Euronote
33-2004
Di
questi tempi non bisognerebbe mai separarsi da una carta geografica, non solo
per reperire i troppi focolai di guerra sparsi nel mondo, ma anche e sempre più
per individuare i molti conflitti in incubazione in territori lontani dai
confini dell’Unione europea. Dopo la provvisoria pacificazione degli Stati
ex-jugoslavi sarà bene tenere gli occhi aperti su Stati diventati indi-pendenti
con la dissoluzione, all’inizio degli anni Novanta, dell’Unione sovietica.
Avvenimenti recenti hanno puntato i riflettori sull’instabilità dell’area
caucasica, mentre nelle ultime settimane è stata la volta dell’Ucraina, Paese
entrato in fibril-lazione dopo elezioni fortemente segnate, secondo non
contestate segnalazioni di osservatori internazionali, da pesanti irregolarità
che ne hanno fatto invalidare il risultato. Ne è seguito un confronto aspro,
non solo all’interno di questo Paese ufficialmente sovrano, ma anche tra
Russia, Stati Uniti e Unione europea. Il pre-sidente russo Vladimir Putin non ha
perso tempo a congratularsi con il vincitore uscito dalle urne, senza alcuna
considerazione per le accuse di brogli elettorali; gli Stati Uniti -
dimenticando quanto accaduto in Florida solo quattro anni fa - si sono invece
precipitati a dichiarare illegittimo il risultato elettorale ucraino. Da parte
sua, l’Unione europea ha rivolto critiche molto severe allo svolgimento della
consultazione elettorale, di cui ha dichiarato di non poter accettare i
risultati, e si è proposta come mediatrice nel conflitto in corso tra i due
contendenti. Le cronache ci hanno ampiamente informati sulle mobilitazioni
popolari delle due parti che si contendono il potere e in qualche momento ci è
parso di rivedere dinamiche già viste all’inizio degli anni Ottanta in
Polonia (con la ricomparsa in piazza di Lech Walesa a completare il quadro), poi
nell’allora Cecoslovacchia (a cui sembrano ispirarsi coloro che pensano a una
divisione del Paese) e più recentemente in Georgia. Il problema del conflitto
ucraino in cor-so, tra chi ad est vuole consolidare il legame con la Russia e
chi ad ovest guarda al modello occidentale, non sarà di facile soluzione. Ma già
fin d’ora è bene cercare di capire le ragioni che muovono Russia, Stati Uniti
e Unione europea e, in particolare, le divergenze tra questi due ultimi attori
politici. Più facile in effetti capire la posizione della Russia di Putin, che
non rinuncia facilmente al suo ex-impero e che vuole scongiurare che domani vi
siano basi Nato in Crimea. Simmetrica ed opposta l’intenzione degli Usa, che
vogliono contrastare l’espansionismo neo-zarista di Putin e il suo disegno
volto a ricomporre il territorio della “Madre Russia”.
Molto
più articolata e prudente è invece la posizione dell’Unione eu-ropea che,
ancora una volta, rischia una spaccatura al proprio interno.
Una
posizione prudente dettata dalle frontiere comuni con questi territori, dalla
politica di vicinato perseguita con i Paesi dell’area e, so-prattutto,
dall’esigenza di sviluppare un partenariato forte con la Russia.
Ma
è proprio qui che l’Unione rischia di dividersi al proprio interno: da una
parte il nucleo storico dei suoi componenti (in particolare Francia e Germania,
cui sembra accodarsi l’Italia del presidente del Consiglio nell’attesa di
capire cosa ne pensa il nuovo ministro degli Esteri), dall’altra i nuovi Paesi
entrati il maggio scorso nell’Ue e che non nascondono più di tanto i conti da
regolare con Mosca.
Tale
situazione non fa che dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia
urgente un’Europa politica cui la nuova Costituzione dia un proprio ministro
degli Esteri che parli e agi-sca a nome di tutti i 25 Stati membri. Nel corso
dei negoziati svoltisi a Kiev, l’Ue è stata largamente rappre-sentata nel
lavoro di mediazione da tre alti responsabili politici, con un polacco e un
lituano che affiancava-no Javier Solana, il futuro ministro degli Esteri
europeo. Tuttavia, se in futuro l’Unione europea invierà un suo unico
rappresentante della poli-tica estera riconosciuto da tutti sarà ancora meglio.
Per l’Ucraina certa-mente, ma anche e più ancora per l’Unione europea.
(Franco Chittolina)
Commissione
europea
Dopo
18 molte difficoltà, una crisi isti-tuzionale sfiorata e tre settimane di
polemiche e discussioni, il novembre scorso il Parlamento eu-ropeo ha concesso
la fiducia alla nuova Commissione guidata da José Manuel Barroso. Pochi i
cambiamenti apportati dal presidente rispetto al primo gruppo di commissari
contestato dal Parlamento. Il candidato italiano Rocco Bottiglione è sta-to
sostituito dal commissario Franco Frat-tini, che riveste l’incarico di
vicepresidente e di commissario per la Giustizia, la Liber-tà e la Sicurezza.
La lettone Ingrida Udre, candidata a Fisco e Dogane, è stata sosti-tuita dal
connazionale Andris Piebalgs, cui è stato però affidato l’incarico
dell’Ener-gia. Commissario per il Fisco e le Dogane è stato invece nominato
l’ungherese László Kovács, candidato in precedenza all’Energia. In
pratica, due nomi nuovi e un cambio di incarico hanno permesso alla
“Commissione Barroso 2” di ottenere 449 voti favorevoli (149 i contrari e 82
gli astenuti). Il Parlamento europeo ha così premiato la disponibilità
mostrata da Bar-roso, il quale anziché irrigidirsi sulle scelte iniziali
rischiando una crisi istituzionale ha tenuto conto delle indicazioni fornite
dalle commissioni parlamentari che ave-vano esaminato i commissari candidati.
Per la verità, qualche dubbio è rimasto sulla questione del conflitto
d’interessi rappresentato dall’olandese Neelie Kroes, commissaria per la
Concorrenza nono-stante abbia ricoperto in passato incarichi in numerosi
consigli di amministrazione di importanti società. Per ovviare a tali critiche,
Barroso ha deciso che i casi in cui potrebbe manifestarsi un conflitto
d’interesse saranno sottratti alla commis-saria e trattati direttamente dal
presidente della Commissione. Poche ore dopo aver ottenuto la fiducia del
Parlamento, poi, la Commissione Barroso ha dovuto affron-tare anche la polemica
sul commissario ai Trasporti, il francese Jacques Barrot, condannato nel 2000
per finanziamenti illeciti a un partito. Un’amnistia ha però cancellato
quella condanna, quindi per la Commissione la questione non esiste.
Insomma,
la Commissione inizia i suoi lavori sotto stretta sorveglianza del Par-lamento,
ma questo non è altro che una maggior garanzia di trasparenza e demo-crazia.
nome |
Paese |
incarico |
José Manuel Barroso |
Portogallo |
presidente |
Margot Wallström |
Svezia |
vicepresidente, commissaria per
le Relazioni istituzionali e la Strate-gia di comunicazione |
Günter Verheugen |
Germania |
vicepresidente, commissario per
l’Industria e l’Impresa |
Jacques Barrot |
Francia |
vicepresidente, commissario per
i Trasporti |
Siim Kallas |
Estonia |
vicepresidente, commissario per
gli Affari amministrativi, la Revisio-ne dei bilanci e l’Anti-frode |
Franco Frattini |
Italia |
vicepresidente, commissario per
la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza |
Viviane Reding |
Lussemburgo |
commissaria per la Società
dell’Informazione e i Media |
Stavros Dimas |
Grecia |
commissario per l’Ambiente |
Joaquín Almunia Amann |
Spagna |
commissario per l’Economia e
gli Affari monetari |
Danuta Hübner |
Polonia |
commissaria per le Politiche
regionali |
Joe Borg |
Malta |
commissario per la Pesca e gli
Affari marittimi |
Dalia Grybauskaitè |
Lituania |
commissaria per la
Programmazione finanziaria e il Bilancio |
Janez Potoc’ni |
Slovenia |
commissario per la Scienza e la
Ricerca |
Ján Figel |
Slovacchia |
commissario per l’Educazione,
la Formazione e la Cultura |
Markos Kyprianou |
Cipro |
commissario per la Salute e la
Protezione dei consumatori |
Olli Rehn |
Finlandia |
commissario per
l’Allargamento |
Louis Michel |
Belgio |
commissario per lo Sviluppo e
gli Aiuti umanitari |
László Kovács |
Ungheria |
commissario per le Tassazioni e
l’Unione doganale |
Neelie Kroes |
Paesi Bassi |
commissaria per la Concorrenza |
Mariann Fischer Boel |
Danimarca |
commissaria per l’Agricolturae
lo Sviluppo rurale |
Benita Ferrero-Waldner |
Austria |
commissaria per le Relazioni
esterne e le Politiche europee di vicinato |
Charlie McCreevy |
Irlanda |
commissario per il Mercato
interno e i Servizi |
Vladimír ·pidla |
Rep. Ceca |
commissario per
l’Occupazione, gli Affari sociali e le Pari opportunità |
Peter Mandelson |
Regno Unito |
commissario per il Commercio |
Andris Piebalgs |
Lettonia |
commissario per l’Energia |
Costituzione
europea
sì
alla Costituzione nonostante tutto
di Pierre Jonckheer*
Nonostante
litico, è che gli evidenti punti deboli del testo, la mia posi-zione, dal punto
di vista po-ormai si debba prendere atto del progetto di Trattato
Costitu-zionale com’è, e approvarlo. Le ar-gomentazioni a favore
dell’adozione si basano, da un lato, sui contenuti del testo propriamente
detto - non in assoluto, ma in relazione ai Trattati esistenti - e, dall’altro
lato, derivano da un’analisi dell’attuale situazione politica a livello di
Unione europea e a livello mondiale.
pochi miglioramenti nei
contenuti
Per ciò che riguarda il contenuto del
progetto di Trattato Costituzionale, i miglioramenti sono principalmente di
natura simbolica, istituzionale o giuridica e riguardano in misura limi-tata gli
obiettivi e i mezzi propri delle politiche dell’Unione, in quanto,
essenzialmente, il testo rappresenta una conferma di ciò che già esiste.
Il regime politico dell’Ue è
consolida-to, costruito sulla doppia legittimità: quella dei governi e quella
del suffra-gio universale diretto. La preminenza del diritto europeo è
esplicita. La de-mocrazia parlamentare sopranazio-nale ampia il suo campo
d’azione e lo estende alla formulazione delle leggi europee; essa rimane,
tuttavia, anco-ra incompleta in quanto la Commis-sione conserva il proprio
monopolio di iniziativa legislativa e nonostante la creazione di due cariche
europee: la presidenza del Consiglio europeo e il ministro europeo per gli
Affari este-ri. Come contrappeso, il Consiglio europeo afferma, più
esplicitamente, il proprio ruolo di luogo deputato alla presa di decisioni
riguardanti i principali orientamenti politici in tutti i settori, mentre i
governi con-servano l’esclusiva unica per ciò che riguarda le risorse di
bilancio dell’Ue. Il regime politico dell’Unione è anche consolidato grazie
all’ampliamen-to delle competenze della Corte di Giustizia, che adesso
abbracciano l’insieme delle politiche comunita-rie, a eccezione della politica
estera e di sicurezza. Viene creato il diritto di iniziativa ai cittadini, il
quale offre un nuovo spazio di mobilitazione e di intervento a livello
transnazionale, che si aggiunge alla possibilità, già esistente, di stipulare
accordi-quadro tra le parti sociali.
i politici sceglieranno le
priorità
Inoltre, se si tiene in considerazio-ne
la definizione dei valori e degli obiettivi delle politiche dell’Unione, che
si accumulano senza un ordine preciso, basandosi su un’ipotesi astratta di
compatibilità e di coeren-za generale, risulta comunque utile sottolineare
l’ampio ventaglio che ri-coprono tali valori e obiettivi, i quali si impongono
alle istituzioni tutte, nonché agli attori di questa Europa. Tra questi si
incontrano il principio di non discriminazione, l’eguaglian-za uomo-donna, lo
sviluppo soste-nibile, la prevenzione dei conflitti, l’eradicazione della
povertà. Al tem-po stesso, è necessario sottolineare l’esistenza di principi
d’azione, giu-ridicamente vincolanti, che le diffe-renti politiche settoriali
dell’Unione devono affrontare. Ritengo che sia necessario evitare una lettura
deter-minista del Trattato, penso invece che sia importante sottolineare la
possibilità, per i protagonisti politici, di scegliere le priorità, rimanendo
comunque nell’ambito del Trattato. Gli attuali dibattiti, relativi alla
ri-forma del Patto di stabilità oppure al contenuto dell’Agenda di Lisbo-na-Göteborgh,
ne sono un ottimo esempio, e il fatto che il progetto di Trattato riaffermi il
ruolo preminen-te del Consiglio europeo, per quanto riguarda la definizione dei
principali orientamenti politici, è l’espressione di questa volontà.
il problema dell’unanimità
Dobbiamo chiederci, però, se questo
progetto che “crea una Costituzione per l’Europa” ci soddisfa: è così?
Si-curamente no. I punti deboli del testo della Convenzione sono evidenti e il
lavoro fatto è stato ulteriormente sminuito (dal nostro punto di vista) dai
governi in sede di negoziato che si è concluso lo scorso giugno 2004.
Tra i numerosi punti deboli, vorrei
soffermarmi su due, che ritengo esse-re i più significativi. Il primo è quello
relativo al voto all’unanimità, che vie-ne mantenuto in alcuni settori, come
i settori della fiscalità, del bilancio, della politica sociale e per ciò che
ri-guarda la revisione futura dei Trattati. Quest’ultimo aspetto, oltre a
signifi-care che il Trattato non rappresenta, né giuridicamente né
politicamente, una “Costituzione”, è particolarmen-te allarmante, poiché
l’unanimità necessaria coinvolge adesso 25 Stati; per tale motivo, si può
legittimamen-te ritenere che la democrazia politica è assente, dal momento che
qualsiasi cambiamento che riguardi, in parti-colare, la definizione delle
politiche dell’Unione (incluse tutte nella terza parte del testo) rimane
sottomesso al-l’unanimità ed è, pertanto, potenzial-mente imperturbabile
alle alternanze di maggioranza politica che risultano dalle elezioni nazionali
ed europee. È dunque logico che la citazione di Tucidide, messa in epigrafe ai
lavori della Costituzione - «La nostra Costi-tuzione…porta il nome di
democrazia perché il potere è nelle mani non di pochi, ma di molti» -,
sia stata cancel-lata dal testo finale!
mezzi insufficienti
Il secondo punto debole, anch’esso
significativo per coloro che desidera-no promuovere un “modello sociale
europeo”, è la quasi impossibilità di portare avanti, in modo volontaristico
e con decisione, superando le forze “liberalizzanti” del mercato, una
poli-tica di convergenza che contribuisca ad andare dalle norme sociali
nazio-nali a norme europee di alto livello. Il progetto di Trattato conferma gli
obiettivi della piena occupazione e del progresso sociale, questo è sicu-ro, ma
i mezzi per raggiungerli non sono stati rafforzati. Siamo rimasti ai dispositivi
previsti dagli attuali trat-tati e alla dinamica dominante della concorrenza tra
sistemi fiscali e di protezione sociale nazionali, benché tale concorrenza si
trovi rafforzata sia dalla globalizzazione che dalla sem-pre maggiore
eterogeneità interna all’Unione, ora composta da 25 Paesi. Possiamo, dunque,
giustamente ar-guire che l’Unione ha bisogno di stru-menti nuovi per agire su
queste realtà e per sviluppare una nuova politica di crescita qualitativa.
perché allora approvarla?
In sintesi, il contenuto del progetto
di Trattato, che ha come obiettivo di realizzare una Costituzione, rap-presenta
un miglioramento rispetto ai testi attuali, ma il mantenimento dell’unanimità
nei settori strategici continuerà a generare situazioni di crisi tra i 25
governi, senza che la pro-cedura prevista riguardo alla “coope-razione
rafforzata” permetta, nei fatti, a un sottogruppo di Paesi di metterla in
pratica con facilità. Pareva, quindi, sicuramente eccessivo pensare che il
progetto costituzionale potesse assicurare per 50 anni una politica comune e al
servizio degli obiettivi più ambiziosi, così solennemente affermati.
Perché allora non rifiutare questo
progetto da subito e difendere l’idea di una crisi politica salvatrice, come
d’altronde raccomandano i sostenito-ri del “no”, in particolare in
Francia? La risposta dipende, ovviamente, dal giudizio politico di ognuno
riguardo all’attuale situazione, e dalla nostra capacità di trasformarla.
Rifiutare il progetto di Trattato, infatti, non ha sicuramente senso, a meno che
non si ritenga di poter arrivare alla stesura di un testo migliore nei prossimi
mesi o anni, oppure se si ritiene di dover uscire dall’Unione e costruire
qual-cosa di diverso, che vada al di là dei trattati esistenti e al di là
dello Spazio economico europeo.
impossibile un risultato
migliore
Per aver seguito, e partecipato
indi-rettamente, ai lavori della Costituzio-ne per 18 mesi, mi è chiaro che non
vi è alcuna possibilità politica di arriva-re, con l’unanimità di 25 Paesi,
a un risultato qualitativamente diverso da quello ottenuto con questa
Conferen-za intergovernativa. Me ne dispiace profondamente, ma è così.
È necessario essere consapevoli che
molti Paesi e molti loro governanti, almeno per il momento, non deside-rano
andare oltre l’attuale livello di integrazione comunitaria, per varie ragioni
di natura culturale, econo-mica e di sovranità. È il caso dei Paesi
scandinavi, di molti nuovi Stati membri, del Regno Unito… impor-tante
questione se si vuole raggiun-gere l’unanimità. E non si creda che si tratti
della divisione destra/sinistra! Tredici governi su quindici erano di
centro-sinistra quando, nel 2000, arrivammo a stilare il Trattato di Niz-za. La
social-democrazia in Europa è divisa e incapace di proporre un progetto
alternativo, relativamente al quale le forze più liberali dovrebbero darsi una
definizione, mentre i Verdi raccolgono, in media, meno del 5% dei voti
all’interno dell’Unione! La Confederazione europea dei sindaca-ti non fa
altro bilancio che quello che inserisce nella propria risoluzione: «…se la
si confronta con i trattati CE/UE attualmente in vigore …, la Ces è convinta
che la nuova Costituzione sia migliore e che, per i sindacati, l’unico
approccio pragmatico e realista possi-bile sia quello di sostenerla».
Per ciò che riguarda lo scenario che
vede un’uscita dall’Unione (previsto, in modo esplicito, per la prima volta
nel progetto di Trattato), mi pare, dal punto di vista politico, ancora più
illusorio, soprattutto per i Paesi membri dell’euro, visto “l’acquis
communautaire” che si è sviluppato in questi 50 anni e che si è tradotto
nel diritto interno di ogni Stato. In un tale scenario, dovremmo, per amor di
coerenza, rifiutare l’apertura dei negoziati di adesione con la Turchia,
elemento che sarebbe sicuramente controproducente alla luce dell’at-tuale
situazione internazionale.
un “sì” battagliero, non
rassegnato
La mia valutazione è dunque che le
alternative proposte, a seguito di un “no” al progetto di Trattato, non
siano abbastanza valide. Dobbiamo quindi procedere a un “sì” rassegna-to, e
consolarci a vicenda dicendoci, gli uni agli altri, che ci siamo bat-tuti bene
(durante la Convenzione) ma che abbiamo perso? Dobbiamo attendere la prossima
crisi, una partecipazione elettorale ancora più scarsa nel 2009 oppure che i
po-pulismi e i nazionalismi europei di estrema destra si facciano di nuovo
sentire? No. Bisogna poter proce-dere, in occasione dei referendum, delle
ratifiche parlamentari e dei di-battiti, che devono essere numerosi,
contradditori e transnazionali, alla politicizzazione (nel senso più ampio del
termine) delle questioni europee e lavorare affinché si organizzino del-le
mobilitazioni concrete su proposte di leggi europee in discussione, come ad
esempio la proposta relativa al mercato interno dei servizi (“Bolken-stein”),
oppure la proposta relativa all’autorizzazione per l’utilizzo delle sostanze
chimiche e ai loro effetti sul-l’ambiente e sulla salute (“Reach”). E’
inoltre necessario, anticipando sulla questione del diritto di iniziativa dei
cittadini previsto dal progetto costituzionale, portare avanti delle campagne
per esigere dei nuovi di-ritti europei, come la campagna per il diritto a un
reddito individuale ga-rantito. Un “sì” alla Costituzione non impedisce di
portare avanti un impe-gno collettivo di lotta per costruire una cittadinanza
europea, realizzata su rivendicazioni precise. È un “sì” battagliero!
* presidente dell’Osservatorio
sociale europeo (Ose) di Bruxelles e vicepre-sidente del Gruppo dei Verdi al
Parla-mento europeo.
Forum
sociale europeo
necessaria
una svolta per
i Forum sociali
Circa
15-17 50.000 persone hanno dato vita al terzo Forum sociale euro-peo svoltosi a
Londra nei giorni ottobre scorsi. Anche questo terzo appuntamento europeo, dopo
Firenze 2002 e Parigi 2003, è stato un momento importante di informazione e
dibattito, soprattutto sui temi sociali più stretta-mente europei. Sei le aree
tematiche che hanno caratterizzato le Conferen-ze: Guerra e pace, con la
conferma di posizioni molto nette che caratteriz-zano l’adesione convinta di
tutte le componenti del Fse al più complessivo movimento mondiale per la pace;
De-mocrazia e diritti fondamentali, con le assise plenarie sull’Europa
democratica e sociale e sul Trattato costituzionale; Giustizia sociale e
solidarietà, contro le privatizzazioni e per i diritti del lavoro;
Globalizzazione liberista e giustizia globale; Lotta al razzismo e ad ogni
di-scriminazione; Crisi ambientali, contro il liberismo e per società
sostenibili.
meno rituali, più azione
Naturalmente,
in un contesto come il Fse, sono emerse proposte di vario tipo e diverse priorità
di azione. «Una tassa internazionale con conseguente re-distri-buzione delle
entrate, la cancellazione di un terzo del debito mondiale, lo sbaraz-zarsi della
manipolazione genetica degli organismi e il salvare i servizi pubblici, la
salute e l’educazione dalla morsa del Wto» sono le urgenze da affrontare
secondo Susan George, economista da anni impegnata nella lotta alla
globa-lizzazione economica neoliberista. Ma sulle modalità dei dibattiti e sul
ruolo che i Forum nazionali e internazionali dovrebbero avere, Susan George ha
un’idea ben precisa, che ha espresso sul quotidiano britannico “The
Guardian” il 15 ottobre scorso: «Non abbiamo più bi-sogno della
ritualità della denuncia e del richiamo costante alla piattaforma, per cui noi
siamo in favore di alcuni valori (la giustizia sociale, i diritti umani, la
democrazia, la responsabilità ambienta-le) e siamo contro altri (guerra, povertà,
razzismo, riscaldamento globale). Reite-rare questi temi è diventata la
principale funzione della sovrabbondanza delle sessioni plenarie del Fse. Non
riesco a immaginare qualcuno dei “padroni dell’Universo” a Davos tremare
in con-seguenza di queste attività cerimoniali. Il Forum sociale mondiale di
Porto Alegre nel 2005 farà il primo passo, eliminando del tutto le plenarie con
le star-system in modo che ci si concentri esclusivamente su seminari e
workshop. Lo scopo di un Forum sociale sarebbe di identificare su scala mondiale
gruppi che lavorino su assi comuni e metterli in contatto tra loro prima
dell’evento, così che possano pre-parare i loro ordini del giorno e, quando
loro arrivano, gestire direttamente sul campo. Questa è la modalità vincente».
Secondo Susan George, dunque, vanno messe da parte le lamentele sulle
“ma-lattie” del mondo e va invece utilizzato il tempo a disposizione dei
Forum per esaminare freddamente il potere, iden-tificarne le debolezze
strategiche e far progredire le alleanze per contrastare il neoliberismo.
Una sollecitazione all’azione viene
an-che da Frances O’Grady, segretario ge-nerale aggiunto delle Trade Unions
in-glesi (Tuc): «La globalizzazione crescente ha dimostrato sempre più che
andare avanti da soli non è una scelta. Il mo-vimento sindacale è sempre stato
inter-nazionale, ma non ha ancora provato a reggere il confronto con l’ascesa
al potere delle imprese multinazionali. L’interesse dei partecipanti al Fse
riguarda alcune questioni alle quali i sindacati dovreb-bero dare delle
risposte: privatizzazione, discriminazione e deregolazione. Il Fse è
un’opportunità per discutere di un’altra Europa in un altro mondo,
obiettivo per raggiungere il quale noi abbiamo biso-gno di un altro movimento
sindacale. Il Forum ha posto le questioni, i sindacati dovranno diventare
centrali per dare le risposte».
trovare una sintesi
I
Forum sociali dovrebbero costituire una svolta necessaria per approfondire i
livelli di partecipazione e rafforzare i meccanismi di costruzione di
conver-genze, secondo Francesco Martone, senatore dei Verdi già nella direzione
nazionale di Greenpeace, cioè essere uno spazio aperto che dovrebbe servire non
solo per lo scambio di opinioni e analisi tra i vari movimenti, ma anche per
confrontarsi sull’efficacia dei mezzi e degli strumenti del proprio agire
politico. Martone si interroga anche sulla natura stessa del “movimento” e
sulla sua pro-spettiva d’analisi: «Perché se dalle plena-rie, alle quali
ha partecipato il “jet-set” del movimento, poco di concreto sembra essere
emerso, lo stesso non può dirsi degli incontri più ristretti, dove i
partecipanti spesso hanno dimostrato di essere un palmo più avanti nella
metabolizzazione dei fenomeni e dei problemi rispetto a chi i workshop o i
seminari li teneva. Ciò signi-fica che ad oggi la capacità di analisi cri-tica
e di “volgarizzazione” delle organiz-zazioni e dei movimenti sociali ha
avuto un gran successo. Ci sarà da allarmarsi se chi quotidianamente lavora sui
temi pro-pri del movimento non colga l’esigenza diffusa di risposte concrete e
praticabili». Secondo Martone, la differenza tra una “fiera delle buone
intenzioni” e un mo-vimento politico realmente radicale sta nella capacità di
trovare una necessaria sintesi in obiettivi condivisi, sui quali sollecitare le
responsabilità dei decisori politici: «Il Forum di Londra, con le sue
diverse stratificazioni e le sue moltitudini, si rivelerà un fallimento se
quelle campa-gne e quelle iniziative si svolgeranno solo su linee parallele ma
non convergenti, ripetendo la separazione tra “specialisti” e
“movimentasti”, ovverosia tra chi predili-ge l’approccio elitario, ma
stenta a dare a questo legittimità e radicamento sociale, e chi invece
predilige l’approccio di piazza, mettendo però in secondo piano l’analisi e
la proposta critica». Martone ritiene inoltre importante svolgere Forum in
regioni e Paesi dove il movimento non è politicamente rilevante, cioè dove può
rappresentare un’opportunità e una reale legittimazione per soggetti e realtà
in stato embrionale che necessitano di un sostegno internazionale, ad esempio
nell’Europa orientale.
Programma
dell’Aia
immigrazione
e asilo: nuovo programma pluriennale
Nei
comune giorni 4 e 5 novembre scor-si è iniziata ufficialmente la seconda fase
della politica europea in materia di immi-grazione e asilo. Il Consiglio
europeo, tenutosi in quei giorni a Bruxelles, ha infatti adottato il nuovo
programma pluriennale per i prossimi cinque anni denominato “Programma
del-l’Aia”, che sostituisce quello definito a Tampere nel 1999 e indica i
punti principali della futura politica comu-ne. I capi di Stato e di governo
dell’Ue hanno invitato la Commissione a presentare nel 2005 un piano
d’azione che concretizzi gli obiettivi e le priorità del Programma, piano che
dovrà con-tenere un calendario per l’adozione e l’attuazione di tutte le
azioni. La Com-missione dovrà poi presentare al Con-siglio una relazione
annuale di valuta-zione sull’attuazione del Programma. Dal 2005 al 2010,
dunque, dovrebbe essere definita e attuata la politica comune in materia di
immigrazione con provvedimenti che saranno adot-tati a maggioranza qualificata,
tranne per ciò che riguarda l’immigrazione legale su cui si continuerà a
decidere all’unanimità. Per quanto concerne l’asilo, invece, nei prossimi
mesi do-vrebbe essere adottata all’unanimità dal Consiglio la direttiva
relativa alle procedure, mentre gli strumenti e le misure comuni saranno
effettivi solo nel 2010.
da Tampere all’Aia
Anche se non tutti gli obiettivi di
Tam-pere sono stati conseguiti, il Consiglio europeo si è dichiarato
soddisfatto dei risultati ottenuti nel corso degli ultimi cinque anni: «Sono
state poste le basi di una politica comune in materia di asilo e immigrazione,
è stata predispo-sta l’armonizzazione dei controlli alle frontiere, è stata
migliorata la coope-razione di polizia e i lavori preparatori per la
cooperazione giudiziaria sulla base del principio del reciproco rico-noscimento
delle decisioni giudiziarie e delle sentenze sono ben avanzati». Oggi però,
sostiene il Consiglio, «è giunta l’ora che una nuova agenda consenta
all’Unione di trarre vantag-gio da questi risultati e di raccogliere in
maniera efficace le nuove sfide da affrontare». Per questo è stato
adotta-to il Programma dell’Aia, che «riflette le ambizioni espresse»
dalla nuova Costituzione europea e contribuisce a preparare l’Unione alla sua
entrata in vigore. Inoltre, tiene conto della va-lutazione della Commissione
accolta favorevolmente dal Consiglio europeo di giugno 2004 e della
raccomanda-zione adottata dal Parlamento euro-peo il 14 ottobre 2004, in
particolare per quanto riguarda il passaggio al voto a maggioranza qualificata e
la codecisione.
obiettivi del Programma
Gli obiettivi definiti dal Programma
dell’Aia sono: migliorare la capacità comune dell’Unione e dei suoi Stati
membri di garantire i diritti fon-damentali, le garanzie procedurali minime e
l’accesso alla giustizia per fornire protezione alle persone che ne hanno
bisogno ai sensi della Conven-zione di Ginevra sui rifugiati e di altri trattati
internazionali; regolare i flussi migratori e controllare le frontiere esterne
dell’Unione; combattere la cri-minalità organizzata transfrontaliera e
reprimere la minaccia del terrorismo; realizzare il potenziale dell’Europol e
dell’Eurojust; proseguire nel ricono-scimento reciproco delle decisioni e
degli atti giudiziari in materia sia civile che penale ed eliminare gli ostacoli
giuridici e giudiziari nelle controversie in materia civile e di diritto di
famiglia con implicazioni transfrontaliere. Se-condo l’Ue tali obiettivi
devono essere raggiunti nell’interesse dei cittadini europei sviluppando un
regime co-mune in materia di asilo e migliorando l’accesso ai mezzi di ricorso
giurisdi-zionali, la cooperazione pratica di polizia e giudiziaria, il
ravvicinamento delle disposizioni legislative e lo svi-luppo di politiche
comuni.
politica comune
Secondo il Consiglio europeo è
neces-sario un approccio globale, relativo alle cause di fondo delle migrazioni,
alle politiche in materia di ingresso e ammissione e alle politiche in materia
di integrazione e rimpatrio. L’attuale sviluppo della politica europea in
materia di asilo e migrazione, reci-ta il Programma dell’Aia, dovrebbe basarsi
su un’analisi comune del fenomeno migratorio in tutti i suoi aspetti, è
quindi importante rafforza-re la raccolta, la fornitura, lo scambio e
l’utilizzo efficace di informazioni e dati aggiornati su tutti gli sviluppi
per-tinenti. La seconda fase di sviluppo di una politica comune in materia di
asilo, migrazione e frontiere, iniziata il 1° maggio 2004, «dovrebbe
fondarsi sulla solidarietà e su una ripartizione equa delle responsabilità,
comprese le implicazioni finanziarie, e su una più stretta cooperazione pratica
fra gli Stati membri: assistenza tecnica, formazione, scambio di informazioni,
monitoraggio di una adeguata e tem-pestiva attuazione e applicazione degli
strumenti nonché ulteriore armoniz-zazione della legislazione» si legge
nel Programma.
regime d’asilo
Per quanto riguarda l’asilo,
l’obiettivo è l’instaurazione di una procedura comune e uno status uniforme
per coloro che hanno ottenuto l’asilo o la protezione sussidiaria. Secondo il
Programma, il regime sarà basato sull’applicazione, in ogni loro com-ponente,
della Convenzione di Gine-vra relativa allo status dei rifugiati e degli altri
trattati pertinenti e su una valutazione approfondita e completa degli strumenti
giuridici adottati nella prima fase. A questo scopo il Consiglio europeo esorta
gli Stati membri ad at-tuare pienamente la prima fase senza indugio e invita la
Commissione a concludere nel 2007 la valutazione degli strumenti giuridici
adottati nel-la prima fase, nonché a sottoporre al Consiglio e al Parlamento
europei gli strumenti e le misure relativi alla se-conda fase in vista della
loro adozione entro il 2010. La Commissione è inol-tre invitata a presentare
uno studio sull’opportunità, sulle possibilità e difficoltà nonché sulle
implicazioni giuridiche e pratiche del trattamen-to comune delle domande di
asilo all’interno dell’Unione. Uno studio distinto, da effettuare in stretta
con-sultazione con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), dovrebbe
poi esaminare il merito, l’opportunità e la fattibilità del trattamento
comune delle domande d’asilo all’esterno del territorio dell’Ue, ad
integrazione del regime europeo comune in materia di asilo e conformemente alle
norme internazionali pertinenti. Inoltre, se-condo il Consiglio europeo, gli
Stati membri saranno aiutati a introdurre una procedura unica per la
valuta-zione delle domande di protezione internazionale e a procedere
congiun-tamente alla raccolta, alla valutazione e all’utilizzo di informazioni
sui Paesi d’origine, nonché a far fronte alle particolari sollecitazioni cui
sono sot-toposti i regimi d’asilo e le capacità di accoglienza. Istituita la
procedura co-mune in materia di asilo, le strutture dovrebbero trasformarsi in
un Ufficio europeo incaricato di fornire sostegno a tutte le forme di
cooperazione tra gli Stati membri attinenti al regime euro-peo comune in materia
di asilo.
controllo delle frontiere
Soppressione dei controlli alle
frontie-re interne, progressiva instaurazione del sistema integrato di gestione
delle frontiere esterne, con rafforzamento dei controlli e della sorveglianza,
sono azioni di importanza fondamentale se-condo il Consiglio europeo che
sottoli-nea la necessità di solidarietà ed equa ripartizione delle
responsabilità tra gli Stati membri. I capi di Stato e di gover-no dell’Ue
plaudono all’istituzione dal 1° maggio 2005 dell’Agenzia europea per la
gestione della cooperazione ope-rativa alle frontiere esterne e chiedono alla
Commissione di presentare una valutazione dell’Agenzia entro il 2007.
Ricordando come il controllo e la sor-veglianza delle frontiere esterne
spet-tino alle autorità di frontiera nazionali, il Consiglio europeo sollecita
tuttavia l’istituzione di squadre di esperti na-zionali in grado di fornire
una rapida assistenza tecnica e operativa agli Stati membri che lo richiedono,
operando nell’ambito dell’Agenzia. Entro il 2006, poi, dovrebbe essere
istituito un Fon-do comunitario per la gestione delle frontiere.
rimpatri e riammissioni
Secondo il Consiglio europeo «i
mi-granti che non hanno o che hanno per-so il diritto di soggiornare legalmente
nell’Ue devono rimpatriare su base volontaria, o se necessario, obbliga-toria».
A questo fine viene sollecitata l’istituzione di un’efficace politica in
materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni, «perché le
persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro
di-ritti e della loro dignità». Così, nel 2005 sarà avviato un dibattito
sulle norme minime per le procedure di rimpatrio, tra cui norme per sostenere
gli sforzi nazionali in materia di allontanamen-to. «È necessario un
approccio coerente tra la politica in materia di rimpatrio e tutti gli altri
aspetti delle relazioni esterne della Comunità con i Paesi ter-zi»,
dichiara il Consiglio europeo che chiede: maggiori cooperazione e assi-stenza
tecnica reciproca; l’avvio della fase preparatoria di un Fondo europeo per i
rimpatri; programmi comuni in-tegrati specifici di rimpatrio nazionali e
regionali; l’istituzione di un Fondo europeo per i rimpatri entro il 2007; la
conclusione degli accordi comunitari di riammissione; la nomina da parte della
Commissione di un rappresen-tante speciale per la politica comune in materia di
riammissione.
Paesi d’origine e di transito
Dato il carattere internazionale delle
migrazioni e dell’asilo, il Programma dell’Aia dà poi molta importanza alla
dimensione esterna prevedendo una serie di misure da adottare nei con-fronti dei
Paesi d’origine e di transito dei flussi migratori. Così, si legge nel
Programma, «la politica dell’Ue dovrebbe mirare ad assistere, nel
con-testo di un pieno partenariato, i Paesi terzi, utilizzando ove opportuno
risor-se comunitarie esistenti, negli sforzi che compiono per migliorare la loro
capacità di gestione della migrazione e di protezione dei rifugiati, prevenire
e contrastare l’immigrazione clande-stina, informare circa canali legali di
migrazione, risolvere le situazioni dei rifugiati offrendo un migliore acces-so
a soluzioni durature, creare una capacità di controllo delle frontiere,
aumentare la sicurezza dei documenti e affrontare il problema del rimpatrio».
Le politiche che collegano migrazione, cooperazione allo sviluppo e assisten-za
umanitaria, sostiene il Consiglio europeo, dovrebbero essere coerenti e
andrebbero sviluppate nell’ambito di un partenariato e di un dialogo con i
Paesi e le regioni di origine. Il Consiglio europeo invita dunque a sviluppare
tali politiche, ponendo l’accento sulle radici dei problemi, sui fattori di
spinta e sulla riduzione della povertà, e chiede alla Commissione di presentare
proposte concrete entro la primavera del 2005. Per quanto con-cerne poi i Paesi
di transito dei flussi migratori, soprattutto quelli limitrofi e quelli intorno
al bacino del Mediter-raneo, è previsto un sostegno dell’Ue allo sviluppo di
capacità in materia di regimi nazionali di asilo, controlli alle frontiere e
cooperazione ampliata su questioni di migrazione per i Paesi che mostrano
impegno a ottemperare agli obblighi sanciti dalla Convenzione di Ginevra sui
rifugiati.
Box
APPELLO
CONTRO I “CAMPI” ALLE FRONTIERE DELL’UE
Le maggiori organizzazioni
europee impegnate per la difesa dei diritti di migranti e profughi hanno
lanciato, lo scorso ottobre, un appello contro la proposta avanzata da alcuni
governi europei di istituire centri di accoglienza al di fuori dell’Ue dove
trattene-re i migranti che intendono recarsi nell’Unione europea. L’appello,
che pubblichiamo di seguito, è stato sottoscritto in pochi giorni da oltre 150
associazioni e organizzazioni di tutta Europa, da centinaia di cittadini e da
molti parlamentari nazionali ed europei.
«L’idea di creare dei centri
di elaborazione delle richieste di asilo al di là delle frontiere - rifacendosi
al Vertice europeo di Tessalonica del 2003 - sembra avere fatto un gran-de passo
in avanti durante la riunione dei ministri degli Interni dell’Ue del 1°
ottobre scorso. Con il nome più tranquillizzante di “portali
dell’immigrazione” o di “centri di assistenza” si tratterebbe, in
effetti, di creare nei Paesi contigui dell’Unione europea dei campi, in cui
sarebbero depositati, addirittura rinviati tutti gli stranieri che tentano di
accedere al territorio europeo, chiedendo asilo o per altri motivi, per cercarvi
una protezione o una vita migliore. A tale scopo sembra ormai acquisito il
principio dello sblocco di crediti importanti. Secondo le dichiarazioni dei
dirigenti dell’Ue, l’esterna-lizzazione delle procedure di asilo e
d’immigrazione risponderebbe a una preoccupa-zione “umanitaria”: per
salvare la vita di coloro che, settimana dopo settimana, tentano di raggiungere
le coste europee sarebbe sufficiente rinchiuderli in campi dall’altro lato del
Mediterraneo. Se tale proposta dovesse essere concretizzata, essa
rappresenterebbe un regresso senza precedenti per il modo in cui l’Europa
intende assumersi le sue re-sponsabilità nei confronti delle popolazioni che
fuggono via dai conflitti, dalle violazio-ni dei diritti dell’uomo e dalla
povertà. Tale proposta sarebbe il prolungamento di una logica cinica, che lungi
dal tener conto delle cause di tali migrazioni per apportarvi delle risposte,
cerca ormai, da dieci anni a questa parte, soltanto di proteggere l’Europa
dalle vittime dei disordini mondiali, con il rischio di vedere risorgere come
negli anni Trenta o durante la guerra della Bosnia dei campi di rifugiati di
sinistra memoria.
L’Europa che vogliamo non può
liberarsi dalla responsabilità cui è soggetta in virtù degli impegni
internazionali che essa ha ratificato (Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, Convenzione di Ginevra, Convenzione europea dei diritti
dell’uomo). L’Eu-ropa che vogliamo, deve mettere fine alla deriva insensata,
in cui essa è invischiata nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Non
vogliamo dei campi alle frontiere dell’Europa. Chiediamo ai fautori di questa
idea di rinunciarvi e agli altri capi di Stato di opporvisi con la più grande
fermezza».
INFORMAZIONI: per aderire
all’appello inviare una mail all’indirizzo:
no-camps@migreurop.org
diritti
umani
Amnesty
critica il Programma dell’Aia
L’Unione
attraverso europea deve essere al-l’altezza della propria ambizione di
promuovere i diritti umani politiche efficaci, che risultino coerenti e siano
sostenute da adeguate ri-sorse: questo il senso della lettera aperta diffusa da
Amnesty International il 2 no-vembre scorso, alla vigilia del Consiglio europeo.
Amnesty svolge una riflessione critica sui contenuti del Programma dell’Aia,
manifestando preoccupazione: «per il fatto che, nonostante le intenzio-ni e
gli appropriati riferimenti ai diritti fondamentali, il Programma dell’Aia
ri-manga ancora pieno di indeterminatezza sul modo in cui l’Ue sarà
all’altezza della propria ambizione. Il Programma manca di coerenza laddove
descrive le strutture e gli strumenti necessari per garantire i diritti
fondamentali e non prevede risorse adeguate».
I punti del Programma maggiormente
criticati da Amnesty sono i seguenti:
• proposta di un’agenzia dell’Ue
sui diritti umani: non dimostra la reale vo-lontà degli Stati membri di
affrontare la situazione dei diritti umani al loro interno. La fiducia nella
determinazione dell’Ue di proteggere i diritti fondamen-tali non è
propriamente rafforzata dal suggerimento della Commissione che l’agenzia sia
una «struttura leggera in termini di staff e di bilancio»;
• garanzie comuni in tema di
proce-dimenti penali: il Programma dell’Aia non prevede sufficiente
bilanciamento tra la necessità di combattere il crimine in modo efficace e
quella di proteggere i diritti fondamentali delle persone;
• sistema comune di asilo: pur
apprez-zando l’impegno per giungere a una procedura comune, Amnesty sottolinea
che il sistema comune si baserà su un basso livello di condivisione; sollecita
dunque gli Stati membri a modificare la direttiva sulle procedure di asilo in
modo da assicurare il rispetto delle ga-ranzie basilari;
• dimensione esterna di asilo e
immigra-zione: il Programma dell’Aia segna un decisivo mutamento
nell’intento dell’Ue di portare la lotta contro l’“immigrazione
illegale” nel contesto delle relazioni ester-ne. La partnership con i Paesi
terzi sembra essere diventata il principale riferimen-to degli sforzi per
impedire l’ingresso nell’Ue. Tuttavia, come si è visto nelle recenti
discussioni sui “centri” nei Paesi confinanti, vi sono ancora molti aspetti
da risolvere riguardo alla dichiarata ambizio-ne dell’Ue di controllare
l’immigrazione, fornire assistenza umanitaria e sostenere il capacity
building. La lettera aperta mette in evidenza che le condizioni per la
coope-razione dei Paesi terzi sono state ammor-bidite, con il cambio della
formulazione da «seguire gli obblighi della Convenzione di Ginevra» a
«dimostrare il sincero impe-gno a seguire gli obblighi».
Amnesty aveva già rivolto all’Ue una
serie di raccomandazioni, evidenziando alcune palesi contraddizioni
nell’appli-cazione dell’agenda europea su Giustizia e Affari interni:
• mentre l’Ue cerca di rafforzare
il con-trollo giudiziario e democratico, au-mentano le iniziative
intergovernative che sfuggono a tale controllo;
• c’è un chiaro conflitto tra le
politiche in materia di asilo e immigrazione e la po-litica estera: i Paesi
terzi vengono spinti a cooperare per combattere l’immigra-zione illegale in un
modo che rischia di compromettere gli obblighi dell’Ue per la protezione dei
rifugiati;
• nonostante i ripetuti impegni a
promuo-vere un approccio “bilanciato” per gestire l’immigrazione legale
mentre si contrasta quella illegale, tutta l’enfasi sembra essere posta su
misure di tipo difensivo, con poca attenzione verso le cause profonde e la
necessità di combattere lo sfruttamento nel lavoro;
• il principio del “mutuo
riconoscimen-to”, che è alla base di iniziative quali il Mandato di arresto
europeo, non ri-conosce le differenze negli standard di giustizia tra i Paesi
dell’Ue.
INFORMAZIONI:
www.amnesty.it;
www.amnesty-eu.org
droghe
nell’Ue
il
consumo di droghe in Europa
Dopo
molti anni di continuo aumento, l’andamento dei decessi dovuti all’uso di
sostanze stupefacenti ha cominciato a segnare un declino: il consumo di eroina
si è stabilizzato in molti Paesi e, in alcuni dei nuovi Stati membri dell’Ue,
l’epi-demia di Hiv/Aids tra i consumatori di stupefacenti per via parenterale
sta rallentando. Nel contempo, si stanno intensificando le misure per ridurre i
danni provocati dalle sostanze stupe-facenti: in buona parte dell’Europa, i
consumatori di stupefacenti hanno ora un accesso migliore alle terapie e
all’assistenza». Inizia
sottolineando i segnali di progresso il commento che il direttore dell’Agenzia
europea delle droghe (Oedt-Emcdda), Geor-ges Estievenart, ha fatto in occasione
della presentazione della Relazione annuale 2004 svoltasi lo scorso 25 novembre.
Secondo i dati più recenti raccolti dall’Agenzia, infatti, alcune delle
conseguenze peggiori del con-sumo di stupefacenti in Europa si stanno riducendo.
Tuttavia, aggiunge Estievenart, c’è il rischio che alcune di queste tendenze
positive siano di breve durata: «Non mancano concrete preoccupazioni per il
possibile svilup-po di potenziali epidemie collegate alla droga, soprattutto in
alcuni dei nuovi Stati membri dell’Unione euro-pea. Non dobbiamo neanche
dimenti-care che il consumo di stupefacenti, in generale, resta a livelli
storicamente elevati. Molti Paesi segnalano un con-sumo crescente di cocaina,
aumenta-no le persone che fanno uso di canna-bis ed ecstasy in alcuni Paesi
d’Europa, anche se in questo caso il quadro è più variegato».
forte consumo di cannabis
La cannabis resta la droga illecita di
consumo più comune nell’Ue, con cir-ca un adulto su cinque (20%) che l’ha
provata almeno una volta nel corso della sua vita. La prevalenza della can-nabis
è però generalmente massima tra i giovani (15-34 anni), con percen-tuali di
consumo che vanno dal 15% in Estonia, Portogallo e Svezia al 35% e più in
Danimarca, Spagna, Francia e Regno Unito. Dal 5% al 20% dei giova-ni europei ha
fatto uso di questa droga negli ultimi 12 mesi.
Tra gli studenti di 15-16 anni, circa
il 10% ha provato la cannabis in Grecia, Finlandia, Svezia, Norvegia e Malta,
percentuale che sale al 30% e più in Repubblica Ceca, Spagna, Francia e Regno
Unito. Così, mentre la maggior parte delle persone che consuma can-nabis
nell’Ue ne fa uso occasionale e per periodi limitati di tempo, circa il 15%
degli studenti di 15-16 anni che l’hanno usata nell’ultimo anno sono
“forti” consumatori, cioè fumano can-nabis 40 volte o più all’anno. La
pro-babilità che i giovani studenti di sesso maschile siano “consumatori
pesanti” è doppia rispetto a quella delle studen-tesse. Tra i maschi la
percentuale dei “consumatori pesanti” va dall’1% in Lettonia, Lituania,
Malta, Finlandia e Svezia al 5-10% in Belgio, Germania, Spagna, Francia,
Irlanda, Slovenia e Regno Unito, a fronte di una forbice percentuale tra lo zero
e il 4,6% per le studentesse.
Per quanto riguarda l’andamento del
consumo di cannabis, il quadro è nell’insieme piuttosto variegato, ma i dati
disponibili fanno pensare che il numero dei giovani consumatori di cannabis
negli ultimi 2-4 anni si sia stabilizzato nei Paesi Bassi, in Finlan-dia, Svezia
e Norvegia, pur restando a livelli storicamente elevati.
ecstasy al secondo posto
Secondo la Relazione 2004
dell’Agen-zia, in alcuni Paesi dell’Ue l’ecstasy sta raggiungendo o
sorpassando le anfetamine come droga più consu-mata in Europa dopo la cannabis:
è quanto avviene in Repubblica Ceca, Germania, Irlanda, Paesi Bassi,
Por-togallo e Regno Unito. Complessi-vamente, i dati disponibili mostrano che
l’andamento in Europa del con-sumo recente di ecstasy è in continuo aumento,
mentre l’andamento del consumo recente di anfetamine è più variegato nella
maggioranza dei Paesi. In generale, tra gli adulti (15-64 anni) ha provato
l’ecstasy almeno una volta nella vita una percentuale che varia tra lo 0,5% e
il 7%, mentre per le anfetamine il tasso è dello 0,5-6% tranne che nel Regno
Unito dove sale addirittura al 12%.
Se si considerano invece i giovani
d’età compresa tra 15 e 34 anni, circa due terzi degli Stati membri dell’Ue
segnalano che il consumo di ecstasy è più frequente di quello delle
anfe-tamine. In Repubblica Ceca, Spagna, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi e Regno
Unito una percentuale compresa tra il 5% ed il 13% dei giovani di sesso maschile
della fascia d’età 15-24 anni, segnala di avere consumato ecstasy nell’anno
precedente. Complessiva-mente, comunque, le percentuali del consumo di ecstasy
ed anfetamine nelle indagini condotte a livello sco-lastico (15-16 anni)
sembrano essere più stabili, o anche in lieve calo in alcuni Paesi.
È
piuttosto raro, invece, che il con-sumo di sostanze stimolanti del tipo delle
anfetamine (Ats) sia la ragione primaria per la quale si chiede di en-trare in
terapia, con alcune eccezioni: il 52% dei pazienti in trattamento nella
Repubblica Ceca, il 35,3% in Finlandia e il 29% in Svezia segnalano le Ats come
ragione primaria per la quale hanno chiesto il trattamento.
Nonostante
in Asia e negli Stati Uniti si registrino problemi crescenti le-gati al consumo
di metanfetamine, nell’Ue un consumo significativo di questa droga sembra
essere limitato alla Repubblica Ceca, dove le metan-fetamine vengono prodotte
dagli anni Ottanta. Alcune indagini alimente-rebbero tuttavia il timore che
queste sostanze stiano guadagnando terreno in altri Paesi d’Europa. Per quanto
riguarda la produzione di ecstasy, invece, l’Europa resta una delle aree più
importanti del mondo, anche se tale produzione è in aumento nel Nord America e
in Asia. In una certa misura, la produzione avviene in vari Paesi europei, ma il
Belgio e i Paesi Bassi restano le aree in cui è più si-gnificativa.
cresce
il consumo di cocaina
Nell’ultimo anno è aumentato il
con-sumo di cocaina tra i giovani europei (15-34 anni) soprattutto in Dani-marca,
Germania, Spagna e Regno Unito, nonché localmente in Grecia, Irlanda, Italia e
Austria. In generale, una percentuale compresa tra l’1% e il 10% dei giovani
segnala di aver fatto uso di cocaina a un certo punto della vita, e circa la metà
ne ha fatto uso recentemente. Tra gli adulti (15-64 anni) il consumo recente
riguarda meno dell’1%, mentre in Spagna e nel Regno Unito i valori sono
su-periori al 2% e si avvicinano al dato degli Stati Uniti. Nelle aree urbane e
in sottogruppi specifici i livelli del consumo possono essere molto su-periori:
da alcune indagini condotte nelle discoteche è emerso un tasso di prevalenza
pari al 40-60% nel corso della vita.
I decessi attribuiti alla sola cocaina
restano rari in Europa, ma rischia-no di aumentare. Nel 1994 nei Paesi Bassi
venivano attribuiti alla cocaina solo due decessi, mentre nel 2001 questo dato
era salito a 26; nel Regno Unito, i riferimenti alla cocaina sui certificati di
morte sono aumentati tra il 1993 e il 2001 (anche se questi decessi restano di
gran lunga inferio-ri a quelli correlati all’uso di oppia-cei). I dati
tossicologici dimostrano che, in alcuni Paesi, si riscontra la presenza di
cocaina mescolata con oppiacei in un’elevata percentuale dei decessi per droga
(il 46% in Spa-gna e il 22% in Portogallo).
L’Agenzia europea segnala però che
un numero crescente di cittadini europei chiede di entrare in tratta-mento per
problemi correlati al con-sumo di cocaina. Nei Paesi Bassi e in Spagna, la
cocaina è ora la seconda sostanza stupefacente, dopo l’eroi-na, a essere più
frequentemente segnalata nei centri terapeutici spe-cialistici, dove rappresenta
rispetti-vamente oltre un terzo (35%) e un quarto (26%) di tutte le richieste di
trattamento. Nella maggior parte dei Paesi, l’intervento terapeutico viene
richiesto per il consumo di cocaina in polvere piuttosto che per la cocai-na
crack “fumata”, ma aumentano le preoccupazioni per il consumo di crack in
alcune città della Germania, della Spagna, della Francia, dei Paesi Bassi e del
Regno Unito.
cambia il consumo problematico
Meno dell’1% della popolazione
eu-ropea in età adulta (15-64 anni) rien-tra nella definizione di consumatori
problematici di stupefacenti, per un totale variabile da 1,2 a 2,1 milioni di
consumatori problematici nel-l’Ue allargata. Le stime più elevate sono
segnalate da Danimarca, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Regno Unito (6-10 casi
ogni 1000 adulti), le più basse da Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia e
Finlandia (meno del 4‰). Nella fascia medio-bassa si tro-vano la Repubblica
Ceca (4,9‰) e la Slovenia (5,3‰). I dati indicano un aumento del consumo
problematico di stupefacenti a partire dagli anni Novanta in Belgio, Danimarca,
Ger-mania, Italia, Lussemburgo, Finlan-dia, Regno Unito e Norvegia, mentre in
Estonia gli indicatori registrano “forti aumenti”.
Secondo l’Agenzia europea, i modelli
di consumo problematico di stupefa-centi continuano ad evolvere. Così, in
alcuni Paesi dove i consumatori problematici erano tradizionalmen-te oppiomani
cronici, oggi si trovano in misura crescente poliassuntori o consumatori di
sostanze stimolanti.
Il consumo di eroina è relativamente
stabile in molti Paesi dell’Ue e il numero dei nuovi consumatori, a partire
dagli anni Novanta, è dimi-nuito, anche se si hanno dati anco-ra limitati sui
nuovi Stati membri. Meno della metà dei consumatori europei di oppiacei da poco
in trat-tamento segnala di farne uso per via parenterale, ma in Repubblica Ceca,
Slovenia e Finlandia tale modalità di assunzione è segnalata con maggio-re
frequenza, mentre in Germania, Irlanda, Finlandia e nei nuovi Stati membri i
dati sembrano dimostrare addirittura un incremento. L’Agen-zia stima tra
850.000 e 1,3 milioni il numero di persone che fa corrente-mente uso di eroina
per via parente-rale nell’Ue.
Destano preoccupazione alcune
segnalazioni di traffico di fentanil (un oppiaceo di sintesi fino a 100
volte più potente dell’eroina), con sequestri segnalati in Russia e nei Paesi
baltici e apparizioni sui merca-ti delle droghe in Estonia, Finlandia e Svezia.
Un’evoluzione positiva si registra
in-vece nel numero di decessi per dro-ghe, diminuiti del 6% circa tra il 2000
(8838) e il 2001 (8306). Ciò è proba-bilmente dovuto alla contrazione del
consumo per via parenterale in alcuni Paesi e all’aumentato accesso alle
terapie sostitutive e ai servizi di prevenzione (interventi tra pari in casi di
emergenze per droga, mate-riale informativo sui rischi di over-dose). La
tendenza positiva può però essere invertita, ammonisce l’Agen-zia, perché
alcuni segnali indicano un possibile aumento dei decessi per droghe nei nuovi
Stati membri dell’Ue. In alcuni di questi Paesi, inoltre, si assiste al
diffondersi del-l’epidemia da Hiv/Aids tra i consu-matori di droghe per via
parenterale, soprattutto in Estonia, Lettonia, Po-lonia e nei confinanti Paesi
extra-Ue Russia e Ucraina.
INFORMAZIONI:
http://annualreport.emcdda.eu.int
Box
ALTRI
PUNTI SALIENTI DEL RAPPORTO 2004
trattamento:
dalla metà degli anni Novanta si è registrato un incremento di tutte le
tipologie di trattamento per tossicodipendenze. Nell’Ue la terapia sostitutiva
è di-ventata la forma più comunemente disponibile per gli oppiomani. Mentre
nel 1999 figuravano in terapia sostitutiva circa 320.000 individui nell’Ue a
15 Stati, nel 2003 il dato era salito ad oltre 410.000. Tuttavia, in alcuni
Paesi, specie tra i nuovi Stati membri, la domanda continua a essere
complessivamente superiore all’offerta.
prevenzione:
sta migliorando in alcuni Paesi dell’Ue grazie a migliori controlli di qualità
e ad una migliore attività di monitoraggio. Complessivamente, però,
l’attivi-tà di prevenzione resta debole e si avverte l’esigenza di
investire di più nei program-mi. Ciò vale in particolare per la “prevenzione
selettiva”, che si rivolge ai soggetti più vulnerabili e che, in molti Paesi,
resta poco sviluppata.
locali
per consumo: i locali dedicati al consumo di stupefacenti, dove i consumatori
problematici possono assumere droghe in condizioni igieniche vigilate, esistono
in 39 città di tre Paesi dell’Ue (Spagna, Germania e Paesi Bassi) oltre che
in Svizzera. Sembra comprovato che questi locali possano aiutare veramente i
gruppi difficili da raggiungere, consentendo l’accesso a un’assistenza
sanitaria primaria e a ser-vizi sociali e terapeutici, nonché riducendo i
rischi per la salute, come l’overdose. Ciononostante, la loro istituzione
resta oggetto di controversia e la loro legittimità è stata messa in
discussione.
carcere:
il consumo di sostanze stupefacenti in carcere varia considerevolmente nell’Ue.
Una percentuale della popolazione carceraria compresa tra l’8% e il 60%
segnala di aver fatto uso di droghe durante la detenzione, mentre una
percentuale compresa tra il 10% e il 36% segnala un uso recente. Variazioni
analoghe si riscon-trano tra chi fa uso di droghe per via parenterale, prassi
segnalata da una percen-tuale che varia dallo 0,2% al 34% della popolazione
carceraria, a seconda dei peni-tenziari. La terapia sostitutiva è disponibile
in tutte le carceri in Belgio, Danimarca, Spagna, Austria e Slovenia.
reati:
in Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Ungheria, Polonia e Slovenia i reati
se-gnalati contro la legislazione in materia di stupefacenti sono più che
raddoppiati tra il 1997 e il 2002. Nel 2002, tuttavia, i reati riconducibili
alla droga in Estonia, Irlanda, Italia, Lettonia, Portogallo, Finlandia e
Slovenia sono diminuiti. Nella maggior parte degli Stati membri dell’Ue la
cannabis è la droga maggiormente coinvolta nei reati, anche se in Lituania e
Lussemburgo appare con maggior frequenza l’eroina.
salute
e sicurezza
accordo
europeo sullo stress da lavoro
Lo
si stress è uno stato che si accom-pagna a malessere e disfunzioni fisiche,
psicologiche o sociali e che manifesta quando le persone non si sentono
all’altezza delle richieste o del-le attese nei loro confronti. Non è una
malattia, ma un’esposizione prolungata può ridurre l’efficienza sul lavoro
e cau-sare problemi di salute. Una condizione di stress può derivare sia da
fattori esterni all’ambiente di lavoro sia dalle condizioni del lavoro stesso,
creando conseguenze negative per i lavoratori e per le aziende. Sui luoghi di
lavoro lo stress può essere causato dal contenuto e dall’organizzazio-ne del
lavoro, dall’ambiente, da una scarsa comunicazione e i sintomi possono essere
assenteismo, elevata rotazione del perso-nale, conflitti interpersonali o
lamentele frequenti da parte dei lavoratori.
Per migliorare la consapevolezza e la
comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei
lavoratori e dei loro rappresentanti, e per offrire un modello che consenta di
individuare e di prevenire o gestire i problemi di stress da lavoro, lo scorso
ottobre è stato siglato un Accordo europeo tra le quattro maggiori
organizzazioni europee rappresentative delle parti sociali. I contenuti
dell’Ac-cordo non saranno attuati mediante uno strumento legislativo europeo
(direttiva), ma volontariamente dai membri della Confederazione europea dei
sindacati (Ces), dell’Unione delle confederazioni industriali d’Europa (Unice),
dell’Unione europea dell’artigianato e delle Piccole e medie imprese (Ueapme)
e del Centro europeo delle imprese pubbliche e delle imprese di interesse
economico generale (Ceep). Questo Accordo sarà attuato nei prossimi tre anni e
intende offrire un modello che consenta di individuare e di prevenire o gestire
i problemi di stress da lavoro; i principi generali in esso con-tenuti dovranno
essere trasferiti nella contrattazione.
Data
la complessità del fenomeno, l’Ac-cordo non intende fornire una lista
esau-stiva dei potenziali indicatori di stress, ma sottolinea come
l’individuazione di un problema di stress da lavoro può avve-nire attraverso
un’analisi di fattori quali: l’organizzazione e i processi di lavoro
(pia-nificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di
coincidenza tra esi-genze del lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori,
carico di lavoro ecc.); le condizioni e l’ambiente di lavoro (espo-sizione a
un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose ecc.); la
comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospet-tive
di occupazione, un futuro cambia-mento ecc.); fattori soggettivi (pressioni
emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione,
percezione di una mancanza di aiuto ecc.).
Quando il problema di stress da lavoro
è identificato, recita l’Accordo, la respon-sabilità di stabilire le misure
adeguate da adottare spetta al datore di lavoro, ma queste vanno attuate con la
partecipazio-ne e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.
L’Accordo individua quindi alcune
misure anti-stress, che andrebbero co-stantemente riesaminate per valutarne
l’efficacia:
• misure di gestione e di
comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun
lavoratore, di assicu-rare un sostegno adeguato da parte della direzione ai
singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabi-lità e
controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le
condizioni e l’ambiente di lavoro;
• la formazione dei dirigenti e dei
lavora-tori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei
confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo,
e/o per adattarsi al cambiamento;
• l’informazione e la consultazione
dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione
europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi.
INFORMAZIONI: il testo
dell’Accordo è disponibile presso la redazione
Congresso
mondiale Icftu
le
sfide per il sindacato nella
globalizzazione
Le
spesso organizzazioni sindacali di tutto il mondo si trovano ad affrontare sfide
senza precedenti e vengono sottoposte a notevoli pressioni. Dal momento che
molte di queste sfide sono ge-nerate a livello internazionale, la necessità di
un pensiero chiaro e di un’azione deci-siva sul futuro del movimento sindacale
internazionale è più imperativa che mai. Le questioni che ci troviamo ad
affrontare sono così serie da imporci di prendere decisioni che non possono e
non devono più essere rimandate».
Inizia così l’intro-duzione della risoluzione approvata dal 18° Congresso
Mondiale della Confedera-zione Internazionale dei Sindacati Liberi (Icftu),
svoltosi a Miyazaki (Giappone) dal 5 al 10 dicembre 2004. Si è trattato di un
Congresso molto importante per il movi-mento sindacale mondiale, perché ha
av-viato un processo che dovrebbe condurre all’unificazione tra l’Icftu
stessa e la Con-federazione Mondiale del Lavoro (Cml - o anche World
Confederation of Labour - Wcl). «Noi possiamo continuare ad avere
fiducia nei nostri principi e nella nostra visione di un mondo ove vi sia
giustizia sociale - si legge nella risoluzione del Con-gresso - Tuttavia,
trasformare tutto questo in realtà implica che noi tutti, nel portare avanti il
compito di reingegnerizzare il movimento sindacale internazionale, dob-biamo
seguire la stessa visione, forti della stessa convinzione». Per queste
ragioni, sostiene l’Icftu, devono essere esaminati i passi concreti che il
movimento sinda-cale internazionale deve compiere per globalizzare efficacemente
la solidarietà: «Un internazionalismo sindacale diverso è possibile. La
globalizzazione lo rende urgentemente necessario».
che fare
Mentre nei precedenti Congressi
mon-diali dell’Icftu erano stati analizzati gli effetti della globalizzazione
sui sindacati e sul mondo del lavoro, nel Congresso di Miyazaki il dibattito si
è spostato su ciò che i sindacati possono fare nei confronti della
globalizzazione e in che modo. Tre le considerazioni di fondo nel dibattito:
• Costruire un internazionalismo
sin-dacale efficace è di centrale importanza per il futuro del movimento dei
lavo-ratori. Globalizzare la solidarietà è una sfida permanente e cruciale per
tutti gli iscritti ai sindacati.
• Cambiare la globalizzazione deve
rientrare in questa sfida. Gli interessi dei lavoratori non riusciranno a
prevalere senza cambiamenti fondamentali nelle attività dell’economia
globale. I sinda-cati mondiali hanno la responsabilità specifica di costruire,
con altri, un pro-getto politico che offra soluzioni per una basilare e
progressiva trasformazione sociale a beneficio dei lavoratori.
• Un più forte internazionalismo
sinda-cale dipende totalmente dall’impegno e dal coinvolgimento dei sindacati
a livello nazionale. Globalizzazione signi-fica che le agende sindacali
nazionali e internazionali stanno convergendo. Per la maggior parte dei
sindacati, tuttavia, il lavoro internazionale rimane separato dalle priorità
quotidiane dell’agenda locale e nazionale. Tale divario va eli-minato in modo
che l’internazionali-smo diventi un’estensione dell’agenda sindacale
nazionale. Il movimento internazionale deve quindi essere uno strumento di
organizzazione e deve te-nere conto di questo imperativo in ogni iniziativa
intrapresa.
Secondo l’Icftu, infatti, «fino a
che l’inter-nazionalismo sindacale non si radicherà fermamente nei movimenti
sindacali, a livello locale e nazionale, e non sarà con-siderato da questi come
un elemento che può andare incontro alle loro necessità, vi saranno poche
possibilità di sviluppa-re lo strumento della solidarietà globale che esso
deve diventare».
alleanze possibili
Negli ultimi anni, ricorda l’Icftu,
le po-sizioni prese dal movimento sindacale sul tipo di globalizzazione in atto
sono state criticate sia dai fautori della globa-lizzazione, che considerano i
sindacati oppositori reazionari e interessati del progresso, sia dai suoi
detrattori, molti dei quali vedono i sindacati fatalmente compromessi con i
“grandi globalizza-tori”. L’Icftu considera errate entrambe le opinioni e
afferma il suo impegno a indirizzare la globalizzazione su percor-si che siano
vantaggiosi per i lavoratori e che vadano incontro alle più ampie questioni
sociali e politiche. Questo può comportare compromessi e accordi difficili e
anche controversie interne ma, sottolinea l’organizzazione internazio-nale, «non
dovremmo avere complessi a questo riguardo né, tanto meno, com-promettere la
nostra identità sindacale nel momento in cui ci impegniamo con altri nel
compito di cambiare la globa-lizzazione».
Attualmente, sostiene l’Icftu, i
lavoratori si trovano a fronteggiare «un mercato globale del 21° secolo
operante in un quadro istituzionale che ricorda molto il capitalismo
predemocratico del 19° secolo». In un simile contesto mondiale, le accuse
di difendere un ristretto inte-resse hanno indebolito la capacità del movimento
sindacale di poter operare per il cambiamento. I movimenti
“an-tiglobalizzazione” hanno così cercato di occupare gli spazi che le più
tradizionali forme di azione politica e dei sindacati non sono state in grado di
riempire. Il movimento sindacale mondiale ha quindi intrapreso un dialogo con
questi movimenti e le molte difficoltà incon-trate sono state superate dai
vantaggi derivanti dall’aver costruito partenariati dove possibile. Il tipo di
“democrazia partecipativa” che il Forum sociale mondiale personifica,
sostiene l’Icftu, «non può sostituire la democrazia rap-presentativa dei
partiti e dei sindacati, ma ne può costituire un complemento». Per questo
l’Icftu sostiene la necessità di un’alleanza a tre tra sindacati, partiti
po-litici di orientamento simile e organizza-zioni della società civile, per
formulare e attuare un significativo progetto politico sulla globalizzazione.
nuove forme di azione
Una questione di fondamentale
im-portanza per il movimento sindacale globale è come affrontare le realtà
della delocalizzazione internazionale del lavoro. La portata di questo problema
è materia di dibattito e sta avendo un impatto senza eguali sui sindacati. Ogni
giorno, i sindacati si confrontano con le dolorose conseguenze per i lavoratori
dovute all’instabile divisione interna-zionale del lavoro e inevitabilmente
dovranno continuare a farlo. «La difesa dei diritti sindacali è il
fondamento del nostro lavoro - afferma l’Icftu - unita-mente
all’impegno comune per la parità di genere, alla nostra determinazione nel
combattere tutte le forme di discri-minazione e alla nostra dedizione nel
combattere per i diritti fondamentali e per la stessa democrazia. (…) Senza
que-sta agenda per l’applicazione universale dei diritti fondamentali dei
lavoratori, il rischio di vedere i sindacati uno contro l’altro per le
pressioni della competitività dell’economia globale sarebbe stato mol-to più
grande». Tuttavia, questa agenda non è una risposta sufficiente e, ricorda
l’Icftu, negli ultimi anni non si sono veri-ficati progressi significativi
nell’applica-zione globale dei diritti dei lavoratori. E’ dunque necessario
affrontare il governo della globalizzazione: «Lavorare per col-locare gli
interessi sociali al centro delle politiche internazionali sull’economia, la
finanza e il commercio dovrebbe es-sere una parte importante di un progetto
politico internazionale per affrontare la globalizzazione».
Nonostante l’ingiustizia e
l’insosteni-bilità dell’economia globale vengano sempre più riconosciute e
contrastate e anche i sindacati si siano attivati per un credibile progetto
politico volto al cambiamento, sostiene l’Icftu «abbiamo ancora bisogno di
impegnarci in nuove forme di azione. Non è il caso di aspet-tare che le
condizioni politiche cambino. Il sindacalismo internazionale deve trovare mezzi
più efficaci per operare e organizzarsi nelle dure condizioni che adesso sono
prevalenti e allo stesso tempo lavorare per provocare un certo “riscal-damento
globale” nel clima politico».
Per tutte queste ragioni, il Congresso
ha avviato un percorso che dovrebbe porta-re nel 2005 alla costituzione di una
nuo-va internazionale sindacale, necessaria «per garantire l’effettiva
rappresentanza dei diritti e degli interessi dei lavoratori nell’economia
globale».
INFORMAZIONI:
http://www.icftu.org/
diritti
umani
Continuano
le gravissime pratiche antisindacali in Colombia, Paese che registra il più
alto numero di lavoratori, sindacalisti e attivisti dei diritti umani uccisi,
sequestrati e scomparsi, tanto che si parla di un vero e proprio “genocidio
sindacale”. Dopo la Confe-renza sindacale internazionale “Sos per il
sindacalismo colombiano”, tenutasi a Bogotà nel settembre scorso per la
promozione e la difesa dei diritti umani (si veda “euronote” n. 32, pag.
14), che ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale sul
“caso” colombiano e ha registrato l’impegno del presidente Alvaro Uribe a
intervenire per porre ri-medio alla situazione, altri due fatti han-no
caratterizzato le ultime settimane evi-denziando come l’emergenza continui.
All’inizio
di ottobre, nella regione di Arauca situata nel nord-est del Paese, è stato
torturato e assassinato il leader sin-dacale Pedro Jaime Mosquera, portando a 49
il numero dei sindacalisti uccisi in Colombia dall’inizio dell’anno (tra cui
9 donne). Il sindacalista era vicepresiden-te della Federazione rappresentativa
di lavoratori agricoli Fensuagro di Arauca ed era conosciuto a livello
internazionale perché aveva rappresentato i sindacati colombiani nel primo
Forum sociale europeo a Firenze nel 2002. I dirigenti della Fensuagro
individuano precise responsabilità delle autorità colombiane su quanto è
accaduto, per questo chiedo-no un aiuto internazionale al fine di fare pressioni
perché siano eseguite indagini corrette e siano assicurati alla giustizia
mandanti ed esecutori dell’omicidio, interrompendo così la totale impunità
di cui hanno goduto finora le organizzazio-ni paramilitari.
Nei giorni 30 e 31 ottobre, poi, il
segreta-rio generale della Orit-Ciosl (organizza-zione regionale interamericana
della Cisl Internazionale), Víctor Báez Mosqueira, è stato prima trattenuto
al suo arrivo all’ae-roporto di Bogotà e quindi espulso dal territorio
colombiano, insieme ad altri 3 dirigenti sindacali internazionali, perché
considerato ospite sgradito dal governo del presidente Uribe. Si è trattato di
una chiara violazione delle Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del
lavoro (Oil, n. 87 e n. 98) e della Costitu-zione colombiana per quanto concerne
il diritto di riunione, di libertà sindacale e di presenza attiva di dirigenti
sindacali internazionali, sottolinea la Federazione sindacale internazionale che
denuncia la natura repressiva e antisindacale del governo colombiano e annuncia
ricorsi a livelli internazionale.
INFORMAZIONI:
http://www.icftu.org/
Box
FILIPPINE:
MASSACRATI LAVORATORI IN SCIOPERO
Il
16 novembre scorso nelle Filippine è stato compiuto un eccidio di lavoratori e
sindacalisti durante uno sciopero, soffocato nel sangue dalle forze
dell’ordine. Il bilancio dell’azione messa in atto congiuntamente da
esercito e polizia è drammatico: 14 persone sono morte, tra cui due bambini di
2 e 5 anni; almeno 35 sono rimaste ferite; 133 sono state arrestate e decine
risultano disperse. I lavoratori dell’azienda “Luisita”, proprietaria di
diversi zuc-cherifici, scioperavano da alcuni giorni contro gli oltre 300
licenziamenti illegali decisi dall’azienda, per la salvaguardia di alcuni
diritti sindacali e per la redistribuzione dei terreni prevista dalla riforma
agraria. La “Luisita” è di proprietà della famiglia Cojuangco, tra le più
potenti del Paese nonché famiglia della ex presidente filippina Corazon
Cojuangco Aquino, che nel 1987 siglò la Riforma agraria tuttora inattuata.
Alcuni
esponenti politici, sindacalisti e attivisti dei diritti umani filippini
sospettano che la violenta soppressione dello sciopero fosse premeditata e che
alcuni provocatori siano stati infiltrati tra le migliaia di scioperanti per
rendere legittima l’azione repressiva antisindacale.
La
Confederazione sindacale delle Filippine (Tucp), affiliata alla Cisl
Internazionale (Icftu), ha rivolto un appello per una protesta internazionale di
massa che condanni gli omicidi, domandando che sia fatta piena luce
sull’accaduto. Chiedono che siano ritirati i licenzia-menti illegali di
centinaia di lavoratori e cessino i crimini e le violazioni contro i lavoratori
della “Luisita”.
INFORMAZIONI:
http://www.labourstart.org/
diritti
umani
Congresso
mondiale contro
la pena di morte
Dal
te, 6 al 9 ottobre 2004 si è tenuto a Montreal (Canada) il II Congresso
mondiale contro la pena di mor-sostenuto dalla Coalizione mondiale contro la
pena di morte e in presenza di abolizionisti provenienti da tutto il mon-do.
L’incontro di Montreal ha permesso di fare il punto sulla situazione mondiale
e, a questo proposito, il Congresso ha manifestato soddisfazione per il fatto
che la maggioranza dei Paesi del mondo abbia abolito la pena di morte (p.d.m.) e
abbia rinunciato da circa 10 anni a procedere con le esecuzioni, nonché per le
recenti abolizioni della pena capitale decise in Turchia, Buthan, Isole Samoa e
Serbia-Montenegro. D’altro canto, però, si è constatata con disappunto la
ripresa delle esecuzioni in Libano, Ciad, Indonesia, India e la reintroduzione
della pena capi-tale in Afghanistan e Iraq. Il Congresso ha quindi dichiarato la
sua disapprovazione per il mantenimento della p.d.m. in 78 Paesi tra cui Cina,
Usa, Arabia Saudita, Iran, Singapore, Guatemala e Cuba, ma-nifestando
inquietudine per il fatto che la lotta al terrorismo si accompagni a un utilizzo
accresciuto della pena capitale. Le condanne a morte eseguite recentemente in
Indonesia e Marocco e annunciate dagli Usa nei processi contro il terrorismo «sono
una prova di debolezza oltre che un errore fondamentale», ha dichiarato il
Congresso associandosi invece alla decisione di Paesi quali Spagna e Turchia
che, benché colpiti da recenti attentati, non hanno considera-to la
reintroduzione della pena capitale.
Inoltre, i partecipanti al Congresso di
Montreal hanno: sottolineato l’impor-tanza di ratificare i trattati
internazionali e regionali che proibiscono la pena capi-tale; evidenziato che il
carattere dissuasi-vo della p.d.m. non è mai stato dimostra-to; denunciato le
discriminazioni razziali, sessuali, economiche e sociali perpetrate e
l’estensione dei casi d’applicazione della p.d.m.; ricordato che le
esecuzioni non potranno rimediare al dolore delle vittime ed espresso
soddisfazione perché sempre più famiglie colpite, specie negli Usa, si
impegnano contro la p.d.m.; sol-lecitato gli Stati ad attuare iniziative per la
presa in carico delle vittime.
principali raccomandazioni
Sottolineando come l’abolizione della
p.d.m. permetta una riflessione sulle pene per i crimini più gravi, secondo
l’obiettivo di punire ma nel contempo lavorare per la riabilitazione, il
Congresso ha adottato quattro raccomandazioni:
• Non dovranno proseguire per alcun
motivo le condanne e le esecuzioni dei minori, come norma imperativa da im-porsi
a tutti gli Stati.
• Tutte le autorità politiche,
giudiziarie, economiche, sportive, mediatiche devo-no mobilitarsi per spingere
le autorità ci-nesi a sospendere immediatamente ogni esecuzione: la
preparazione dei Giochi olimpici di Pechino 2008 crea fin d’ora la possibilità
di esercitare una pressione internazionale intensa e senza remore.
• Occorre creare un ponte di
collabora-zione tra gli abolizionisti americani e la comunità internazionale
per consolidare il progresso avuto in campo giudiziario e allargare il
dibattito.
• Gli Stati abolizionisti non devono
con-cedere l’estradizione verso Paesi in cui si rischi la condanna a morte.
gli appelli
I partecipanti al Congresso hanno
quindi rivolto alcuni importanti appelli:
• Agli abolizionisti di tutto il
mondo per unirsi alla Coalizione mondiale, impe-gnarsi nella Giornata mondiale
contro la p.d.m. ogni 10 ottobre e sostenere le organizzazioni locali e
nazionali.
• Ai parlamentari affinché creino
nelle loro assemblee dei gruppi di informazio-ne e mobilitazione per
l’abolizione.
• Agli avvocati perché si impegnino
mag-giormente nella difesa dei condannati a morte, denunciando le condizioni di
detenzione e le garanzie insufficienti.
• Alla creazione di dinamiche
abolizioni-ste regionali in Africa, Asia, America del Sud e mondo arabo
musulmano attra-verso conferenze e campagne.
• Alle città affinché partecipino
all’ini-ziativa lanciata dalla comunità di S. Egidio che prevede
l’illuminazione di monumenti simbolici il 30 novembre di ogni anno.
• Agli abolizionisti di tutto il
mondo perché prendano parte alla Conferenza in preparazione del III Congresso
mon-diale che si terrà a Istanbul nel giugno 2005.
L’Ue e tutti gli Stati abolizionisti,
tra cui Canada e Turchia, sono inoltre chiamati a sostenere tali iniziative e i
militanti sono invitati a continuare nell’opera di sensi-bilizzazione
dell’opinione pubblica.
INFORMAZIONI:
www.montreal2004.org
Box
I
NUMERI DELLA PENA DI MORTE
Secondo
Amnesty International, nel 2003 almeno 1146 persone sono state uccise tramite
pena capitale in 28 Paesi e almeno 2756 hanno subito una condanna a morte in 63
Paesi. Am-nesty sottolinea come tali dati includano solo i casi ad essa
pervenuti e che, quindi, il numero reale di esecuzioni e condanne è stato
certamente superiore. L’84% delle esecuzioni note nel 2003 ha avuto luogo in
Cina, Iran, Usa e Vietnam. Quelle accertate in Cina da Amnesty sono state 726,
ma secondo alcune autorevoli fonti non ufficiali sarebbero quasi 10.000 le
esecuzio-ni praticate ogni anno nel Paese. Almeno 108 condanne a morte sono
state eseguite in Iran, 65 negli Usa e almeno 64 in Vietnam. Ad oggi sono 118 i
Paesi del mondo che hanno abolito la pena di morte nelle rispettive legislazioni
o nella pratica: 81 Paesi l’hanno abolita per tutti i crimini; 14 Paesi
l’hanno abolita per tutti i crimini tranne quelli commessi in tempo di guerra;
23 Paesi possono essere considerati abolizionisti di fatto, cioè non praticano
esecuzioni da almeno 10 anni. Sono invece 78 i Paesi che mantengono e utilizzano
la pena di morte, anche se il numero di quelli che hanno praticato esecuzioni
nell’ultimo anno è molto inferiore. Am-nesty segnala che, una volta abolita,
raramente la pena capitale è reintrodotta: dei 50 Paesi che dal 1985 l’hanno
abolita, solo 4 l’hanno poi reintrodotta; uno di questi, il Nepal, l’ha poi
nuovamente abolita, le Filippine hanno sospeso le esecuzioni, mentre nei
restanti due (Gam-bia e Papua Nuova Guinea) non si sono registrate esecuzioni.
INFORMAZIONI:
www.amnesty.org
Costituzione: della Lituania la
prima ratifica
I governi di Francia e Spagna hanno
annunciato lo scorso 3 novembre che procederanno alla ratifica della
Costituzione europea entro i primi mesi del 2005. Il premier francese
Jean-Pierre Raffarin ha precisato che la Francia deve attendere l’esito di una
probabile revisione costituzionale, mentre il primo ministro spagnolo José Luis
Zapatero ha annunciato che il testo costituzionale sarà sottoposto alla
valutazione del Tribunale costituzionale prima del referendum. In Danimarca, i
partiti di governo e di opposizione si sono espressi per il “sì” al
referendum di ratifica: l’accordo è stato possibile grazie
all’assicurazione che il Paese avrà diritto di veto sulle materie sociali,
sul mercato del lavoro e sulle imposte. In Austria, invece, il cancelliere
Wolfgang Schüssel, nel timore che la ratifica per via referendaria da parte di
undici Paesi possa portare alla «paralisi della politica europea per 18-20 mesi»,
ribadisce la sua proposta di tenere un referendum unico europeo in un breve
lasso di tempo.
Intanto, la Lituania è stato il primo
Paese membro dell’Ue a ratificare la nuova Costituzione europea, nonostante i
proclami fatti dal premier italiano Berlusconi in occasione della firma del
Trattato a Roma secondo cui l’Italia avrebbe ratificato per prima il testo
costituzionale.
il punto sulla Strategia di
Lisbona
Il gruppo di lavoro europeo di esperti,
guidato dall’ex premier olandese Wim Kok, ha presentato alla Commissione
europea lo scorso 3 novembre un Rapporto sull’attuazione della Strategia di
Lisbona. Tale Rapporto sarà la base di discussione sulla revisione a metà
percorso della Strategia di Lisbona (iniziata nel marzo 2000), che si terrà al
Vertice europeo di primavera nel 2005. Il testo individua cinque priorità su
cui l’Unione si deve concentrare: la ricerca, il mercato interno, il mondo
delle imprese, il mercato del lavoro e un ambiente sostenibile. Secondo il
“gruppo Kok”, per salvare la crescita e l’occupazione europee è
necessario in primo luogo che tutte le istituzioni, sia comunitarie sia
nazionali, collaborino applicando coerentemente, ciascuna nel suo campo, le
indicazioni di Lisbona.
Sulla ricerca, il Rapporto sottolinea
che l’Europa deve trattenere e anche attirare ricercatori di alto livello e
che, entro la fine del 2005, va creato un Consiglio europeo della ricerca. Per
quanto riguarda il mercato interno, il traguardo da raggiungere alla fine del
2005 dovrà essere una legislazione comunitaria che rimuova ogni ostacolo per la
libera circolazione dei servizi. Il Rapporto prosegue sostenendo che da un lato
è necessaria una legislazione che garantisca un clima più favorevole per le
imprese (per quelle presenti sul mercato e per quelle che vorrebbero accedervi)
e dall’altro è indispensabile prestare ascolto alle indicazioni della “task
force Occupazione”. Gli Stati membri devono poi presentare entro il 2005 una
strategia per garantire la formazione dei lavoratori per tutto il corso della
vita ed entro il 2006 una per incentivare il lavoro nella terza età. Rispetto
alla questione ambientale, l’accento è posto sullo sviluppo e la diffusione
delle eco-innovazioni.
accordo Volkswagen
Congelamento dei salari per almeno 28
mesi (fino al 31 gennaio 2007) in cambio della rinuncia a licenziamenti fino al
2012. Questa la sostanza dell’intesa raggiunta il 3 novembre scorso in
Germania tra il sindacato dei metalmeccanici Ig Metall e l’azienda
automobilistica Volkswagen, dopo 6 settimane di difficili trattative. I 103.000
lavoratori dei 6 impianti tedeschi hanno così scongiurato i licenziamenti che
l’azienda minacciava in base alla necessità di tagliare i propri costi per
circa un miliardo di euro. Il sindacato ha dunque rinunciato alla richiesta di
aumenti salariali, ma va ricordato che i dipendenti della Volkswagen hanno
attualmente un livello retributivo di oltre l’11% superiore al contratto
nazionale e l’accordo prevede un bonus di 1000 euro nel marzo 2005. Andrà
peggio per i nuovi assunti e i dipendenti in fase di formazione, che riceveranno
salari inferiori di circa il 20% rispetto agli altri lavoratori. L’accordo
prevede anche maggior flessibilità degli orari: verrà calcolato un “conto
ore” per ogni dipendente, con la possibilità di lavorare 400 ore l’anno più
o meno della media a seconda delle necessità produttive. L’azienda, dal canto
suo, si è impegnata a costruire in Germania il prossimo modello Golf, è
riuscita a collegare il pagamento del bonus all’andamento dei risultati
aziendali a partire dal 2006, ma non ha ottenuto la possibilità di subordinare
il 30% della retribuzione complessiva alle prestazioni del gruppo. Anche alla
Volkswagen, dunque, si conferma la linea di tendenza tedesca per il mercato del
lavoro inaugurata dalla Siemens nel giugno scorso ed estesa ormai alla maggior
parte delle grandi aziende (vedi “euronote” n. 32, pag. 8)
soprattutto donne colpite da Hiv/Aids
Circa 39 milioni e mezzo di persone in
tutto il mondo sono colpite dal virus Hiv/Aids, secondo quanto afferma il
Rapporto annuale elaborato dal Programma congiunto delle Nazioni Unite
sull’Aids (Unaids) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), reso
noto in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids lo scorso 1°
dicembre. Si tratta del livello più alto finora registrato dall’inizio
dell’epidemia. Sono soprattutto le donne ad essere colpite da Hiv/Aids, nella
maggior parte dei casi per «comportamenti ad alto rischio dei loro partner e su
cui non hanno praticamente alcun controllo» nota il Rapporto. La percentuale di
donne colpite dal virus è in aumento in tutte le regioni del mondo e, tra le
persone in età lavorativa, è passata dal 43% del 1998 al 48% del 2003, secondo
un recente Rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo).
Nell’Africa subsahariana, la regione più colpita dall’epidemia, le donne
rappresentano il 57% delle persone adulte contagiate da Hiv/Aids, ma tra i
giovani la percentuale di donne e ragazze contagiate supera il 75% del totale di
sieropositivi e malati. In tutti i Paesi cosiddetti in Via di sviluppo sono
donne la maggior parte delle persone contagiate e il rischio di contagio è
superiore: il 60% delle nuovi contagi registrati riguarda infatti donne e
ragazze. In Africa e nella regione dei Caraibi, il numero di giovani donne e
ragazze (14-25 anni) contagiate dal virus è più che doppio rispetto a quello
dei maschi, numero che in alcune parti dell’Africa orientale e meridionale è
di quasi 6 volte superiore. In alcune di queste regioni, quasi un terzo del
totale delle ragazze è sieropositivo o malato.
INFORMAZIONI: www.unaids.org;
www.who.int; www.ilo.org
appello contro la guerra
Un appello ai vescovi italiani perché
condannino «il peccato di chi continua a uccidere», perché sconfessino «la
guerra con le sue violenze, menzogne e crudeltà» e perché ritirino i
cappellani militari presenti in Iraq. L’iniziativa è stata presa lo scorso 25
novembre, con una dichiarazione comune, da centinaia di sacerdoti, religiosi e
laici per denunciare il «tacere impressionante» sull’orrore di Falluja. «Non
possiamo rassegnarci. Non possiamo più tacere! Il nostro silenzio rischia di
essere interpretato da parte di tutti i crocefissi come connivenza con i
crocefissori. Questo silenzio è peccato» scrivono i sottoscrittori
dell’appello, che chiedono alla Conferenza episcopale italiana (Cei) di
sconfessare con una dichiarazione la guerra: «Ribadite la scelta responsabile
della nonviolenza, del dialogo e del diritto per raggiungere la riconciliazione
e la pace tanto desiderate».
Tra i promotori dell’appello, padre
Alex Zanotelli, don Albino Bizzotto, don Luigi Ciotti, don Andrea Gallo, don
Vinicio Albanesi e il teologo don Carlo Molari.
via libera alle quote di
emissione di CO2
La
Commissione europea ha accolto, il 20 ottobre scorso, altri 8 piani nazionali di
assegnazione delle quote di emissione di CO2.
Sei piani, presentati da Belgio, Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo e
Repubblica Slovacca, sono stati accettati senza riserve; altri due, di Finlandia
e Francia, sono stati approvati a condizione che vengano apportate alcune
modifiche tecniche che li renderanno automaticamente accettabili, senza la
necessità di una seconda valutazione da parte della Commissione. I piani
nazionali di assegnazione definiscono il numero di quote di emissione di CO2
che
gli Stati membri intendono assegnare agli impianti industriali ad alto consumo
energetico, affinché possano partecipare al sistema di scambio delle quote di
emissione a partire dal gennaio 2005. La decisione della Commissione dà il via
libera all’assegnazione delle quote per oltre 2100 impianti, pari al 15% delle
quote dei 12.000 impianti stimati dell’Ue a 25. Nel luglio scorso la
Commissione aveva approvato 8 piani riguardanti più di 5000 impianti,
corrispondenti al 40% circa delle quote previste. Il sistema comunitario di
scambio delle quote di emissione garantirà che le emissioni di gas serra
prodotte dai settori energetico e industriale siano abbattute al minor costo
possibile per l’economia, facendo sì che l’Ue e i singoli Stati membri
possano raggiungere gli obiettivi di emissione fissati nell’ambito del
protocollo di Kyoto del 1997.
(Fonte:
InEurop@)
ogni anno 4000 migranti vittime
di naufragi
Secondo una ricerca svolta dalla
britannica Plymouth University, ogni anno circa 4000 migranti e profughi perdono
la vita in mare e, di questi, almeno 2000 muoiono nel Mar Mediterraneo cercando
di raggiungere il territorio dell’Unione europea. Gli autori della ricerca,
secondo cui il numero delle sciagure in mare che coinvolgono migranti sono
aumentate negli ultimi anni, sollecitano l’Organizzazione marittima
internazionale a intervenire per migliorare la sicurezza in mare in base alle
vigenti norme umanitarie internazionali.
politiche
europee contro le malattie della povertà
La
Commissione europea ha definito un nuovo quadro politico per combattere le tre
“malattie della povertà” (Hiv/Aids, malaria e tubercolosi) che provocano la
morte di circa 6 milioni di persone ogni anno. Secondo la Commissione, la lotta
contro le malattie della povertà e contro la povertà stessa va perseguita
favorendo il commercio, lo sviluppo, la ricerca, la sanità e le relazioni con
l’estero dei Paesi più colpiti. Nuova attenzione sarà posta ai diritti umani
delle popolazioni colpite e alla tenuta della coesione sociale. L’Ue si
impegna a favorire lo sviluppo sanitario dei Paesi colpiti da tali malattie, ma
anche a promuovere la produzione di farmaci e la ricerca medica in Paesi terzi,
nonché a monitorare la trasparenza dei prezzi e la concorrenza nel mercato
farmaceutico. Tutto ciò sarà accompagnato da una maggiore coerenza nella
politica estera europea, non solo in materia di sviluppo. Il budget
previsto per questa operazione nel periodo 2003-2006 è di 1,1 miliardi di euro.