amministrazioni pubbliche nazionali e locali, associazioni di categoria, parti sociali, Ong e singoli cittadini.
Secondo la Commissione, affinché l’Ue possa sostenere e integrare efficacemente gli sforzi dei Paesi membri, il quadro europeo di coordinamento e regolamentazione, oggi incompleto e frammentato, deve essere riesaminato nel suo complesso. Politica sociale, politica economica e regolamentazione finanziaria sono infatti interdipendenti e proprio su questi ambiti il Libro verde ha focalizzato l’attenzione indicando alcune proposte per la realizzazione di questo obiettivo.
Il Libro verde adotta così un approccio integrato che considera gli aspetti economici, sociali e finanziari e riconosce i legami e le sinergie tra la questione delle pensioni e la strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. L’obiettivo di generare redditi di pensione adeguati e sostenibili per mezzo di riforme dei sistemi pensionistici e gli obiettivi perseguiti dalla strategia “Europa 2020” si rafforzano reciprocamente. L’obiettivo del 75% di occupati implica tassi d’occupazione nettamente più elevati di quelli attuali nella fascia d’età 55-65 anni, mentre l’aumento delle pensioni insufficienti, che possono essere una delle principali cause di povertà tra le persone anziane, può anche contribuire a ridurre la povertà, uno degli obiettivi della strategia “Europa 2020”. Le riforme delle pensioni, sostiene la Commissione, contribuiranno a loro volta al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia 2020 per l’occupazione e la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche.
Principali punti in discussione
Nell’ambito degli obiettivi primari di sistemi pensionistici europei adeguati, sostenibili e sicuri vi sono tre temi principali, osserva il Libro verde:
• In primo luogo, come può l’Unione europea appoggiare gli sforzi intrapresi dagli Stati membri nella loro ricerca di un equilibrio tra i periodi passati in attività e i periodi passati in pensione, tenendo conto dei cambiamenti strutturali delle società e dei mercati del lavoro e in presenza dell’innalzamento della speranza di vita. Tutto questo è strettamente collegato alla strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
• In secondo luogo, lo scopo è di eliminare gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori oltre che dei capitali che risultano dai sistemi pensionistici, compresi i sistemi di pensione supplementare.
• In terzo luogo, è necessario garantire la sicurezza delle pensioni nel presente e nel futuro e limitare i rischi e l’instabilità per lavoratori e pensionati, al fine di garantire che i sistemi pensionistici capitalizzati siano sicuri e trovino il giusto equilibrio tra efficienza e sicurezza.
Scegliendo la via del Libro verde, la Commissione non ha avanzato proposte specifiche definite, riconoscendo per altro che molti aspetti dei sistemi pensionistici sono di responsabilità degli Stati membri. Nelle aree di competenza dell’Unione europea, però, la Commissione rende noto di essere pronta a legiferare rivedendo l’attuale normativa, se, in considerazione delle risposte ottenute dalla consultazione, ciò si riveli necessario.
Le grandi sfide
• Invecchiamento demografico. La situazione demografica europea sta entrando in una fase critica con l’avvicinarsi all’età della pensione delle generazioni del “baby-boom” e la prevista diminuzione, a partire dal 2012, della popolazione in età lavorativa. Inoltre, negli ultimi cinquanta anni nell’Unione europea la speranza di vita è cresciuta di circa cinque anni, mentre le ultime proiezioni demografiche indicano per il 2060 un ulteriore aumento di circa sette anni. Combinata a bassi tassi di fertilità, questa tendenza si tradurrà in un indice di dipendenza degli anziani che raddoppierà: per ogni persona di oltre 65 anni ci sono oggi quattro persone in età attiva, ma saranno soltanto due nel 2060.
Nei mercati del lavoro, poi, da tempo si assiste all’ingresso in età più avanzata nella vita attiva a tempo pieno, fatto dovuto alla necessità di prolungare la formazione, mentre le donne escono ancora dal mercato del lavoro assai prima di aver raggiunto i 65 anni. Le tendenze in atto creano così una situazione insostenibile.
Le conseguenze dell’evoluzione demografica, aggravate dalla crisi, tenderanno a deprimere la crescita economica e ad aumentare la pressione sulle finanze pubbliche: si prevede che la spesa pubblica legata all’invecchiamento aumenterà ancora complessivamente di quasi cinque punti di percentuale del Pil entro il 2060, aumento ascrivibile per metà alla spesa pensionistica.
Già nel 2001 a Stoccolma il Consiglio europeo, per far fronte agli effetti dell’invecchiamento demografico sui bilanci pubblici, aveva definito una strategia che si articolava in tre linee d’azione: ridurre rapidamente il debito; accrescere i tassi d’occupazione e la produttività; riformare i sistemi pensionistici, sanitari e di assistenza di lunga durata.
• Evoluzione dei sistemi pensionistici. Le principali tendenze degli ultimi anni sono state le seguenti:
– l’incentivazione dell’allungamento della durata della vita attiva, premiando e penalizzando chi posticipa o anticipa il pensionamento e rapportando le pensioni alla media delle retribuzioni percepite durante l’intera vita lavorativa anziché alle retribuzioni degli anni migliori; eliminando o limitando le possibilità di pensionamento precoce; attuando politiche miranti a indurre i lavoratori anziani a continuare a lavorare e a favorire la parità uomo-donna sul mercato del lavoro;
– il passaggio da sistemi basati essenzialmente su un unico meccanismo di finanziamento a sistemi più articolati;
– l’adozione di interventi diretti a rendere le prestazioni più adeguate, agevolando l’accesso alle pensioni per le categorie vulnerabili e aumentando l’aiuto finanziario ai pensionati più poveri;
– per quanto riguarda le disparità tra uomini e donne, si può constatare che i contratti atipici riguardano prevalentemente le donne, che guadagnano meno degli uomini e interrompono la carriera più spesso degli uomini per assumere responsabilità familiari. Di conseguenza, le loro pensioni sono tendenzialmente più basse e il rischio di povertà più elevato tra le donne anziane, anche perché vivono più a lungo.
Le riforme hanno già permesso di aumentare in alcuni casi l’età effettiva di pensionamento e aperto nuove possibilità di garantire prestazioni adeguate in condizioni sostenibili.
• Effetti della crisi finanziaria ed economica. La crisi ha avuto varie conseguenze, tra queste:
– ha reso più urgente la necessità di garantire pensioni adeguate;
– ha reso più urgente la necessità di adottare riforme che migliorino la sostenibilità delle finanze pubbliche;
– ha messo in evidenza la necessità di aumentare l’età effettiva di pensionamento;
– ha reso necessaria una revisione della regolamentazione dei sistemi pensionistici a capitalizzazione che ne assicuri l’efficienza e la sicurezza anche in caso di grosse crisi finanziarie, pur mantenendo proporzionata tale regolamentazione, e non spinga i datori di lavoro all’insolvenza o ad abbandonare questi sistemi;
– ha reso necessaria una regolamentazione dei mercati finanziari efficace ed intelligente, data l’importanza che vanno assumendo i fondi pensione.
Modernizzare la politica delle pensioni: le priorità
• Adeguatezza e sostenibilità. Costituiscono le due facce di una stessa medaglia. I sistemi pensionistici devono assicurare un reddito di pensione adeguato e presuppongono una solidarietà tra le generazioni e all’interno di una stessa generazione. Finora, le riforme dei sistemi pensionistici hanno puntato prevalentemente a migliorare la sostenibilità. Sono necessari ulteriori passi avanti nella modernizzazione dei sistemi pensionistici. È importante dare sufficiente spazio ai diritti complementari, ad esempio dando la possibilità ai cittadini di lavorare più a lungo e favorendo l’accesso a regimi di pensione complementare.
Se non saranno prese misure incisive per accrescere la sostenibilità, l’onere dell’adeguamento ricadrà sui futuri lavoratori o sui futuri pensionati. Il Patto di stabilità e crescita costituisce il quadro per il monitoraggio delle finanze pubbliche, sistemi pensionistici compresi. Sono quindi particolarmente importanti le riforme che rafforzano il potenziale di crescita economica dell’Ue, ad esempio stimolando l’offerta di lavoro.
• Equilibrio tra durata della vita professionale e durata della pensione. Le persone che lavorano ancora all’età di 60 anni sono meno del 50%, mentre gli Stati membri avevano preso l’impegno (Consiglio europeo di Barcellona) di alzare di cinque anni l’età del pensionamento. Questa situazione è anche in contraddizione con l’obiettivo di un tasso d’occupazione del 75% fissato dalla strategia “Europa 2020” e ha un effetto negativo sul potenziale di crescita.
Evitare che la durata della pensione continui ad aumentare rispetto alla durata della vita attiva sarebbe un modo per contribuire all’adeguatezza e alla sostenibilità: questo significa alzare l’età alla quale si smette di lavorare e si percepisce una pensione. Le riforme dei sistemi pensionistici devono però essere integrate da misure sostanziali che consentano ai lavoratori di mantenere la loro occupabilità durante tutta la vita attiva, offrendo loro possibilità adeguate di riqualificazione (nuove tecnologie e i nuovi servizi che permettono forme flessibili di lavoro grazie al telelavoro e al perfezionamento delle competenze).
Il Fondo sociale europeo finanzia interventi destinati a migliorare l’occupabilità e il tasso d’occupazione delle donne e degli uomini di tutte le età. La Commissione prepara attualmente l’Anno europeo dell’invecchiamento attivo (2012), che avrà l’obiettivo di incitare gli Stati membri, le parti sociali e gli altri attori a creare migliori occasioni e condizioni di partecipazione dei lavoratori anziani al mercato del lavoro.
• Eliminare gli ostacoli alla mobilità nell’Unione europea.Le politiche e le regolamentazioni devono facilitare la libera circolazione dei fattori diproduzione, in particolare della manodopera e del capitale, in modo da utilizzareefficacemente le risorse e creare condizioni favorevoli alla massimizzazione dei redditi.
Una maggiore flessibilità nella mobilità del lavoro favorisce la capacità di adattamentodell’economia e rafforza il modello sociale europeo. Le possibilità offerte dal mercato unico, se opportunamente sfruttate, possono arrecare benefici significativi a tutti i cittadini.
Cosa fare per pensioni più sicure e trasparenti
• Colmare le lacune della regolamentazione europea. A tale proposito i problemi da affrontare sono vari:
– sistemi pensionistici simili sono oggetto di normative europee diverse, il che pone problemi di coerenza;
– i confini tra regimi previdenziali e regimi privati, tra regimi professionali e regimi individuali e tra regimi facoltativi e regimi obbligatori non sono netti;
– non è sempre chiaro ciò che differenzia il risparmio in generale dalle pensioni.
• Migliorare il regime di solvibilità dei fondi pensione. I requisiti prudenziali minimi fissati nella direttiva sugli enti pensionistici aziendali o professionali includono norme di solvibilità per i regimi a prestazioni definite. Tali norme sono attualmente identiche a quelle che si applicano alle imprese di assicurazione sulla vita. Con l’entrata in vigore nel 2012 della direttiva solvibilità II, le imprese di assicurazione potranno fruire di un regime di solvibilità a tre pilastri basato sul rischio e si tratta di stabilire se il nuovo regime dovrà applicarsi anche agli enti pensionistici aziendali o professionali.
• Diminuire il rischio di insolvenza del datore di lavoro. La direttiva sull’insolvenza prevede la tutela dei diritti pensionistici dei lavoratori subordinati maturati nel quadro di un regime complementare di previdenza professionale in caso di insolvenza del datore di lavoro. Lo Stato membro non ha però l’obbligo di finanziare i diritti né devono essere fornite garanzie integrali, il che lascia un notevole margine di discrezionalità quanto al livello e alle modalità della protezione.
La Commissione ha presentato un documento di lavoro dei suoi servizi sull’attuazione della disposizione relativa alle pensioni professionali complementari contenuta nella direttiva sull’insolvenza. Sulla base di questo documento, la Commissione ha lanciato nel 2009 uno studio sui regimi a prestazioni definite e sui regimi fondati su riserve di bilancio, e sta attualmente raccogliendo informazioni sulla protezione dei contributi non versati ai regimi a contribuzione definita in caso di insolvenza del datore di lavoro.
• Facilitare le decisioni prese con cognizione di causa. La tendenza al ricorso crescente a regimi a contribuzione definita accentua la necessità di una comunicazione chiara e trasparente. Se le scelte e le responsabilità spettano alle singole persone, è necessario che queste siano in grado di comprendere le informazioni in modo da potere fare scelte con cognizione di causa, specie tenendo conto della complessità crescente delle pensioni.
• Migliorare le statistiche europee sulle pensioni. I dati relativi ai sistemi pensionistici provenienti dalle diverse fonti nazionali ed europee potrebbero essere razionalizzati in modo da accrescerne la comparabilità e permettere riduzioni sostanziali dei costi.
• Migliorare la gestione della politica delle pensioni a livello di Ue. L’Europa deve contribuire a dare una risposta alle preoccupazioni dei cittadini per le future pensioni e a definire una strategia che garantisca pensioni adeguate, sostenibili e sicure, anche utilizzando meglio gli strumenti offerti dall’Ue. Affinché l’Unione europea possa sostenere adeguatamente gli sforzi di riforma nazionali, il quadro di coordinamento deve basarsi su un approccio integrato che rifletta la complessità crescente dei sistemi pensionistici. Data la sempre maggiore integrazione economica e finanziaria, il quadro normativo europeo e il coordinamento delle politiche europee e nazionali assumono un’importanza crescente.
La politica delle pensioni è una preoccupazione comune delle autorità pubbliche, delle parti sociali, dell’industria e della società civile ai livelli nazionale ed europeo. Una piattaforma comune che consenta di monitorare tutti gli aspetti della politica e della regolamentazione delle pensioni in modo integrato e di riunire tutti le parti interessate potrebbe contribuire al raggiungimento e al mantenimento di pensioni adeguate, sostenibili e sicure.
(Parte del testo è tratta da una sintesi del Libro verde curata dal gruppo di lavoro dell’eurodeputata italiana Patrizia Toia)
INFORMAZIONI:
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=it&catId=860
INIZIATIVE PER LA SOLIDARIETÀ TRA GENERAZIONI NELL’UE
Il progressivo invecchiamento della popolazione dell’Ue può costituire «un pesante fardello per le nuove generazioni» sostiene una risoluzione del Parlamento europeo adottata nel novembre scorso e che propone alcune iniziative al fine di migliorare la solidarietà tra generazioni.
Gli eurodeputati ritengono necessario soprattutto aumentare il livello di occupazione di giovani e meno giovani nell’Ue, al fine di alleviare l’onere finanziario dei sistemi previdenziali e dei fondi pensione: di fronte all’elevato livello di disoccupazione «l’accesso al lavoro dovrebbe essere al centro del processo decisionale intergenerazionale tra giovani e anziani» dichiara la risoluzione.
Secondo le stime della Commissione europea, sottolinea l’Europarlamento, i cambiamenti demografici in corso «potrebbero modificare in profondità la struttura della popolazione e la piramide delle età»: il numero dei giovani di età compresa fra 0 e 14 anni passerebbe da 100 milioni (indice 1975) a 66 milioni nel 2050; la popolazione in età lavorativa raggiungerebbe i 331 milioni verso il 2010 per poi diminuire costantemente (circa 268 milioni nel 2050), a fronte di un aumento della speranza di vita di 6 anni per gli uomini e di 5 anni per le donne nel periodo 2004-2050, il numero degli anziani di oltre 80 anni passerebbe dal 4,1% nel 2005 all’11,4% nel 2050; la proporzione di persone con più di 60 anni nell’Ue conoscerà un aumento senza precedenti, il cui picco massimo sarà registrato tra il 2015 e il 2035 allorché 2 milioni di persone verranno ogni anno a ingrossare questo gruppo di popolazione.
A fronte di tali stime, il Parlamento europeo ritiene che «giustizia e solidarietà fra le generazioni siano sinonimi» e definisce la giustizia intergenerazionale come «la ripartizione equilibrata, ragionevole e consapevole delle necessità e degli oneri fra le generazioni, e la solidarietà, in generale, come uno dei valori fondamentali della cooperazione europea».
Per questo avanza alcune proposte di iniziative. La prima, denominata “Garanzia europea per la gioventù”, dovrebbe permettere di offrire ai giovani, dopo un periodo di disoccupazione di non oltre quattro mesi, un posto di lavoro, di apprendistato, di formazione supplementare o una combinazione di lavoro e formazione. La seconda propone invece a Commissione e Stati membri un “Patto europeo 50plus”, al fine di assicurare la piena occupazione fra la popolazione di oltre 50 anni di età e un tasso di occupazione minimo del 55%, sopprimere gli incentivi finanziari al pensionamento anticipato, lottare contro la discriminazione basata sull’età e sviluppare incentivi ai lavoratori oltre i 60 anni perché restino sul mercato del lavoro. Un’altra iniziativa, denominata “AGE-Management”, chiede agli Stati membri di incoraggiare le imprese a introdurre strategie di gestione dell’età che potenzino la loro competitività sfruttando l’esperienza e le specifiche qualità dei lavoratori anziani, mentre suggerisce alle parti sociali, ai datori di lavoro e agli Stati membri di garantire ai lavoratori ultracinquantenni la possibilità di beneficiare di promozioni professionali fino al termine della loro vita attiva. L’iniziativa “Tandem delle generazioni” chiede poi iniziative concrete per promuovere «squadre intergenerazionali nel processo lavorativo» e suggerisce di appoggiare questo tipo di imprese e di premiare i progetti migliori, «dimostrando così che l’interazione tra le generazioni accresce la competitività e permette una crescita più armoniosa». Altre iniziative proposte riguardano “Una pensione dignitosa” e il diritto a “Invecchiare attivamente”, per promuovere la dignità, la salute e la qualità della vita degli anziani e la loro autonomia, nonché permettere loro la parità di accesso all’assistenza sanitaria indipendentemente dal reddito.
L’Europarlamento chiede infine alla Commissione di presentare una proposta per il 2012 come “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della Solidarietà fra le generazioni”, per sottolineare il contributo che gli anziani apportano alla società.
INFORMAZIONI: http://www.europarl.europa.eu
Sindacati europei: per riformare le pensioni serve una politica per l’occupazione
«Accogliendo con favore il dibattito europeo sulle pensioni avviato dalla Commissione europea con la pubblicazione del Libro verde, i sindacati europei intendono essere pienamente coinvolti per difendere gli interessi dei lavoratori e dei pensionati che rappresentano». È quanto ha stabilito il Comitato esecutivo della Confederazione europea dei sindacati (Ces), che nei giorni 13-14 ottobre 2010 ha adottato una risoluzione sui sistemi pensionistici (che riportiamo di seguito) rispondendo così alla consultazione lanciata dall’esecutivo dell’Ue.
Le sfide comuni
I 27 Stati membri dell’Ue si trovano ad affrontare problemi simili, anche se con sfumature a volte diverse; tra queste:
– l’invecchiamento della popolazione, che pur positivo per il prolungamento della durata di vita comporta tuttavia conseguenze per il finanziamento delle pensioni nel lungo termine e/o lo sviluppo di servizi e strutture di assistenza per le persone anziane o molto anziane, nonché cambiamenti nelle strutture familiari che implicano variazioni su calcolo e attribuzione dei diritti alla pensione;
– gli sviluppi del mercato del lavoro, caratterizzato da molte persone che vanno in pensione presto, cioè prima dell’età pensionabile legale, ma anche da giovani che entrano nel mondo del lavoro sempre più tardi, oltre a una maggiore precarietà provocata da una maggiore pressione sui salari (aumento significativo del numero di lavoratori poveri);
– la pressione esercitata sui sistemi pensionistici per fare più spazio ai sistemi privati, che dipendono essenzialmente dai mercati finanziari, a scapito dei sistemi pubblici basati sulla solidarietà inter e intra-generazionale;
– infine, naturalmente, la crisi economica e finanziaria.
Nel suo Libro verde, la Commissione pretende di presentare il dibattito sul futuro dei sistemi pensionistici come puramente “tecnico”, mentre le questioni sollevate e le risposte attese sono eminentemente “politiche”. A tale riguardo la Ces ribadisce che, tenuto conto dei Trattati attuali, l’Unione europea non ha competenza a intervenire nell’organizzazione, nella struttura e nel finanziamento dei sistemi pensionistici legali.
Non solo impatto demografico
Per la Commissione, la prima sfida da affrontare per i sistemi pensionistici è l’invecchiamento demografico. Questa è una realtà che deve certamente essere presa in considerazione, ma non deve essere sopravvalutata, come spesso accade, in quanto può essere anticipata (com’è dimostrato dal fatto che gli Stati membri non hanno aspettato il Libro verde per adeguare i loro sistemi pensionistici) e possono essere messe al servizio soluzioni concordate.
Vale la pena notare soprattutto che la Commissione non opera alcuna distinzione chiara tra il “tasso di dipendenza demografica” e il “tasso di dipendenza economica”. Essa affronta in realtà solo la prima ignorando il resto, ma si tratta di stime che, basandosi su proiezioni per il lunghissimo termine (50 anni), non sono affidabili perché le cose possono cambiare notevolmente su questo fronte.
Non è determinante solo il rapporto “economico”, cioè il numero di persone che stanno lavorando e che forniscono il finanziamento del sistema pensionistico, ma anche l’aumento della produttività e del Pil generato, che devono avere ricadute positive sulla qualità del lavoro e dei salari. Ciò significa che di fronte a questa sfida è fondamentale concentrarsi sulla lotta per “posti di lavoro più numerosi e migliori” e più in generale sull’aumento del tasso di occupazione (che è solo al 66% negli Stati membri dell’Ue).
In risposta la Commissione propone di innalzare l’età legale della pensione e, pertanto, mantenere gli anziani al lavoro più a lungo. Tale opzione solleva però diversi tipi di domande. Per esempio, qual è l’importanza o il significato di cercare di trattenere i lavoratori anziani più a lungo al lavoro quando, allo stesso tempo, gli stessi lavoratori non fruiscono della possibilità di continuare a lavorare fino all’età legale di pensionamento perché le aziende li usano come variabile per adattare la loro forza lavoro? Come la stessa Commissione riconosce, «meno del 50% delle persone sono ancora in attività all’età di 60 anni», quindi è necessaria una politica del lavoro per tutte le età.
Voler aumentare l’età legale della pensione nel contesto attuale equivale a rinviare il problema anziché risolverlo, cosa che va dal problema del finanziamento delle pensioni a quello della disoccupazione e del suo finanziamento. Non basta dunque stabilire che «le persone devono lavorare più a lungo», ci deve essere per loro un lavoro da svolgere.
In primo luogo va individuata la responsabilità dei datori di lavoro, e in secondo luogo, la responsabilità degli Stati membri, in particolare per lo sviluppo di politiche di pianificazione locali e nazionali che questi non riescono a realizzare. Ciò che colpisce in questo tipo di discussione è la tendenza a citare la responsabilità personale e persino a fare sentire in colpa le persone, quando le cause e le soluzioni in realtà sono altrove e sono di fatto strutturali.
Aspettativa di vita… e di lavoro
Il proposito di mantenere i lavoratori più anziani, senza distinzione, più a lungo al lavoro ignora il fatto che alcuni di loro hanno iniziato a lavorare ad un’età molto giovane e pertanto hanno contribuito ampiamente alla solidarietà di finanziamento della protezione sociale e dei sistemi pensionistici in particolare.
Si affaccia allo stesso modo un’altra realtà, e cioè che a seconda del tipo e della natura onerosa del lavoro svolto durante la vita lavorativa non tutti i lavoratori hanno la stessa speranza di vita quando raggiungono l’età pensionabile.
Questa aspettativa di vita (che non tiene conto di un altro elemento, e cioè l’aspettativa di vita in “buona salute” al momento del pensionamento) varia a seconda delle categorie socio-professionali o del tipo di lavoro svolto con differenze anche di sette anni in media tra i casi più estremi, vale a dire tra le occupazioni più o meno onerose. La Ces vede pertanto la necessità di attuare misure differenziate per aver diritto alla pensione che tengano conto di questa realtà.
Volendo prolungare il tempo durante il quale i lavoratori mantengono il lavoro si presuppone che il lavoro esista e che i lavoratori siano adatti per farlo. Ciò implica: sviluppo di strategie per l’occupazione e quindi di investimenti effettuati dalle aziende; investimenti in formazione continua per i lavoratori in modo che possano adeguarsi ai cambiamenti del lavoro o riqualificarsi; attuazione di strategie attive (formazione, reddito garantito ecc.) per aiutare coloro che l’hanno perso a tornare al lavoro. Questo richiede lo sviluppo di una politica europea per l’occupazione allo stesso modo audace e concertata.
Vista la drammatica situazione nel mondo del lavoro per i giovani, inoltre, non basta concentrandosi sull’invecchiamento attivo come fa la Commissione. Contrariamente a quanto sostiene l’esecutivo dell’Ue, i giovani entrano nel mondo del lavoro in ritardo non solo perché estendono i loro studi ma soprattutto perché le imprese non li stanno assumendo e, quando lo fanno, esse offrono posizioni senza la sicurezza del lavoro: le offerte più frequenti riguardano programmi di formazione, contratti a tempo determinato, lavoro temporaneo o part-time.
Una risposta pertinente non può quindi essere ridotta alla semplice proposta di aumentare l’età pensionistica, opzione che, se fosse generalizzata, oggi sarebbe prematura. L’età “effettiva” del ritiro dal mercato del lavoro deve coincidere con l’età “legale” delle pensioni. La Ces respinge fermamente ogni raccomandazione volta ad introdurre un meccanismo automatico per aumentare l’età legale della pensione o qualsiasi altra soluzione uniforme che si applicherà a tutti gli Stati membri.
Le riduzioni delle pensioni non sono inevitabili
La Commissione sembra sostenere che le pensioni pubbliche dovranno inevitabilmente essere ridotte in futuro. Per la Ces, tale riduzione non è inevitabile a condizione che sia data priorità a livello europeo e negli Stati membri a quattro direzioni: lo sviluppo dell’occupazione, della qualità del lavoro e dei salari; lo sviluppo dei servizi sociali di qualità; il carattere permanente dei mezzi per finanziare i sistemi di protezione sociale; la riconsiderazione delle priorità date in alcuni Stati membri, sotto l’impulso della Commissione, allo sviluppo di sistemi pensionistici privati.
• Secondo la Ces, la qualità del lavoro e dei salari è la risposta più importante per garantire «sistemi pensionistici europei adeguati, sostenibili e sicuri». Anche prima della crisi, quando la Commissione vantava l’aumento del numero di posti di lavoro nell’Ue, andava sottolineato come si trattasse di lavori precari, posti di lavoro con contratti a tempo determinato, lavori part time “non scelti”, lavoro interinale, lavori mal pagati o sistemi di formazione non pagata. Tale precarietà ha un impatto particolarmente pronunciato sui giovani e le donne, con conseguenze nefaste sulla quantità delle loro pensioni future.
Questa tendenza è stata poi aggravata dalla crisi, che ha causato gravi perdite di lavoro e l’innalzamento dei tassi di disoccupazione, come riconosciuto dalla stessa Commissione: «La crisi avrà anche un serio impatto sulle pensioni future dei lavoratori, molti dei quali hanno perso il lavoro e sono stati disoccupati per un certo periodo e altri potrebbero aver dovuto accettare redditi inferiori o riduzione dell’orario di lavoro». Da ciò deriva la mobilitazione della Ces per lavori di qualità con una retribuzione dignitosa, al fine di garantire i diritti pensionistici dei futuri ma anche degli attuali pensionati.
Le attuali modalità di finanziamento dei regimi pensionistici pubblici si basano essenzialmente sui salari e sui redditi da lavoro. Il lavoro precario o i bassi salari equivalgono quindi a un indebolimento della protezione sociale – e in particolare delle pensioni – e incidono sui diritti dei futuri pensionati: un lavoratore povero diventerà inevitabilmente un pensionato povero.
La Ces ritiene dunque che gli Stati membri e le parti sociali debbano adottare le misure necessarie per validare e garantire i diritti durante questi periodi di mancanza d’occupazione o di disoccupazione, compreso il lavoro a tempo ridotto. Ciò significa «assicurare e garantire i periodi di transizione» così come «adottare misure per coprire i periodi dedicati alla cura della famiglia e/o dei figli».
• Investimenti in servizi sociali di qualità sono necessari anche in vista dell’invecchiamento della popolazione. La Commissione osserva come «le cure formali stiano sempre più sostituendo quelle informali» per gli anziani non autosufficienti, ma lo fa per deplorare «un’ulteriore pressione sulla spesa per l’assistenza». L’approccio della Ces è invece completamente diverso. Le cure “formali”, sotto forma di servizi di assistenza anche per la cura dei figli, costituiscono secondo la Ces fonte di occupazione qualificata, contribuendo quindi ai finanziamenti sociali attraverso i contributi generati, nonché allo sviluppo dell’economia allo stesso modo degli altri tipi di occupazione. Inoltre, lo sviluppo di questi servizi permette ai genitori, e in particolare alle donne che sono ancora le più coinvolte nelle cure familiari, di conciliare la vita privata/familiare e professionale e di entrare così nel mercato del lavoro, se lo desiderano, contribuendo al contempo al miglioramento del tasso di occupazione nell’Unione europea.
• Secondo la Ces, poi, investire nella protezione sociale non costituisce una spesa bensì un «investimento produttivo», quindi è necessario preservare il suo finanziamento. Piuttosto che cercare di ridurre la protezione sociale e i propri mezzi di finanziamento, la Ces ritiene che la mobilitazione e gli sforzi debbano mirare a migliorarla e a dotarla dei mezzi necessari per svolgere le sue missioni; compito che spetta alle autorità pubbliche. L’Ue e i suoi Stati membri, tra l’altro, concordano sul fatto che hanno potuto far fronte alla crisi meglio di altre regioni mondiali proprio grazie all’efficienza dei loro sistemi di protezione sociale. Tuttavia stanno ora emergendo comportamenti contraddittori, dal momento che molte misure in corso di attuazione in nome del rigore di bilancio consistono in drastici tagli ai servizi sociali.
La Ces non può quindi accettare l’approccio della Commissione, come precisato nel Libro verde, che consiste nell’attuazione delle riforme del sistema pensionistico rivolte principalmente alla «sostenibilità delle finanze pubbliche», cioè legare la quantità e la qualità delle pensioni all’andamento delle capacità finanziarie degli Stati. Ciò significherebbe «invertire i termini dell’equazione sociale», che secondo la Ces è invece di garantire pensioni dignitose e adeguate cercando di attuare misure sociali in grado di soddisfare questo obiettivo.
Garantire il finanziamento significa anzitutto intervenire sulle pratiche di esenzioni fiscali e/o sociali applicate dagli Stati membri nel tentativo di rimuovere gli ostacoli al lavoro: queste esenzioni sono concesse senza un ritorno tangibile, cioè l’impegno da parte delle aziende di mantenere e/o sviluppare l’occupazione, con il semplice risultato di un maggior gettito per le aziende e una riduzione delle risorse per i sistemi di protezione sociale. Senza voler mettere in discussione le attuali prassi nazionali in materia di esenzioni fiscali, la Ces è contraria ad estendere queste pratiche così come alla promozione di regimi pensionistici privati, perché si tratta di pratiche non solidali, socialmente ingiuste e che penalizzano l’intera comunità.
• La Ces ritiene poi necessario aumentare i regimi pensionistici pubblici basati sulla distribuzione, cioè sulla solidarietà inter e intra-generazionale, riducendo e controllando lo sviluppo dei sistemi pensionistici individuali gestiti da istituzioni finanziarie.
La debolezza dei regimi pensionistici privati (in particolare a contribuzione definita) risiede, secondo la Ces, nella natura stessa di tali regimi in quanto si tratta in primo luogo di sistemi finanziari che dipendono direttamente dagli sviluppi su questi mercati: ogni crisi che si verifica su questo fronte ha conseguenze negative dirette su questi dispositivi e sul reddito dei pensionati. La strategia della Ces ha invece sempre favorito i regimi pensionistici basati sulla solidarietà e non sulla performance dei mercati finanziari, e in particolare quelli basati su accordi collettivi tra le parti sociali. L’implementazione di questi sistemi privati basati sui mercati finanziari comporta poi un altro rischio, osserva la Ces, cioè quello di non essere in grado di mantenere le promesse fatte e di costringere così i beneficiari delusi a rivolgersi alle autorità pubbliche.
Un modo per ridurre questi rischi sarebbe quello di introdurre regole di solvibilità, norme cioè adatte alla copertura di tali rischi: la Ces si oppone tuttavia ad avere regole di solvibilità che si applicano alle imprese di assicurazione applicate allo stesso modo alle pensioni private, in quanto comporterebbero vincoli di finanziamento per coprire il rischio per un periodo molto lungo e un aumento consistente dei contributi, cosa che sconsiglierebbe l’affiliazione a questi regimi. Sempre nel quadro della riduzione del rischio, la Ces chiede un ruolo decisivo per i rappresentanti dei lavoratori e dei pensionati in seno agli organi di vigilanza, nonché negli organismi incaricati di definire le politiche di investimento e le strategie per i regimi pensionistici privati, in modo da promuovere gli investimenti socialmente responsabili nell’interesse dei contribuenti e dei beneficiari.
Sistemi pensionistici durevoli e sostenibili
La Ces condivide le proposte della Commissione in merito a: migliorare l’informazione per gli utenti; rafforzare le norme relative alla trasparenza dei regimi pensionistici privati, le loro strategie di investimento e di solvibilità; rimuovere gli ostacoli alla mobilità delle pensioni complementari. Sarebbe inoltre favorevole a una nuova iniziativa riguardante la trasferibilità dei diritti pensionistici, alla sola condizione che essa non abbia effetti negativi sui sistemi nazionali.
La mobilitazione per «sistemi adeguati, sostenibili e sicuri» non si riduce però all’attuazione di misure di “adeguamento tecnico”, tanto più in quanto le misure proposte si rivelano non essere neutrali e tendono a confermare/rafforzare gli orientamenti politici di fondo già in atto in alcuni Paesi.
L’esperienza del passato ha sempre dimostrato che le riforme di successo in questo campo esigono il rispetto di alcune regole fondamentali:
– devono essere basate su osservazioni e diagnosi condivise, cosa che comporta lo scambio, il dialogo e la consultazione;
– devono coinvolgere tutte le parti interessate, non dunque definite esclusivamente da politici ma devono coinvolgere in particolare i sindacati;
– devono essere eque e giuste e riguardare tutti, non solo una categoria di persone;
– devono aver luogo in un periodo di tempo definito, se sono “socialmente accettabili”;
– devono essere valutate periodicamente e, anche in questa fase, ci deve essere accordo sul fatto che siano pertinenti o utili o se debbano essere mantenute;
– devono tener conto della diversità degli impieghi e delle carriere professionali.
Una vera e propria mobilitazione in favore della qualità e della sostenibilità dei regimi pensionistici, sostiene la Ces, deve prima di tutto essere perseguita a monte, cioè affrontando la qualità del lavoro e della retribuzione che, in particolare nei sistemi di assicurazione sociale, ha un impatto diretto sull’importo della pensione futura. La qualità di lavoro e retribuzione a sua volta garantisce il finanziamento e la sostenibilità per tutti i sistemi, siano essi sistemi di assicurazione o universali. Nessuna riforma delle pensioni può quindi essere esente da una politica dell’occupazione attiva e audace, tanto più in un contesto di aumento della disoccupazione tra i giovani e della precarietà.
Il coinvolgimento dei sindacati, che rappresentano gli interessi di contribuenti e pensionati, deve essere permanente ed efficace a tutti i livelli decisionali e di controllo, aggiunge la Ces, secondo cui le organizzazioni sindacali devono inoltre essere consultate e coinvolte nella realizzazione delle riforme previste e/o intraprese e nella loro valutazione.
Secondo la Ces, la discussione sul tipo di sistemi pensionistici da attuare o da incoraggiare/sviluppare nell’Unione europea è strettamente collegata alla discussione sui valori e il tipo di società da promuovere in Europa: «I sistemi pensionistici sono intesi per sostenere la costruzione di un’Unione europea basata sul mercato e la libera circolazione dei capitali? Oppure vogliamo costruire e promuovere un’Europa sociale, fondata sui valori della solidarietà e della responsabilità collettiva in grado di garantire un reddito adeguato per tutti in età pensionabile? Questa è la scelta della Ces, che è di massima pertinenza nell’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale».
INFORMAZIONI: http://www.etuc.org/a/7815