A Cancún intesa di massima ma rinvio degli impegni
La XVI Conferenza Onu sul clima, svoltasi a Cancún (Messico) dal 29 novembre al 10 dicembre scorsi, ha rilanciato il processo verso un accordo globale sul clima, risultato non scontato all’inizio del Vertice, ma non ha definito e chiarito né la forma giuridica né un calendario per giungere all’accordo vero e proprio il prossimo anno a Durban.
A due anni dalla scadenza del protocollo di Kyoto (2012), si tratta per ora solo di un disegno di progetto concreto per la salvaguardia del clima: il testo dell’accordo è stato approvato dai delegati di 190 Paesi con il dissenso della sola Bolivia (che lo ha definito troppo debole) e costituisce un indubbio passo avanti rispetto al fallimento registrato nel dicembre 2009 a Copenaghen, tuttavia ha tracciato solo la strada per un’intesa a cui dovrà essere data forma definitiva il prossimo anno.
Due i principali elementi dell’intesa: il taglio delle emissioni del 25-40% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, per evitare un aumento di temperatura superiore ai 2 gradi, e un pacchetto di fondi da 10 miliardi l’anno, che arriveranno a 100 miliardi l’anno nel 2020, per il trasferimento delle tecnologie pulite e il mantenimento delle foreste tropicali. Evitando riferimenti a target immediati sulla riduzione delle emissioni, il meccanismo del piano di protezione ha così permesso a tutti i Paesi partecipanti la possibilità di aderire, per ora.
L’intenso lavoro diplomatico svolto nelle due settimane della Conferenza di Cancún è così riuscito a tenere insieme l’obiettivo generale (limitare l’innalzamento della temperatura) e gli interessi dei vari Paesi, cosa resa possibile solo dal rinvio della definizione degli impegni vincolanti di ciascun Paese sul taglio delle emissioni. Va ricordato che l’accordo sul Protocollo di Kyoto del 1997 comprendeva un gruppo di Paesi che attualmente rappresenta solo il 27% delle emissioni globali a effetto serra: per questo era fondamentale riuscire a coinvolgere in un progetto di nuovo accordo tutti gli altri Paesi che non avevano accettato il Protocollo in scadenza nel 2012, tra i quali gli Usa, la Cina e i cosiddetti Paesi emergenti.
Ue soddisfatta
«Il pacchetto equilibrato e sostanziale delle decisioni adottate a Cancún rappresenta un importante passo avanti sulla strada della costruzione di un quadro completo e legalmente vincolante per l’azione sul clima per il periodo successivo al 2012» ha dichiarato Connie Hedegaard, commissaria europea per l’Azione per il clima, aggiungendo però che «le due settimane di Cancún hanno dimostrato ancora una volta quanto lento e difficile sia il processo: ognuno deve essere consapevole che abbiamo ancora un viaggio lungo e difficile davanti a noi per raggiungere l’obiettivo di un quadro giuridicamente vincolante sul clima globale».
«L’Unione europea ha lavorato instancabilmente per essere un costruttore di ponti a Cancún, ma anche per avanzare le sue posizioni. Ha riferito in modo trasparente sui progressi realizzati attraverso i 7,2 miliardi di euro di finanziamenti rapidi impegnati per il periodo 2010-2012, garantendo che continuerà a farlo su base annuale» ha osservato il ministro per l’Ambiente della presidenza belga di turno, Joke Schauvliege, aggiungendo: «L’accordo di Cancún, che si basa sulle decisioni prese un anno fa a Copenaghen, stabilisce i processi per compiere ulteriori progressi in futuro. Esso rappresenta un compromesso equilibrato tra interessi diversi all’interno del sistema delle Nazioni Unite».
Legambiente: qualche elemento incoraggiante
In una nota sulla Conferenza di Cancún i responsabili di Legambiente, oltre a sottolineare l’ennesimo rinvio per l’assunzione di impegni concreti, hanno commentato: «Tra gli elementi incoraggianti e positivi c’è sicuramente la costituzione di un Fondo verde per il clima a sostegno dei Paesi in via di sviluppo per gli interventi di riduzione delle emissioni e adattamento ai mutamenti climatici in corso. A tal fine si riconosce la necessità di risarcire i danni e le perdite, causate dai cambiamenti climatici nei Paesi poveri e si introduce un registro delle azioni per l’adattamento ai mutamenti climatici con le risorse finanziarie necessarie ad attuarli. L’altro aspetto importante dell’accordo è il riconoscimento che gli attuali impegni di riduzione non sono sufficientemente ambiziosi. Si riconosce, infatti, la necessità di colmare questo gap per stare almeno nella traiettoria dei 2 gradi, ma si richiede anche maggiore trasparenza nel monitorare i progressi e le performance dei singoli Paesi».
Legambiente ha inoltre sottolineato il «ruolo positivo» svolto dall’Unione europea a Cancún: «Una leadership che nei prossimi mesi dovrà tradursi in azioni concrete, a partire dall’aumento al 30% degli impegni di riduzione per il 2020, come già richiesto da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna».
INFORMAZIONI: http://unfccc.int/2860.php
http://ec.europa.eu/climateaction/index_it.htm
I PUNTI PRINCIPALI DELL’ACCORDO DI CANCÚN
• Sono sollecitati «profondi tagli» nelle emissioni di anidride carbonica responsabili dell’effetto serra, per frenare l’aumento delle temperature a non più di 2 gradi sopra i livelli pre-industriali; è inoltre richiesto uno studio su un rafforzamento dell’obiettivo a 1,5 gradi. Ai Paesi ricchi che avevano sottoscritto il Protocollo di Kyoto è chiesto di ridurre le emissioni dal 25% al 40% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.
• È istituito un nuovo organismo internazionale, il Green Climate Fund, per amministrare il denaro destinato dai Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo al fine di contrastare i cambiamenti climatici. Ue, Giappone e Usa si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020, insieme a 30 miliardi di dollari in aiuti urgenti per il periodo 2008-2012. La gestione del Fondo sarà affidata temporaneamente e per i primi tre anni alla Banca mondiale, dopodiché toccherà a un direttorio composto da 24 Paesi membri scelti in modo paritario tra sviluppati e in via di sviluppo, insieme a rappresentanti dei piccoli Stati insulari più a rischio per i cambiamenti climatici.
• Si propone la creazione di un Climate Teechnology Center and Network per aiutare a distribuire il know-how tecnico che aiuti i Paesi in via di sviluppo a contenere le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici.
• È dato ampio sostegno agli sforzi volti a ridurre la deforestazione, chiedendo ai Paesi in via di sviluppo di presentare piani anti-deforestazione e a tutti i Paesi di rispettare i diritti delle popolazioni indigene.