La mobilità in Europa

buone intenzioni ma scarsi risultati per la mobilità nell’Ue

«In un’Europa senza frontiere interne che deve competere in un’economia globale in cui sono in costante evoluzione sia le esigenze di una società che invecchia che il mercato del lavoro, è fondamentale raggiungere un livello di mobilità di gran lunga superiore a quello attuale». È quanto si legge nel Piano d’azione europeo per la mobilità 2007-2010 adottato dall’Ue a fine 2007, cioè un anno dopo lo svolgimento dell’Anno europeo della mobilità dei lavoratori 2006. Il dibattito avviato in quell’anno aveva dimostrato la varietà e l’impatto degli ostacoli che continuano a frapporsi alla mobilità all’interno dell’Ue, ribadendo la necessità di creare un ambiente favorevole alla mobilità in modo che essa diventi una prassi normale della carriera delle persone.
Quando si parla di mobilità all’interno dell’Ue e dei problemi che ancora la riguardano si intende soprattutto quella per lavoro e studio, dato che il semplice viaggio tra gli Stati membri è ormai una realtà assodata che riguarda milioni di cittadini europei. Secondo la normativa europea, infatti, ogni cittadino dell’Ue ha il diritto di entrare in qualsiasi Paese dell’Unione senza dover espletare particolari formalità: basta essere in possesso di un passaporto o di una carta d’identità in corso di validità; il diritto di viaggiare può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica. Per periodi superiori a tre mesi, il cittadino europeo ha il diritto di stabilirsi in un altro Paese dell’Ue se: è un lavoratore dipendente o autonomo nel Paese ospitante; è iscritto presso un istituto d’istruzione pubblico o privato per seguire un corso di studi o di formazione professionale; ha risorse sufficienti per se e i propri familiari e ha un’assicurazione sanitaria completa nel Paese ospitante. In quanto cittadino di uno Stato membro dell’Ue, quindi, si ha il diritto di vivere in qualunque Stato membro come lavoratore dipendente o autonomo, studente, persona in cerca di lavoro e pensionato, ricevendo lo stesso trattamento dei cittadini di quel Paese.

europei favorevoli alla mobilità, in teoria
Alcuni sondaggi Eurobarometro sugli atteggiamenti degli europei nei confronti della mobilità indicano un atteggiamento dei cittadini ampiamente favorevole. Secondo un’indagine del 2006, ad esempio, il 57% degli intervistati ha risposto che la mobilità tra regioni o Paesi è positiva per l’integrazione europea, il 46% ritiene che sia positiva per i mercati del lavoro e per l’individuo e il 40% che sia utile per l’economia. Il 5,5% dei cittadini dei nuovi Stati membri ha poi affermato di prevedere un probabile trasferimento in un altro Stato membro. Le intenzioni di esercitare la mobilità all’interno dell’Ue sono quindi aumentate in varia misura in tutti gli Stati membri.
Le statistiche indicano inoltre nuove tendenze della mobilità. Un numero maggiore di lavoratori giovani e con qualifiche più elevate pratica la “multimobilità” (brevi periodi di mobilità rispondenti ad esigenze specifiche di una carriera professionale), una tendenza che illustra come la mobilità si stia integrando nelle prospettive di carriera e sia connessa all’apprendimento permanente. Sempre secondo Eurobarometro, una netta maggioranza di giovani lavoratori (oltre il 70%) è consapevole del fatto che la loro carriera richiederà qualche forma di mobilità. I cittadini europei sono quindi sempre più disposti ad essere mobili rispetto al passato e si sta diffondendo un contesto favorevole per poter valorizzare l’esperienza acquisita e intensificare gli sforzi per superare le barriere alla mobilità.

nella pratica restano varie difficoltà
Le varie esperienze acquisite rivelano però chiaramente l’impatto negativo degli ostacoli alla mobilità geografica a livello europeo, nazionale, regionale o locale. Oltre alle barriere giuridiche e amministrative, ad esempio nel campo della sicurezza sociale, la mobilità è scoraggiata da ostacoli pratici in settori quali alloggi, conoscenza di lingue straniere, occupazione di coniugi e partner. Esistono anche altri costi della mobilità per gli individui, ad esempio il non riconoscimento ai fini professionali delle esperienze connesse alla mobilità, in particolare nelle piccole e medie imprese. Tali barriere riguardano questioni che vanno affrontate a vari livelli: locale, regionale, nazionale ed europeo.
La mobilità dei lavoratori nell’Ue rimane così relativamente bassa. Attualmente, solo il 2% circa dei cittadini in età lavorativa originari di uno dei 27 Stati membri dell’Ue vive e lavora in un altro Stato membro. In confronto è quasi il doppio la quota di cittadini di Paesi terzi residenti nell’Ue. Negli ultimi anni si è delineato un graduale aumento della mobilità, che resta però bassa: il numero di lavoratori mobili all’interno dell’Ue-15 è aumentato da circa 470.000 persone nel 2000 a circa 610.000 nel 2005. Inoltre, sebbene non sia spesso incluso nei dati nazionali, è significativo il numero di lavoratori stagionali e transfrontalieri (inclusi i lavori estivi per i giovani). Anche tra i giovani europei andare all’estero rimane ancora l’eccezione piuttosto che la regola ed è maggiormente accessibile per alcuni gruppi (studenti) che per altri (giovani in formazione professionale e apprendisti). Ad esempio, nel 2006 circa 310.000 giovani hanno potuto recarsi all’estero con il sostegno dei programmi europei: un numero che corrisponde solo a circa lo 0,3% dei giovani nella fascia di età di 16-29 anni nell’Ue.
Per superare queste difficoltà alla mobilità l’Ue ha individuato tre aree prioritarie d’intervento: migliorare i sistemi di istruzione e formazione, per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro e preparare le persone alla mobilità mediante l’apprendimento delle lingue straniere; rimuovere le barriere giuridiche e amministrative e promuovere il riconoscimento transfrontaliero delle qualifiche; istituire un unico portale d’informazione sulla mobilità.

il Piano d’azione europeo per la mobilità 2007-2010

Nel dicembre 2007 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “La mobilità, uno strumento per garantire nuovi e migliori posti di lavoro: Piano d’azione europeo per la mobilità del lavoro (2007-2010)”, che si è inserita in una lunga serie di iniziative volte a promuovere la mobilità. In base al processo avviato nel febbraio del 2001 dalla comunicazione della Commissione sui nuovi mercati del lavoro, alle conclusioni del Consiglio europeo di Stoccolma del marzo 2001 e ai lavori della task force ad alto livello sulle competenze e la mobilità, la Commissione aveva già adottato un Piano d’azione per le competenze e la mobilità nel febbraio 2002. In seguito all’esperienza precedente e al nesso tra mobilità dei lavoratori e vari dibattiti politici in corso, quali quelli su flessicurezza, apprendimento permanente, multilinguismo ed evoluzione demografica, il Piano d’azione per la mobilità del lavoro 2007-2010 ha prefissato alcuni obiettivi principali:
• migliorare la legislazione esistente e le prassi amministrative riguardanti la mobilità dei lavoratori;
• garantire il sostegno politico a favore della mobilità da parte delle autorità a tutti i livelli;
• rafforzare Eures quale unico strumento per facilitare la mobilità dei lavoratori e delle loro famiglie;
• sensibilizzare un ampio pubblico alle opportunità e ai vantaggi offerti dalla mobilità.
«La mobilità dei lavoratori è indispensabile per consentire il funzionamento efficace del mercato unico e per offrire migliori posti di lavoro a un numero maggiore di persone, obiettivo chiave della Strategia di Lisbona» scriveva la Commissione, sottolineando che gli allargamenti dell’Ue del 2004 e del 2007 hanno incrementato le opportunità per i lavoratori di trovare un’occupazione e per i datori di lavoro di trovare lavoratori. Gran parte degli Stati membri dell’Ue-15 ha infatti soppresso o diminuito le restrizioni applicate ai cittadini di otto degli Stati membri che hanno aderito all’Ue nel 2004, creando un grande potenziale di forza lavoro per far fronte alle sfide dell’invecchiamento della popolazione e della globalizzazione. Secondo il Piano d’azione della Commissione, «è necessaria una maggiore mobilità del lavoro che consente ai lavoratori di passare da un lavoro all’altro oppure di spostarsi in diverse regioni o Stati membri. Occorre offrire ai lavoratori le qualifiche e le opportunità necessarie per poter cambiare frequentemente lavoro e avanzare nella propria carriera. Questo costituisce l’obiettivo principale dei principi comuni concordati sulla flessicurezza, un concetto che può assistere le persone a gestire più efficacemente la transizione tra occupazioni in tempi di rapidi cambiamenti economici».

legislazione e prassi amministrative
La Commissione europea si impegnava a esaminare la necessità di adattare il regolamento (CE n. 883/2004), il suo regolamento d’attuazione e le relative prassi amministrative in modo da tenere conto dell’evoluzione delle tendenze in materia di mobilità dei lavoratori. Proponeva l’inclusione di una nuova disposizione nel regolamento per formalizzare lo status e la capacità analitica della rete Tress di esperti indipendenti, in modo da rafforzare la consulenza esistente nel settore del coordinamento della sicurezza sociale a livello europeo. Intendeva intensificare lo snellimento delle prassi amministrative e della cooperazione a livello nazionale, in particolare mediante la consultazione e lo scambio di informazioni elettronici e l’avvio della versione elettronica della tessera sanitaria europea. Inoltre si impegnava a dare seguito alla sua proposta del 2005 e alla proposta modificata del 2007 relativa ai requisiti minimi per migliorare la mobilità dei lavoratori, perfezionando l’acquisizione e la salvaguardia di diritti a pensioni complementari.

sostegno politico alla mobilità
La Commissione si proponeva poi di incoraggiare gli Stati membri ad includere la mobilità geografica e da un lavoro all’altro come priorità nelle loro strategie nazionali a favore dell’occupazione e dell’apprendimento permanente. Anche le autorità a livello regionale e locale e altre parti interessate devono essere incoraggiate a rimuovere gli ostacoli pratici alla mobilità che ancora esistono e a promuovere il concetto di “mobilità equa” mediante la lotta al lavoro non dichiarato e al dumping sociale. Altra azione del Piano è di sollecitare gli Stati membri ad apprendere dalle buone prassi mediante programmi di apprendimento reciproco per le azioni di mobilità finanziate dalla politica della coesione Ue, in particolare i programmi resi possibili dal Fondo sociale europeo. La Commissione si impegnava a istituire un inventario dei programmi di sostegno finanziario esistenti ed esaminare la possibilità di sviluppare programmi europei a favore della mobilità. Inoltre proponeva di fornire un sostegno per l’applicazione del Quadro europeo delle qualifiche, di sviluppare Europass e di dare seguito alle iniziative imminenti sul trasferimento dei crediti nell’ambito della formazione professionale (Ecvet).

rafforzare Eures
La terza parte del Piano d’azione 2007-2010 mirava a rafforzare significativamente i servizi forniti da Eures, la rete europea di servizi per l’occupazione, perseguendo tre obiettivi nuovi:
– aumentare la dimensione strategica rafforzando il potenziale analitico per quanto riguarda i flussi della mobilità e i cambiamenti nel mercato del lavoro;
– migliorare il campo di applicazione e la qualità dei servizi assistendo i lavoratori europei mobili e le loro famiglie in tutte le questioni attinenti alla mobilità;
– aumentare la copertura operativa rafforzando le relazioni con altri fornitori di servizi simili, in particolare quelli privati, e in linea con il Piano d’azione sull’immigrazione legale aprire gradualmente le sue attività ai lavoratori da altri parti del mondo, in particolare dai Paesi candidati.
Mediante il suo portale e i servizi dei suoi consulenti, Eures dovrebbe migliorare significativamente la messa a disposizione di informazioni e la sensibilizzazione sul principio della parità di trattamento e sul rispetto delle norme del lavoro all’interno dei mercati del lavoro europei. Anche i suoi servizi devono migliorare per rispondere alle esigenze di categorie specifiche di lavoratori (disoccupati di lunga durata, lavoratori giovani, lavoratori più anziani, donne, ricercatori, lavoratori autonomi, lavoratori stagionali). La rete deve assistere gli individui nella preparazione di un piano completo di carriera, inclusa la reintegrazione nel mercato del lavoro al loro ritorno. Eures aumenterà significativamente la raccolta di informazioni strategiche, in particolare sui flussi della mobilità. Saranno poi rafforzate le sinergie con altre reti e fornitori di informazione e i regimi di cooperazione transfrontaliera esistenti, incluse nuove attività e partnership tra Stati membri. All’occorrenza, Eures estenderà i suoi servizi ai cittadini di Paesi terzi, inclusi quelli che non hanno ancora acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo, fornendo informazioni su regole e procedure per l’ingresso nel mercato del lavoro Ue e sulla domanda di tipi specifici di lavoratori in questi mercati.

promuovere i vantaggi della mobilità
Lo sviluppo di una vera strategia di mobilità per i lavoratori nell’Ue può essere efficace solo se fondata sul sostegno attivo di tutti gli interessati. Occorre informare meglio i cittadini dei loro diritti in materia di libera circolazione e convincerli dei benefici della mobilità per la loro carriera professionale. La quarta parte della comunicazione promuove attività innovative di sensibilizzazione e lo scambio di informazioni e buone prassi.
La Commissione si impegnava a organizzare “Giornate europee del lavoro” annuali per migliorare la conoscenza dei diritti dei lavoratori e dei benefici della mobilità e potenziare lo scambio di informazioni e buone prassi tra tutti gli interessati. Si proponeva poi di avviare la “Partnership europea per la mobilità del lavoro”, un’iniziativa che comprende una rete di interessati impegnati nello sviluppo della mobilità del lavoro nell’Ue. Inoltre, nell’ambito del programma Progress destina un sostegno al finanziamento delle attività pilota, dello scambio di buone prassi, della disseminazione dei risultati dei nuovi sviluppi e dell’emergenza di programmi innovativi.

un mezzo per creare occupazione
«La mobilità nel mercato del lavoro, tanto da un’occupazione all’altra quanto tra Stati membri o regioni è una parte fondamentale degli obiettivi di Lisbona e una componente importante della risposta dell’Europa all’evoluzione demografica e alla globalizzazione» scriveva la Commissione europea, precisando che il Piano 2007-2010 intendeva presentare un approccio più integrato alla mobilità dei lavoratori quale mezzo per creare occupazione e assistere nel contempo i singoli individui nel loro sviluppo personale. «Serve per ricordare che i cittadini dell’Ue hanno il diritto fondamentale di spostarsi liberamente nel Spazio economico europeo (See) per motivi di lavoro e incoraggia gli interessati a garantire che le persone siano a conoscenza di questo diritto e che possano esercitarlo in buone condizioni» precisava l’esecutivo europeo, che si impegnava ad approfondire la sua conoscenza della mobilità anche attraverso una sistematica raccolta di dati.

CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLA MOBILITÀ GIOVANILE

Promuovere la mobilità dei giovani per l’apprendimento è il titolo di un Libro verde pubblicato dalla Commissione europea al fine di aprire un dibattito sul modo migliore per accrescere le opportunità dei giovani in Europa di sviluppare le loro conoscenze e abilità recandosi all’estero. La consultazione pubblica avviata con il Libro verde resterà aperta fino al 15 dicembre 2009 e le risposte saranno fornite mediante un questionario on line e con commenti scritti.
Oltre al programma Erasmus, che nei suoi 22 anni di esistenza ha supportato circa due milioni di studenti nello svolgere parte dei loro studi o collocamenti di lavoro all’estero, il sostegno dell’Ue alla mobilità dei giovani copre una gamma molto ampia di ambiti che vanno dall’istruzione superiore ad aziende, ricerca, istruzione professionale e apprendistati, istruzione di secondo livello, scambi di giovani e volontariato, sfera culturale, giovani imprenditori e società civile. La Commissione europea ha inoltre contribuito a sviluppare diversi strumenti per agevolare l’espatrio dei giovani a fini di studio, compresi Europass e il sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (Ects) per quanto concerne l’istruzione superiore. Nonostante ciò, se si escludono gli studenti la mobilità tra i giovani è ancora molto bassa, ad esempio tra i giovani in formazione professionale e gli apprendisti: nel 2006 circa 310.000 giovani hanno potuto recarsi all’estero con il sostegno dei programmi europei, un numero che corrisponde solo a circa lo 0,3% dei giovani nella fascia di età di 16-29 anni nell’Ue.
Nel tentativo di migliorare la situazione della mobilità giovanile, il Libro verde solleva una serie di quesiti e sollecita risposte su questioni quali: come convincere un maggior numero di giovani a recarsi all’estero per acquistare nuove conoscenze, abilità ed esperienze; quali sono gli ostacoli alla mobilità da superare; in che modo tutte le parti interessate (Commissione, Stati membri, regioni, istituzioni di istruzione e formazione, Ong) possono riunire le loro forze in un nuovo partenariato finalizzato alla mobilità per l’apprendimento. I contributi pervenuti all’esecutivo europeo saranno esaminati e costituiranno la base per una proposta d’azione nel corso del 2010.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/consult/index_it.html

studio e formazione in Europa

Per effettuare studi inferiori a tre mesi in uno Stato membro diverso da quello di origine basta essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi, anche se in alcuni Stati membri occorre comunque segnalare la propria presenza alle autorità locali.
Nel caso di studi di durata superiore a tre mesi devono invece essere soddisfatte alcune condizioni per poter beneficiare del diritto di soggiorno: essere iscritti a un istituto di insegnamento riconosciuto; essere coperti da un’adeguata assicurazione sanitaria; garantire all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con qualsiasi altro mezzo equivalente, che si dispone di risorse sufficienti per non gravare sull’assistenza sociale del Paese ospitante.
Una volta soddisfatte queste condizioni, viene rilasciata una carta di soggiorno in quanto cittadini di uno Stato membro dell’Ue, valida per tutto il periodo della formazione. Se la formazione si estende su vari anni, la carta dovrà essere rinnovata annualmente.

pari trattamento
Qualunque istituto deve accettare uno studente straniero alle stesse condizioni fissate per i cittadini nazionali. Ad esempio, non possono essere imposte spese supplementari di iscrizione per il fatto di non essere originari del Paese ospitante.
Allo stesso modo, se i cittadini di quest’ultimo beneficiano di una borsa di studio per far fronte alle spese di iscrizione e/o scolastiche (assai elevate in alcuni Paesi), tale borsa di studio deve essere attribuita allo studente straniero alle medesime condizioni. La parità di trattamento prevede infatti anche la copertura delle tasse di iscrizione e delle spese scolastiche.
In base a una sentenza della Corte di giustizia europea (sentenza del 15 marzo 2005 nel procedimento Bidar, C-209/03), il Paese ospitante deve estendere la parità di trattamento, anche per quanto riguarda gli aiuti a copertura delle spese di mantenimento, agli studenti cittadini di un altro Stato membro che soggiornino legalmente in tale Paese e vi abbiano svolto una parte importante degli studi secondari stabilendo, di conseguenza, un legame effettivo con la società dello stesso.
Inoltre, poiché le condizioni di accesso agli istituti previste per i cittadini nazionali sono fissate dagli Stati membri, esse possono variare considerevolmente da un Paese all’altro.
La padronanza della lingua può parimenti costituire una condizione per accedere all’insegnamento. In alcuni Stati membri è possibile quindi dover superare un esame destinato a dimostrare le proprie conoscenze linguistiche. Questi elementi dipendono essenzialmente dalla politica nazionale in materia di istruzione condotta dallo Stato in questione.

riconoscimento di diplomi e periodi di studio
Il riconoscimento accademico di un diploma, cioè il fatto che un diploma rilasciato in uno Stato membro è equivalente a quello rilasciato in un altro Stato membro, dovrebbe consentire a un diplomato di continuare la propria formazione (ad esempio post-universitaria) al di là delle frontiere senza essere penalizzato. Il riconoscimento accademico costituisce un aspetto importante della mobilità degli studenti, non esistono tuttavia disposizioni comunitarie che lo disciplinano dal momento che solo gli Stati membri sono responsabili del contenuto e della struttura dei loro sistemi d’istruzione. Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere ai Centri nazionali di informazione sul riconoscimento accademico (Enic-Naric), presenti in ogni Stato membro e che costituiscono una rete in grado di assicurare una stretta collaborazione e uno scambio ottimale di informazioni utili agli studenti che studiano all’estero.
Per quanto riguarda il riconoscimento di un periodo di studio all’estero, per gli studenti Socrates/Erasmus è l’università d’origine a dover convalidare il periodo di studio effettuato in un altro Paese. L’università deve riconoscere che tale periodo è parte integrante del suo programma di studi e sostituisce un periodo comparabile nell’università di origine anche qualora il contenuto del programma risulti diverso. I corsi seguiti e gli esami superati sono così riconosciuti.
Nel quadro del programma Erasmus numerose università utilizzano il sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (Ects): questo sistema ha lo scopo di facilitare il processo di riconoscimento accademico tra gli istituti associati grazie a una maggiore trasparenza dei programmi di studio e all’utilizzo di certificati degli esami.

LINK UTILI:
http://ec.europa.eu/education/index_en.htm
http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/index_en.php
http://ec.europa.eu/education/erasmus/doc1051_en.htm
http://www.enic-naric.net/index.aspx
http://ec.europa.eu/youth/index_en.htm

PLOTEUS: PORTALE SULLE OPPORTUNITÀ DI APPRENDIMENTO

Per aiutare gli studenti, le persone in cerca di lavoro, i lavoratori, i genitori, gli operatori dell’orientamento e gli insegnanti nel reperire le informazioni relative alla mobilità per studio e formazione in Europa è disponibile on line il portale Ploteus, un servizio che fornisce informazioni sulle opportunità formative e di lavoro. Lo scopo di Ploteus è di rendere effettiva la libertà di movimento per i cittadini europei supportandoli con le informazioni necessarie. Nelle varie sezioni del portale sono segnalate: le opportunità di apprendimento e le possibilità di formazione disponibili nell’Ue, con numerosi link ai siti web delle università e degli istituti di istruzione superiore, ai database delle scuole e dei corsi di formazione professionale e di istruzione per gli adulti; indicazioni su programmi di scambio e borse di studio (Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci, Grundtvig, Youth in Action) disponibili nei Paesi europei, informazioni su chi contattare, come richiedere le borse di studio ecc.; informazioni sui sistemi di istruzione e formazione dei Paesi europei; indicazioni su tutto ciò che bisogna sapere quando si decide di trasferirsi in un altro Paese dell’Ue: il costo della vita, le tasse scolastiche, come trovare un alloggio, il contesto legale ed altre informazioni generali.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/ploteus

la mobilità per lavoro nell’Ue

Dal 1992 i cittadini di tutti i Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo possono lavorare in qualsiasi Stato membro. Per quanto concerne i lavoratori dipendenti, questi sono soggetti alle stesse normative e godono degli stessi benefici dei lavoratori dipendenti nazionali, mentre tutti i cittadini dell’Ue possono usufruire dei servizi pubblici di collocamento.
In seguito agli allargamenti dell’Ue del 2004 e 2007, però, è stato introdotto un periodo di transizione della durata massima di sette anni durante il quale il diritto comunitario in materia di libera circolazione dei lavoratori non si applica a tutta l’Ue allargata. Durante questo periodo di transizione i lavoratori di alcuni dei nuovi Stati membri possono incontrare restrizioni nell’accesso ai mercati del lavoro dei vecchi Stati membri (vedi box a  lato).

libera circolazione
Nel 2004 l’Ue ha adottato una direttiva volta ad aggiornare la legislazione in materia di libertà di circolazione e di soggiorno per facilitare la mobilità dei cittadini all’interno dell’Unione europea (direttiva 2004/38/CE). Con la nuova direttiva, le formalità amministrative sono state ridotte e i cittadini dell’Ue non devono più ottenere una carta di soggiorno nello Stato membro in cui risiedono: è sufficiente una semplice registrazione presso le autorità competenti, e anche tale registrazione è richiesta solo se lo Stato membro d’accoglienza lo ritiene necessario.
La direttiva mantiene l’obbligo, per i cittadini dell’Ue che vogliano risiedere in un altro Stato membro, di esercitare un’attività economica o di disporre di risorse sufficienti. Dopo cinque anni di residenza ininterrotta, però, i cittadini dell’Ue e i loro familiari ottengono un diritto di soggiorno permanente e incondizionato che consente loro di godere di maggiori diritti. La direttiva garantisce poi una riduzione sostanziale delle possibilità di espulsione dei cittadini dell’Ue e dei loro familiari che abbiano ottenuto il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro di accoglienza, nonché una tutela più ampia per i cittadini dell’Ue che abbiano stretti legami nello Stato membro di accoglienza e per i minori.

accesso al lavoro
Il cittadino dell’Ue ha diritto ad essere assunto alle stesse condizioni di cui godono i cittadini del Paese in cui cerca lavoro, e non gli può essere chiesto il possesso di requisiti aggiuntivi. Gode anche del diritto allo stesso trattamento preferenziale per quanto riguarda l’accesso all’occupazione, se questo è previsto. Ciò significa che può rispondere a qualunque annuncio di posto vacante di un Paese dell’Ue. Alcuni posti del servizio pubblico possono però essere riservati ai cittadini di un determinato Paese, se il lavoro relativo riguarda la tutela dell’ordine pubblico o gli interessi dello Stato (ad es. forze armate, polizia, sistema giudiziario, amministrazione fiscale, servizio diplomatico). Si può comunque dire che sono aperti a tutti i cittadini dell’Ue tutti i posti del settore privato e la maggior parte dei posti del settore pubblico.

lavoro dipendente
Il cittadino europeo che lavora in un altro Paese dell’Ue deve essere soggetto alle stesse condizioni di lavoro dei cittadini del Paese in cui lavora per quanto riguarda la retribuzione, il licenziamento e la reintegrazione, nonché le misure di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. Stesso discorso vale per il principio delle pari opportunità uomo-donna in materia di accesso al lavoro, retribuzioni, formazione professionale, promozioni, condizioni di lavoro e sicurezza sociale.
Il lavoratore ha inoltre gli stessi diritti di aderire al sindacato di propria scelta e di esercitare i diritti sindacali alle stesse condizioni valide per i lavoratori del Paese d’accoglienza: può quindi eleggere i propri rappresentanti sindacali ed essere eletto, in questo secondo caso ha gli stessi diritti e attribuzioni di cui godono i rappresentanti sindacali che sono cittadini del Paese in cui lavora.
In materia di sicurezza sociale, le norme comunitarie non cercano di armonizzare i sistemi nazionali ma solo di coordinarli, con l’obiettivo di garantire l’affiliazione dei cittadini a un solo sistema previdenziale e di evitare la perdita dei diritti relativi (in particolare per quanto riguarda la pensione) indipendentemente dallo Stato membro in cui lavorano. In linea di massima il lavoratore è assicurato nel Paese in cui lavora e ha diritto, come in certi casi anche i suoi familiari, alle stesse prestazioni di sicurezza sociale di cui godono i cittadini del Paese d’accoglienza. Tali diritti riguardano la malattia e la maternità (assistenza medica e prestazioni finanziarie), la disabilità, la vecchiaia, le pensioni ai superstiti, le indennità per infortunio sul lavoro, le malattie professionali, la morte e la disoccupazione, nonché gli assegni familiari. Vigono anche gli stessi obblighi in quanto al pagamento dei contributi. Le norme comunitarie non si applicano all’assistenza sociale, alle pensioni integrative e ai sistemi di pensionamento anticipato.
Esistono poi norme specifiche per alcune categorie di lavoratori: i lavoratori transfrontalieri, che vivono in un Paese dell’Ue ma lavorate in un altro, se tornano a casa almeno una volta la settimana sono sottoposti a norme speciali in materia di sanità e disoccupazione; i lavoratori distaccati per un certo periodo in un altro Stato membro possono, a certe condizioni e per un periodo di tempo limitato, mantenere la copertura assicurativa nello Stato membro in cui lavorano normalmente.
I familiari del lavoratore hanno il diritto di accompagnarlo o di seguirlo nel Paese d’accoglienza. La famiglia è costituita ufficialmente dal coniuge e dai figli al di sotto dei 21 anni, nonché dai nonni e dai suoceri, se a carico. Se lo desiderano, il coniuge e i figli hanno diritto a lavorare senza restrizioni nel Paese d’accoglienza, il diritto di accedere all’istruzione generale e alla formazione professionale offerta nel Paese.

lavoro autonomo
Il cittadino dell’Ue ha diritto di svolgere un lavoro autonomo in qualunque Paese dell’Ue, sia in modo temporaneo che permanente. Può stabilirsi permanentemente in un altro Paese per svolgervi un’attività industriale o commerciale, o per esercitarvi una professione, in due modi: trasferendovi o stabilendovi il centro principale dei propri interessi personali o professionali; creando una struttura fissa secondaria rispetto al centro principale della sua attività.
In entrambi i casi è soggetto alle stesse norme di gestione dell’azienda valide per i cittadini di quel Paese.
Alcuni Paesi dell’Ue possono richiedere qualifiche speciali per mestieri quali parrucchiere, operaio edile, agente o broker di assicurazioni, commerciante. In questi casi il lavoratore deve soltanto provare di aver esercitato la professione come autonomo per un periodo di tempo specificato dall’Ue (di solito cinque o sei anni). Se la professione non è regolamentata nel Paese in cui si intende lavorare, non occorre alcun riconoscimento delle qualifiche e non può essere impedito, in base alla formazione o alle competenze, di stabilirsi per lavoro in un certo Paese.

Il reddito derivante da un’attività commerciale o industriale, o da una libera professione, è in genere imponibile nel Paese in cui si ha la residenza fiscale. Se però si ritiene che le attività comportino uno stabilimento permanente (per le attività industriali o commerciali) o una base fissa (per le libere professioni) in un altro Stato membro, il reddito connesso con tale stabilimento permanente o base fissa è imponibile in quello Stato membro.

ricerca di lavoro
I cittadini dell’Ue disoccupati hanno il diritto di vivere in un altro Paese dell’Ue per un “periodo ragionevole” al fine di cercare un lavoro. In assenza di disposizioni comunitarie che definiscano tale “periodo ragionevole”, la maggior parte degli Stati membri ha fissato un termine di sei mesi, anche se in alcuni Paesi sono ancora tre. Tale periodo può essere prolungato se si può dimostrare che si sta ancora cercando attivamente lavoro e che c’è una possibilità reale di trovarne uno.
Ci si può registrare presso il collocamento di propria scelta senza alcuna condizione relativa alla residenza, e si ha diritto a un’assistenza nella ricerca di un lavoro identica a quella prestata ai cittadini del Paese in cui ci si trova.
È possibile continuare per tre mesi a percepire le stesse indennità di disoccupazione, a certe condizioni. Ad esempio, se si ricevevano le indennità in un Paese è possibile continuare a farlo anche mentre si cerca lavoro in un altro Stato membro, purché si sia registrati presso il collocamento nazionale; se però non si trova un impiego e si intende mantenere il diritto alle indennità di disoccupazione, entro tre mesi è necessario tornare nel Paese d’origine e registrarsi presso i servizi dell’occupazione.
Chi cerca lavoro o l’abbia trovato in un altro Stato membro può usare la rete Eures, rete europea che fornisce informazioni e consulenza su come trovare lavoro (vedi box).

INFORMAZIONI: testi tratti dalla guida “Lavorare in un altro Paese dell’Ue”, in http://ec.europa.eu/youreurope

LIMITI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

L’accesso dei lavoratori provenienti dai Paesi entrati a far parte dell’Ue con gli allargamenti del 2004 e del 2007 è soggetto a disposizioni transitorie stabilite dal Trattato di adesione di questi Paesi all’Ue. Per i primi due anni successivi all’adesione, tale accesso dipende dalle leggi e dalle politiche nazionali dei vecchi Stati membri. In pratica, un lavoratore proveniente da uno dei nuovi Stati membri deve richiedere un permesso di lavoro. Queste restrizioni nazionali possono essere prolungate per un ulteriore periodo di tre anni, dopodiché i vecchi Stati membri possono mantenerle solo in caso di seri squilibri del proprio mercato del lavoro. In ogni caso, la durata delle restrizioni non può essere superiore ai sette anni.
Per quanto riguarda i Paesi entrati nell’Ue nel 2004, a meno che uno Stato membro non avesse comunicato alla Commissione serie turbolenze e minacce del suo mercato del lavoro derivanti dal flusso di questi lavoratori, le misure transitorie dovevano terminare il 30 aprile 2009 e quindi essere applicata la normativa comunitaria sulla libera circolazione dei lavoratori. Cinque anni dopo l’allargamento del 2004, solo Germania e Austria hanno chiesto che i lavoratori degli otto Stati membri (cioè tutti meno Cipro e Malta, esclusi da tali disposizioni) continuino a presentare domanda per ottenere un permesso di lavoro prima di iniziare a lavorare, continuando così ad applicare fino al 30 aprile 2011 le restrizioni per l’accesso ai loro mercati del lavoro di lavoratori dell’Europa centro-orientale. Il Regno Unito continua ad applicare il suo programma di registrazione dei lavoratori, mentre tutti gli altri Stati membri hanno adottato il regime di libera circolazione dei lavoratori.
Per quanto riguarda invece i lavoratori provenienti dai due Paesi entrati nell’Ue nel 2007, Bulgaria e Romania, dieci Stati membri mantengono ancora restrizioni all’ingresso per lavoro, la maggior parte solo per alcune categorie di lavoratori: Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Regno Unito.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=466&langId=it

EURES: LA RETE EUROPEA PER L’IMPIEGO

L’European Employment Services (Eures – Servizi europei per l’impiego) è una rete di cooperazione per facilitare la libera circolazione dei lavoratori. Istituita nel 1993, Eures collega la Commissione europea e i servizi pubblici per l’impiego dei Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo (i Paesi dell’Ue più Norvegia, Islanda e Lichtenstein), la Svizzera e altre organizzazioni partner. Le risorse congiunte dei membri Eures e delle organizzazioni partner forniscono una base solida che permette alla rete di offrire servizi di qualità elevata a lavoratori e datori di lavoro.
I principali obiettivi di Eures sono: informare, orientare e consigliare i lavoratori candidati alla mobilità sulle possibilità di lavoro e sulle condizioni di vita e di lavoro nello Spazio economico europeo; assistere i datori di lavoro che intendono assumere lavoratori di altri Paesi; fornire informazioni e assistenza a chi cerca e offre lavoro nelle regioni transfrontaliere. I servizi prestati sono di tre tipi: informazione, consulenza e assunzione/collocamento (incontro domanda/offerta).
Eures dispone di: un rete di oltre 700 consulenti che ogni giorno sono in contatto con persone alla ricerca di un impiego e datori di lavori in tutta Europa; offerte d’impiego aggiornate in tempo reale in 31 Paesi europei; curricula dei candidati interessati; informazioni necessarie per vivere e lavorare all’estero e link utili per sapere come muoversi per lavoro nell’Ue.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/eures/

distacco dei lavoratori: regole da aggiornare

Per quanto concerne i cosiddetti lavoratori “distaccati”, cioè inviati per un periodo di tempo limitato dal loro datore di lavoro in uno Stato membro diverso da quello dove si svolge abitualmente l’attività, esistono norme specifiche che però negli ultimi anni si sono dimostrate inadeguate. Mercato unico europeo, globalizzazione, allargamento dell’Ue, liberalizzazione dei servizi e in ultimo la crisi occupazionale hanno infatti portato al verificarsi di situazioni complesse, fino a causare contenziosi finiti di fronte alla Corte di Giustizia europea che ha emesso alcune sentenze molto discusse.

la direttiva 96/71
La materia è stata finora regolamentata da una direttiva del dicembre 1996 (direttiva 96/71/CE), che si applica nella misura in cui le imprese, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distaccano un lavoratore sul territorio di uno Stato membro. Secondo la direttiva «gli Stati membri controllano che le imprese garantiscano ai lavoratori distaccati un nucleo duro di regole imperative di protezione fissate nello Stato membro sul territorio del quale viene svolto il lavoro: attraverso disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o attraverso convenzioni collettive o sentenze di applicazione generale». Le condizioni di lavoro e occupazione da garantire sono le seguenti: periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo; durata minima dei congedi annuali retribuiti; tassi di salario minimo, compresi quelli maggiorati per le ore supplementari; condizioni di messa a disposizione dei lavoratori, in particolare da parte delle imprese di lavoro interinale; salute, sicurezza e igiene sul lavoro; misure protettive applicabili alle condizioni di lavoro delle donne incinte, delle puerpere, dei bambini e dei giovani; parità di trattamento fra uomini e donne e altre disposizioni in materia di non discriminazione. La direttiva prevede anche alcune deroghe all’applicazione immediata delle regole: in materia di salario minimo, quando si tratta di lavori di una durata non superiore a un mese e a condizione che tali lavori non vengano svolti da imprese di messa a disposizione di lavoratori; in materia di salario minimo e di congedo, quando si tratta di lavori di «limitata entità» e a condizione che tali lavori non vengano svolti da imprese di messa a disposizione di lavoratori, o  quando si tratta di lavori di montaggio iniziale o d’installazione di un bene fornito e la durata massima dei lavori non sia superiore a otto giorni.

la posizione dell’Europarlamento
Nell’ottobre 2006, in seguito a una comunicazione della Commissione europea sull’applicazione della direttiva da cui emergevano varie “zone d’ombra”, è intervenuto sulla materia il Parlamento europeo. Considerando che la direttiva sul distacco dei lavoratori «resta necessaria per garantire certezza giuridica ai lavoratori distaccati e alle imprese interessate» e che la Commissione «dovrebbe intervenire attivamente per rendere più efficace ed efficiente la cooperazione tra gli Stati membri, i loro uffici di collegamento e gli ispettorati del lavoro, segnatamente al fine di combattere la concorrenza sleale e il dumping sociale», l’Europarlamento avanzava alcune richieste. Tra queste, chiedeva alla Commissione europea e agli Stati membri di «stabilire criteri trasparenti e coerenti per la determinazione dello status di “lavoratore dipendente” e “lavoratore autonomo” in relazione al diritto del lavoro», così da evitare la concorrenza sleale derivante dall’impiego di “finti lavoratori autonomi”. Invitava poi a rafforzare e migliorare «tutte le misure volte ad informare i lavoratori sui propri diritti»; sosteneva che «le imprese che distaccano lavoratori e i clienti di tali imprese nonché gli appaltatori generali che assegnano appalti ai subappaltatori, dovrebbero essere considerati congiuntamente responsabili delle condizioni di vita dei lavoratori distaccati nel Paese ospitante» e, al fine di assicurare che tali condizioni siano «dignitose», lo Stato ospitante deve poter richiedere al prestatore di servizi una dichiarazione preventiva che gli consenta di verificare il rispetto delle condizioni di occupazione; chiedeva infine alla Commissione di coordinare l’azione degli Stati membri in relazione al controllo del rispetto della direttiva da parte delle imprese e la invitava a fornire dati periodici sulla trasposizione nazionale della direttiva, «con particolare riguardo ai casi di violazione».

le decisioni della Corte di Giustizia
Negli ultimi anni, poi, alcune decisioni della Corte di Giustizia europea in vario modo riguardante il distacco dei lavoratori e la liberalizzazione dei servizi hanno aperto un ampio dibattito sul rapporto tra le libertà economiche e i diritti sociali fondamentali. In particolare, le sentenze relative ai casi Viking, Laval, Rüffert e Luxembourg, hanno rimesso in questione il diritto al lavoro e le norme sociali riconosciute negli Stati Membri dando priorità ad alcune libertà del mercato interno, quali la libertà di fornire servizi e la libertà di stanziamento, rispetto a diritti sociali fondamentali come la libertà di negoziazione di contratti collettivi e il diritto di sciopero. Inoltre, mentre le disposizioni della direttiva 96/71 rappresentano le protezioni minime europee, la Corte l’ha invece interpretata come una direttiva di norme massimali, che i livelli di protezione stabiliti dagli Stati membri non possono oltrepassare, nonostante la direttiva stabilisca chiaramente che, in caso di norme contraddittorie, il lavoratore dovrà beneficiare delle più favorevoli. In seguito a queste ambiguità interpretative, da più parti è giunta la richiesta di una revisione della direttiva, al fine di dare forza legislativa al principio “salario uguale e uguali condizioni di lavoro per uno stesso lavoro nello stesso luogo di lavoro”.

la posizione dei sindacati europei
La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha ripetutamente affermato il proprio appoggio alla libera circolazione dei lavoratori ma anche le proprie preoccupazioni riguardo la minaccia che la recessione e le recenti decisioni della Corte di Giustizia europea rappresentano in questo senso. La Ces ha infatti sostenuto la libera circolazione opponendosi alle restrizioni temporanee. Malgrado la recessione, la Ces ha difeso l’eguaglianza nell’accessibilità ai mercati del lavoro e il principio di parità di trattamento per tutti i lavoratori. «Le recenti decisioni della Corte di Giustizia europea hanno però autorizzato i datori di lavoro ad utilizzare lavoratori distaccati, indebolendo in questo modo i contratti collettivi. Questa tendenza deve essere corretta urgentemente sia per introdurre un Protocollo di progresso sociale nel prossimo Trattato sia per rafforzare la direttiva sui lavoratori distaccati» ha affermato il segretario generale della Ces, John Monks, esprimendo inquietudine sul modo in cui gli Stati membri e i sindacati potranno, in un’era di globalizzazione, elaborare e difendere le norme in materia di occupazione. Per questo, secondo la Ces, «è cruciale valutare urgentemente la necessità di revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori per garantire un trattamento uguale tra lavoratori migranti e locali». Dal momento che le sentenze della Corte di Giustizia contraddicono l’intenzione originale del legislatore, i sindacati europei ritengono che debba «essere intavolato un nuovo dibattito democratico». La Ces chiede poi alle istituzioni dell’Ue di attuare ogni misura necessaria per chiarire i diritti e i doveri delle parti implicate nella catena del subappalto, evitando che i lavoratori siano privati dei propri diritti, in particolare nel caso di subappalto transfrontaliero.

LINK UTILI:
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=471&langId=en
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=it&catId=24
http://www.etuc.org/r/909
http://ec.europa.eu/internal_market/index_en.htm

DIRETTIVA EUROPEA SUI DISTACCHI: IL PARERE DI CGIL-CISL-UIL
Pubblichiamo di seguito un documento unitario reso noto da Cgil-Cisl-Uil il 18 giugno 2009, che intende portare il contributo delle organizzazioni sindacali italiane alla Confederazione europea dei sindacati sul dibattito europeo in merito alla direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori.
Tenuto conto che condividiamo alcune proposte ed osservazioni contenute nelle comunicazioni della Commissione emesse dal 2003 al 2006:
– conferma della necessità di non discriminare, nell’ambito delle procedure di distacco, le imprese estere rispetto alle nazionali (o viceversa) soprattutto attraverso regole procedurali nazionali che limitano e vietano le sanzioni applicabili ad imprese di altro Stato membro;
– miglioramento della cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno;
– rafforzamento del gruppo di esperti di alto livello comprendente anche le parti sociali istituito nel dicembre 2008;
– possibilità di ricorso collettivo alle procedure di giustizia.
Riteniamo possibile ed auspicabile un’eventuale modifica per via negoziale della direttiva 96/71 che dovrebbe essere inquadrata in pochi elementi essenziali che portino a chiarirne la portata stabilendo:
a) la centralità dell’obiettivo di comporre le esigenze delle imprese con i diritti dei lavoratori alla luce del rispetto formale e sostanziale della parità e della non-discriminazione tra lavoratori autoctoni e lavoratori distaccati, tra imprese nazionali e imprese che temporaneamente forniscono prestazioni attraverso distacco di lavoratori in altro Paese membro rispetto a quello in cui sono localizzate;
b) la necessità di non lasciare margini ad un’interpretazione riduttiva dell’articolo 3 che deve, invece, rappresentare esclusivamente un approccio di minima a tutela delle condizioni di lavoro e salariali dei lavoratori distaccati e a presidio contro il dumping sociale nel caso in cui manchino o siano carenti adeguati strumenti contrattuali di riferimento, che devono essere espressamente indicati dagli Stati membri nelle norme di recepimento;
c) la necessità di modificare la direttiva affinché si applichi anche alle imprese stabilite in uno Stato non membro dell’Ue, in quanto la prestazione avviene all’interno del territorio dell’Ue dove devono essere rispettati i principi fondamentali (parità di trattamento e non discriminazione) nonché le norme sociali definite nelle varie direttive.
Occorre anche precisare meglio alcuni termini trattandosi di imprese che distaccano propri lavoratori in un Paese diverso a fronte di un appalto/commessa con durata limitata nel tempo, che costituisce una cessione temporanea di lavoratori.
Per “lavoratore distaccato” si intende il lavoratore abitualmente occupato in uno Stato membro diverso dal Paese ricevente che, per un periodo determinato, svolge il proprio lavoro in un territorio nazionale diverso da quello di provenienza. Per “periodo determinato” si intende quando la durata del distacco del lavoratore sia sin dall’inizio predeterminata o predeterminabile con riferimento all’evento lavorativo relativo all’appalto/commessa. Al rapporto di lavoro dei lavoratori distaccati dell’impresa appaltatrice vengono applicate, dall’impresa appaltatrice, durante il periodo del distacco e per il solo periodo dello stesso, le medesime condizioni di lavoro applicate nell’impresa appaltante (o definite nei contratti di riferimento indicati dalle norme di recepimento). Ciò implica il rispetto dei dettami legislativi e delle disposizioni del Ccnl vigente nell’impresa appaltante, a partire, ad es. da salario, ferie, festività, orario normale e straordinario, applicabili ai lavoratori che effettuano prestazioni subordinate analoghe nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria attività, nel rispetto per tutti, imprese e lavoratori, del principio di non discriminazione, rispettando comunque le condizioni di miglior favore.
Tali disposizioni sono necessarie al fine di non creare contrasti di lavoratori mediante differenze retributive tra prestatori d’opera del Paese ospitante e lavoratori distaccati, in regime di uguaglianza di trattamento lavorativo delle persone. I criteri di concorrenza e libero mercato dovranno vertere su elementi diversi, attinenti alla professionalità del lavoro, ai tempi di esecuzione, alla qualità del lavoro prodotto. È ugualmente necessario un rafforzamento della collaborazione amministrativa nella più totale trasparenza e accessibilità alla documentazione prodotta dalle imprese implicate – sia appaltatrici che appaltanti. I diritti spettanti ai prestatori di lavoro dipendenti dall’appaltatore transnazionale possono essere esercitati nei confronti dell’imprenditore appaltante durante l’esecuzione dell’appalto e di norma fino ad un anno dopo la data di cessazione del medesimo, comunque entro i termini massimi (se superiori) previsti dalle norme nazionali in materia di diritto del lavoro e in relazione alla responsabilità congiunta e solidale delle imprese, rispettando le condizioni di miglior favore.
Riteniamo che vada rafforzato l’approccio negoziale sia attraverso la collaborazione transnazionale sindacale che attraverso quella tra le parti sociali e che, quindi, Ces e Business Europe debbano promuovere un gruppo congiunto di esperti e operatori per monitorare il fenomeno dei distacchi nell’Ue sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo e che tale gruppo di lavoro produca con periodicità dei rapporti anche al fine di prevenire eventuali conflitti giudiziari e non.

I segretari confederali: Cgil Susanna Camusso, Cisl Giorgio Santini, Uil Paolo Pirani

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