Si è fatto un gran parlare del Vertice a tre - Germania, Francia, Gran
Bretagna -riunitosi a Berlino il 18 febbraio scorso. Per la verità, motivi
di attenzione se non di stupore o di preoccupazione ve n'era più di uno:
l'insolita presenza britannica con la più tradizionale accoppiata franco-tedesca;
l'assenza dell'altro (quarto), "grande" Paese, l'Italia; i temi all'ordine
del giorno concentrati più sull'economia che sulla politica; il luogo
stesso dell'incontro, quella Berlino che sembra candidarsi come la nuova
capitale geo-politica
della futura Unione allargata a venticinque Paesi dal 1° maggio prossimo.
Nella storia dell'Unione europea sono ormai tradizione consolidata - e perlopiù
benefica per l'integrazione europea - gli incontri tra Francia e Germania, due
grandi Paesi fondatori dell'Ue, ma anche due irriducibili (fino al 1945) ex-belligeranti
nella storia di guerre infinite dell'Europa. Senza troppi problemi, i partner
europei hanno visto funzionare in questo mezzo secolo di Unione l'"asse
franco-tedesco" e spesso vi hanno riconosciuto una utile funzione di traino
per il processo di unificazione, al punto di considerarlo come una provvidenziale
"locomotiva" europea. Qualche dubbio sulla natura benefica dell'"asse"
si era tuttavia affacciato dopo lo scorso Vertice di Bruxelles, quello che, sotto
presidenza italiana, aveva registrato il fallimento (si pensa provvisorio) del
progetto di Costituzione europea. Qualcuno aveva letto nella fermezza della posizione
franco-tedesca -reduce peraltro dalla clamorosa rottura del Patto di stabilità
- l'annuncio di un'arroganza che avrebbe potuto inquietare per gli sviluppi futuri
dell'Unione. Sullo sfondo rimaneva irrisolta la dolorosa controversia che aveva
diviso i governi dell'Ue alla vigilia della guerra in Irak e che aveva visto
nell'asse franco-tedesco un argine all'intervento militare.
E forse è proprio questo scenario di fondo che può aiutare a capire
la sorprendente presenza inglese al tavolo di Berlino, proprio di quel Tony Blair
- politico la cui determinazione sfiora la spregiudicatezza - volato un anno
fa in soccorso di Bush e della sua coalizione guerriera. Insieme, quei tre, oltre
a rappresentare più della metà della ricchezza complessiva dell'Ue
a venticinque,detengono anche oltre metà del potenziale di difesa e di
armamenti e la somma dei rispettivi "patrimoni" può aiutare
a capire questo insolito "matrimonio" atre, dove il nuovo arrivato,
la Gran Bretagna, potrebbe offrire un "ponte"sull'Atlantico e aiutare
a ricucire un'alleanza anche in vista dell'esito delle elezioni del novembre
prossimo negli Stati Uniti.
Se così fosse, a Berlino ci sarebbe stata non una banale mossa tattica
per posizionarsi all'interno di questa Unione oggi un po'rissosa, ma forse il
primo e ancora confuso segnale di una nuova visione strategica dei tre "grandi",
più preoccupati del futuro governo del mondo che delle interminabili dispute
nell'angusto cortile dell'Europa.
Unica assente tra i "grandi" - per di più uno tra i Paesi fondatori
della Cee - era l'Italia. Non sarebbe stata una novità se si fosse trattato
solo di un incontro franco-tedesco, ma visto che al tavolo c'era anche l'"amico
Tony" resta difficile non prenderla come un antipatico sgarbo. Irritati,
i nostri governanti hanno liquidato l'iniziativa di Berlino come un "pasticcio"
e il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha fatto balenare l'idea
di un futuro tavolo "euro mediterraneo". Se era una minaccia è
improbabile che abbia fatto tremare i tre di Berlino; se era una proposta sarebbe
stata più credibile se ci fosse stato fornito qualche ulteriore dettaglio.
Certo, l'assenza dell'Italia "brucia" e annuncia un futuro di scarso
protagonismo del nostro Paese nell'Unione che si sta allargando. Visto che già
non ci è favorevole la geografia per stare al centro del gioco, sarebbe
utile far leva sulla politica. Ma per fare ciò mancano a questa Italia
di oggi due strumenti indispensabili: la credibilità internazionale e
la capacità di iniziativa. La prima, uscita malconcia dalla nostra storia
del secolo scorso, è stata praticamente azzerata dalla recente
diplomazia
della "pacca sulla spalla" che non si nega a nessuno: da Bush a
Gheddafi,
da Putin a Blair con i risultati che si sono visti in questi mesi e che l'incontro
di Berlino ha confermato. Quanto alla capacità di iniziativa e di proposta,
basta ricordare il miserabile risultato che la presidenza italiana ha ottenuto
nel corso del suo semestre di presidenza dell'Ue culminato, lo scorso dicembre,
nel fallimento del Consiglio europeo di Bruxelles.
Saggiamente, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva suggerito,
in caso di fallimento della Costituzione, un'iniziativa comune dei sei Paesi
fondatori. Rispedito al mittente questo suggerimento,l'Italia ha firmato un'improbabile
"lettera dei Sei", soltanto che a fare sei con l'Italia c'erano Estonia,
Polonia, Spagna, Olanda e Portogallo: tutti rispettabili partner, ma non proprio
una compagnia da fare grande impressione nell'Europa a venticinque e ancor meno
nel mondo agitato in cui viviamo.
Che i nostri governanti, cedendo alla tentazione dell'arroganza, abbiano dimenticato
la buona vecchia regola secondo cui in politica - soprattutto internazionale
- è meglio essere gli ultimi dei primi,piuttosto che i primi degli ultimi?
elezioni europee:istruzioni per l'uso
di Franco Chittolina
Poche settimane ci separano ormai dalle prossime elezioni europee di giugno
ed è tempo di rinfrescarsi la memoria sulla loro natura, gli obiettivi
che perseguono e le regole che le governano.
Si tratta di un richiamo urgente ad alcune informazioni essenziali, prima che la
polemica politica e la prevedibile confusione che ne deriverà, anche
per la simultaneità delle elezioni locali e l'esasperazione della dimensione
nazionale della competizione europea, provochino polveroni che poco giovano alla
democrazia.
una democrazia "giovane e incompiuta"
L'Unione europea esiste da quasi cinquant'anni, ma solo da venticinque i suoi
cittadini sono chiamati alle urne per esprimere la loro volontà attraverso
il suffragio universale e diretto. Fino al 1979, infatti, il Parlamento europeo
- che nei primi Trattati si chiamava più modestamente "Assemblea"
- era ricavato da delegazioni provenienti dai Parlamenti nazionali senza un voto
diretto e specifico dei cittadini.
In venticinque anni di cose ne sono cambiate, ma non al punto da lasciarsi alle
spalle
quella cultura dell'approccio prevalentemente nazionale e indiretto al governo
delle politiche europee e non stupisce quindi se, ancora oggi, il
coinvolgimento
degli elettori resta molto limitato. Eppure, per gli elettori europei la posta
in gioco è sempre più alta, perché sempre più ampie
sono le responsabilità affidate all'Unione europea e quindi sempre più
determinante l'impatto delle sue decisioni sulla nostra vita quotidiana.
Dei pesanti limiti della nascente democrazia europea lasciatici dall'eredità
dei primi anni dell'Unione - che non a caso i cittadini chiamavano, e talvolta
ancora chiamano, col nome non proprio ambizioso di"mercato comune"
- restano evidenti tracce nel dibattito politico attualmente in corso.
Prima pesante conseguenza, l'esasperata "nazionalizzazione" della
consultazione europea,
che agli occhi di molti (troppi) politici nostrani sembra esaurirsi in una conta
di voti per misurare il consenso che maggioranza e opposizione possono far valere
in un confronto politico tutto nazionale, se non addirittura come un test in
vista di future elezioni politiche nazionali, considerate come quelle che solo
contano veramente.
E quando si parte con il piede sbagliato è inevitabile che si finisca per
camminare di traverso. A cominciare dai temi che vengono dibattuti, che poco o
nulla hanno a che vedere con l'Europa, fino alla scelta dei candidati il cui
profilo
poco tiene conto delle competenze che esigerebbe l'esercizio serio del mandato
europeo.
parlamentari onnivori e assenti
È in questo groviglio di contraddizioni che trova origine il dibattito
di questi giorni in Italia sul "doppio mandato". Poiché la regolamentazione
europea non fa divieto di esercitare un doppio mandato parlamentare - quello
europeo e quello nazionale - molti sono a tutt'oggi i parlamentari europei che
sono simultaneamente anche membri dei rispettivi Parlamenti nazionali.
Per giustificare questa assai discutibile (e diffusa) situazione sono stati
invocati
diversi argomenti. Due avevano nei primi anni dell'Unione una relativa
credibilità:
la necessità di raccordare strettamente, addirittura nella persona
fisica
del parlamentare, la decisione europea con quella nazionale e così far
crescere
la coerenza delle politiche. Secondo argomento, quello di assicurare la presenza
nel Parlamento europeo dei leader nazionali allo scopo di rafforzare la visibilità
e l'autorevolezza dell'istituzione europea.
Se questi due argomenti avevano qualche forza quando l'Europa era ancora un
oggetto
sconosciuto e i suoi meccanismi di dialogo tra le istituzioni europee e
nazionali
ancora rudimentali, oggi essi suonano pretestuosi e si rivelano più utili
a occultare interessi personali o di partito che a far funzionare le
istituzioni.
Ne sono prova il poco impegno che molti leaders nazionali dedicano ai loro
doveri europei,
le scandalose assenze nei lavori parlamentari, l'uso tutto nazionale del mandato
europeo, che si tratti della presidenza di turno dell'Unione o delle alleanze
in seno ai gruppi politici europei. Queste derive "provinciali"frenano,
anziché accelerare, la crescita dell'Europa e non aiutano certo i
cittadini
di questo Paese a sentire l'Unione come la loro casa comune dalla quale pur dipende
tanta parte della loro vita.
fine del "doppio mandato": attenti al trucco
Finalmente oggi, dopo tanti anni, sembra che anche i politici nostrani si
vadano rassegnando
a mettere fine al "doppio mandato". Era ora, anche se subito si
insinua
un sospetto: da dove viene questa tardiva saggezza? Solo da un'onesta
constatazione
delle conseguenze negative ampiamente riscontrate, dall'imbarazzo suscitato dalle
liste degli assenteisti - che sono pubbliche e andrebbero esaminate con attenzione
prima di recarsi alle urne - o dall'apprezzabile coraggio di chi corre il rischio
democratico di un solo mandato senza tenersi in serbo una comoda poltrona di
riserva se andasse male?
Difficile rispondere, come sempre quando si tratta di calcoli politici, talvolta
anche nobili ma spesso discutibili. Quello che invece sembra profilarsi con
chiarezza,
a leggere le cronache di questi giorni, è la tentazione di un trucco
fors'anche
più subdolo del doppio mandato dichiarato e reale.
Si tratterebbe, sembra di capire, di rendere incompatibile il doppio mandato
dopo l'esito della consultazione elettorale, attraverso il meccanismo della
rinuncia a
uno dei due mandati in caso di vittoria elettorale. E poiché la rinuncia
- lo abbiamo capito fin d'ora - riguarderebbe il mandato europeo, il "trucco"
viene alla luce: mi presento capolista alle elezioni europee, faccio da traino
al mio partito e, se eletto, lascio il posto che conta di meno - quello europeo
- e resto nell'arena nazionale, che ha alti indici di ascolto (almeno per qualcuno)e
interessi più consistenti.
Sarebbe la storia triste dell'elettore "sedotto e abbandonato", che
crede di dare un mandato a qualcuno e se lo vede portar via da un altro.
Se così fosse, la giovane democrazia europea diventerà presto vecchia
senza essere diventata adulta.
EUROPEI POCO INFORMATI SULLA COSTITUZIONE Cosa sanno i cittadini europei della futura Costituzione e delle riforme in discussione?
La maggior parte non si considera bene informata e solo un quarto ritiene di
conoscere la materia. Questo emerge da un sondaggio Eurobarometro effettuato
lo scorso mese di gennaio, per il quale sono state intervistate circa 25.000
persone di età superiore ai 15 anni in tutti i 25 Stati membri dell'UE.
In generale, risultano meglio informati gli uomini delle donne e le persone anziane
rispetto ai più giovani (soprattutto nei Quindici). Un dato particolarmente
interessante è che,in generale, questa mancanza di informazione si percepisce
di più nei 15"vecchi" Stati membri che nei nuovi 10. Tra questi
ultimi, infatti, si considera ben informato il 31% dei cittadini, percentuale
che raggiunge il valore massimo in Slovenia (48%). In tutti i 25 Stati la maggior
parte delle persone ha scelto soprattutto televisione e radio (record per l'Italia
con l'87%), seguite dai giornali, come mezzo per ottenere informazioni sulla
Costituzione; pochi hanno preferito incontri e dibattiti. |
proposte della Commissione sulla coesione economica e sociale
L'Unione europea dovrà prossimamente affrontare
molte sfide: la nascita
di nuove tecnologie, l'accelerazione dei mutamenti economici,l'immigrazione
nelle nostre città di persone provenienti dall'esterno dell'Unione. Oltre
a ciò, negli ultimi anni il nostro rendimento economico è vacillato.
L'Europa deve pertanto affrontare la situazione. Occorre far partecipare tutte
le regioni e la popolazione alla creazione di ricchezza". Con queste motivazioni,
esposte dal commissario per la Politica regionale Michel Barnier, la Commissione
europea ha presentato il 18 febbraio scorso la terza Relazione sulla coesione
economica e sociale, che illustra la strategia dell'Ue per ridurre il divario
economico tra i 15 attuali Stati membri e i 10 che faranno parte dell'Unione
dal 1° maggio prossimo. La Relazione contiene proposte per il periodo 2007-2013
e le raccomandazioni concrete sul modo in cui dovrebbero essere usate le risorse
(il bilancio dell'UE prevede 336 miliardi di euro per la politica di coesione),
al fine di ridurre il divario economico tra gli Stati membri e le regioni per
raggiungere il risultato di crescita economica e sviluppo sostenibile. L'obiettivo
è dunque quello di "ridurre il divario per ottenere una crescita
più rapida" sostiene la Commissione, perché "la crescita
e la coesione sono due facce della stessa medaglia".
obiettivo dell'Ue fin dal 1996
La solidarietà fra i popoli dell'Unione europea, i progressi economici
e sociali e il rafforzamento della coesione fanno parte degli obiettivi globali
della Comunità di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie
regioni eil ritardo delle regioni meno favorite, come risulta dal Trattato che
istituisce
le Comunità europee. Gli strumenti di solidarietà, i Fondi
strutturali
e il Fondo di coesione costituiscono circa un terzo del bilancio dell'UE (circa
36 miliardi di euro nel 2004). Le risorse vengono fornite mediante programmi
di sviluppo pluriennali, gestiti congiuntamente dagli Stati membri, dalle regioni
e dalla Commissione.
La prima relazione sulla coesione è stata pubblicata nel 1996 e ha gettato
le basi per l'Agenda 2000, il quadro politico e finanziario dell'Ue per il periodo2000-2006.
La seconda relazione, del 2001, ha avviato il dibattito sulla politica di coesione
dopo l'allargamento, culminato nelle proposte contenute in questa terza Relazione.
responsabilità
agli Stati membri
"Aiutare le regioni più povere sarà la principale priorità
della prossima generazione di programmi di aiuto europei - ha dichiarato Barnier
- Sebbene gran parte delle regioni più povere si trovino nei nuovi Stati
membri, dovremo comunque continuare ad aiutare le regioni dei Quindici laddove
il processo di recupero è incompleto nonché molte altre aree urbane
e industriali in declino o quelle che presentano svantaggi naturali persistenti,
in cui continuano ad esistere gravi problemi economici e sociali".
Secondo l'analisi della Commissione, nonostante le disparità di reddito
e occupazione nell'UE si siano ridotte nell'ultimo decennio permangono grandi
deficit da recuperare tra i meno abbienti e il resto della popolazione e, proprio
su questo, dovranno essere concentrati gli sforzi a lungo termine.
Saranno gli Stati membri, con le loro politiche, ad avere le maggiori responsabilità
nel
fornire servizi di base e complemento di reddito. La Relazione sottolinea
infatti
come la spesa pubblica negli Stati membri è in media del 47% del PIL,cifra
di molto superiore al bilancio dell'Unione che è di poco più dell'1%
del PIL dell'UE (di cui poco meno della metà destinato alla politica di
coesione).M a, nonostante l'entità relativamente ridotta rispetto alle
risorse pubbliche nazionali, la politica di coesione dell'UE svolge un ruolo
essenziale nel tener conto delle disparità, in quanto si concentra sugli
investimenti e sulle regioni meno sviluppate. La Commissione ricorda come i programmi
europei abbiano contribuito direttamente a promuovere la convergenza regionale
e l'occupazione. Per esempio, nel periodo 2000-2006 tali politiche aumentano
di circa il 3% il capitale sociale in Spagna, fino al 9% in Grecia e Portogallo,
del 7% nel Mezzogiorno italiano e del 4% nei Länder tedeschi orientali.
Ne risulta una notevole riduzione del divario in settori chiave come i trasporti
in cui, per esempio, la copertura della rete autostradale negli Stati membri
più poveri dei Quindici ora supera leggermente quella del resto dell'Unione.
un duplice obiettivo
Tra le proposte prioritarie la Commissione individua quella di sostenere l'aumento
della
creazione di posti di lavoro negli Stati membri e nelle regioni meno
sviluppati.
Tale obiettivo riguarderà le regioni che hanno un PIL pro capite
inferiore
al 75% della media comunitaria e temporaneamente quelle in cui il PIL pro capite
sarebbe stato inferiore al 75% della media comunitaria dell'UE a 15.
L'obiettivo chiave della politica di coesione sarà duplice. Attraverso
programmi regionali,la politica di coesione aiuterà le regioni e le autorità
regionali ad anticipare e promuovere i mutamenti economici nelle aree industriali,
urbane e rurali potenziandone la competitività e l'attrattiva, tenendo
conto delle disparità economiche, sociali e territoriali esistenti. In
secondo luogo,attraverso programmi nazionali, la politica di coesione aiuterà
la popolazione ad anticipare e ad adattarsi ai cambiamenti economici, conformemente
alle priorità politiche della Strategia Europea per l'Occupazione (SEO),
sostenendo politiche che si prefiggono la piena occupazione, il miglioramento
della qualità e della produttività del lavoro e l'inclusione sociale.
Secondo la commissaria europea per l'Occupazione e gli Affari sociali, Anna
Diamantopoulou,
"ciò consentirà di applicare la strategia per l'occupazione
sul
territorio, cosa essenziale se l'UE vuole mantenere l'aumento dell'occupazione,
la qualità e la produttività del lavoro, la coesione sociale e
le pari opportunità".
sviluppo equilibrato
del territorio
Utilizzando l'esperienza dell'iniziativa Interreg (che dal 1990 ha finanziato
progetti di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale per
sostenere l'economia, le infrastrutture, l'occupazione e l'ambiente), la
relazione raccomanda
di proseguire l'attività per promuovere un'integrazione armoniosa ed
equilibrata
del territorio dell'Unione sostenendo la cooperazione a livello
transfrontaliero
e transnazionale. In linea di massima, la cooperazione transfrontaliera riguarderebbe
tutte le regioni lungo i confini esterni e interni, sia terrestri che marittimi.
L'obiettivo principale in quest'ottica è fornire soluzioni congiunte ai
problemi comuni tra autorità vicine, come per esempio lo sviluppo urbano,
rurale e costiero, lo sviluppo di relazioni economiche e la creazione di reti
di piccole e medie imprese.
cosa verrà finanziato
I principali temi del cofinanziamento dei programmi nazionali e regionali
riguarderanno:
modernizzazione e diversificazione della struttura economica;estensione e miglioramento
delle infrastrutture di base; protezione dell'ambiente;potenziamento della capacità
amministrativa; miglioramento della qualità delle istituzioni del mercato
del lavoro e dei sistemi di istruzione e formazione. Inoltre, gli Stati membri
il cui prodotto nazionale lordo è inferiore al 90%della media comunitaria
potranno beneficiare del Fondo di coesione, che continuerà a finanziare
i programmi in materia di trasporto e ambiente.
Ogni anno le istituzioni europee esamineranno i progressi in materia di priorità
strategiche
e i risultati ottenuti, sulla base di una relazione della Commissione che sintetizzerà
le relazioni di avanzamento degli Stati membri.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie per il periodo 2007-2013, si propone
di assegnare 336,3 miliardi di euro, pari allo 0,41% del Reddito Nazionale Lordo(RNL)
dell'UE a sostegno della coesione (0,46% prima dei trasferimenti agli
strumenti
per lo sviluppo rurale e la pesca). In base alle stime attuali, circa il 78%
di tale importo andrebbe alla priorità "convergenza", circa
il 18% alla"competitività regionale e occupazione" e circa
il 4% alla "coesione territoriale europea".
INFORMAZIONI:
http://europa.eu.int/comm/regional_policy/index_it.htm
RIUNIFICAZIONE: QUESTIONI APERTE E LIMITAZIONI Proseguono i preparativi per la "riunificazione" europea, cioè
per il cosiddetto allargamento dell'Ue che dal maggio prossimo conterà
10 nuovi Stati membri. L'ultimo ostacolo politico da superare è quello
di Cipro, isola divisa nelle due parti greco-cipriota e turco-cipriota. Lo scorso
13 febbraio, a New York, l'ONU ha condotto in porto un accordo che prevede la
riunificazione dell'isola nel quadro di un sistema federale. Sono dunque in corso
negoziati per la costituzione di uno Stato federale con ampia autonomia per le
due parti (su economia, istruzione, cultura), totale libertà di movimento
all'interno del territorio dell'isola e una politica estera e di difesa esercitata
dal governo federale. Per il buon esito del negoziato risulta particolarmente
importante il ruolo della Turchia, che anche su questo si gioca l'ingresso nell'Ue:
la condizione posta da Bruxelles prevede il ritiro dell'esercito turco dalla
parte dell'isola invasa nel 1974 e a questo scopo si sono impegnate le autorità
di Ankara. "Il 2004 sarà l'anno di Cipro e della Turchia" ha
dichiarato il presidente della Commissione Romano Prodi durante la sua recente
visita nella capitale turca (15 febbraio), ma la situazione della Turchia è
ancora difficile. Al momento il Paese non soddisfa completamente le condizioni
politiche
stabilite dall'Ue: le riforme adottate contengono limiti significativi rispetto
ai diritti fondamentali e alle libertà, mentre numerose istanze relative
ai criteri politici devono ancora essere adeguatamente indirizzate. Una decisione
sull'avvio o meno dei negoziati di adesione verrà presa entro il dicembre
prossimo. Con Bulgaria e Romania, che entreranno nell'UE nel 2007, la Commissione
ha proposto un percorso dettagliato di assistenza per completare la preparazione,
che prevede riforme soprattutto nei campi giudiziario e amministrativo, mentre
prosegue la cooperazione dell'Ue coni 5 Paesi dei Balcani occidentali al fine
di creare le condizioni per la loro futura integrazione nell'UE. |
bilancio europeo e coesione nell'Ue
La Commissione europea ha presentato lo scorso 10febbraio la comunicazione "Rendere
l'Europa più prospera: l'agenda politica e il quadro finanziario dell'Unione
europea allargata per il periodo 2007-2013",che prevede un aumento del
bilancio europeo in prospettiva dell'allargamento dell'Ue e delle necessità
di coesione economica e sociale (vedi pagine precedenti). Su questa posizione
si è espressa favorevolmente la Confederazione europea dei sindacati (Ces),
secondo cui il futuro quadro finanziario prospettato dalla Commissione concorda
con la volontà politica della Ces di dotare l'Ue di un bilancio "ambizioso"
in un'Europa a 25 Paesi, per realizzare gli obiettivi politici dell'Agenda di
Lisbona e rinforzare la politica di coesione economica e sociale.
Sul bilancio dell'UE per il periodo 2007-2013 è in corso un dibattito
tra Commissione europea e Consiglio, che dovrebbe chiudersi entro il 2005. Per
aumentare gli investimenti dell'Ue in settori come la ricerca,l'istruzione,
i trasporti, le infrastrutture e concedere maggiori contributi a regioni e zone
depresse europee, la Commissione chiede di aumentare il tetto di spesa portandolo
all'1,24% del Pil europeo (che equivale a circa 150 miliardi di euro annui).
Alcuni Stati membri (Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna,Paesi Bassi e
Svezia) hanno invece presentato richiesta congiunta di ridurre la percentuale
di spesa all'1% del Pil (circa 100 miliardi l'anno) e altri Stati(tra cui Finlandia,
Irlanda, Italia e Slovenia) si stanno avvicinando a questa posizione. Attualmente
gli Stati membri versano all'Ue già l'1,24% del Pil, mail livello di
spesa è attestato sullo 0,98% del Pil e i fondi non utilizzati vengono
restituiti ai singoli Paesi: in pratica, la richiesta di alcuni Stati membri
è di mantenere i livelli di spesa attuali, mentre la Commissione chiede
di
poter utilizzare tutto il credito.
"Prendendo le distanze dalla chiamata di rigore lanciata in dicembre da
6 Paesi contribuenti -dichiara la Ces - la Commissione ha scelto delle prospettive
finanziarie più ambiziose, sempre rispettando il limite fissato dai Trattati.
Adottando previsioni di bilancio importanti, la Commissione manifesta la sua
volontà di dotarsi di un bilancio all'altezza delle sue ambizioni".
Per queste ragioni, i sindacati europei si rallegrano della decisione adottata
dalla Commissione e si impegnano a sostenere gli orientamenti politici in favore
di un'Europa prospera e solidale.
La questione del bilancio europeo è di fondamentale importanza soprattutto
nell'ottica di un'Unione allargata a 25 Stati. La maggior parte dei nuovi Stati
membri, infatti, si trova in situazioni economico-sociali più difficili
di quelle dei Quindici e dovrebbe quindi usufruire di elevati contributi dall'Ue
nei prossimi anni. Di conseguenza,coloro che tra i "vecchi" Stati
membri hanno maggiormente usufruito dei fondi strutturali europei per le regioni
più disagiate, come Grecia, Portogallo,Spagna e Italia, con la nuove
esigenze derivanti dall'estensione dell'Ue vedranno ridurre i fondi a loro favore.
Inoltre, la difficile situazione economica di molti dei Quindici non fa che accrescere
gli interessi nazionali e diminuire la solidarietà verso i nuovi Stati.
Secondo la Ces, l'allargamento rappresenta "un'opportunità storica
unica per unificare i differenti Paesi europei sulla base di valori
fondamentali
democratici". La questione centrale di questa sfida è però
quella della solidarietà politica, economica e finanziaria,che implica
delle scelte politiche coraggiose in materia di bilancio. Per questo, la Ces
si era già pronunciata a favore di un aumento generale del bilancio dell'Ue,
come garanzia della credibilità dell'Unione e al tempo stesso dell'allargamento
e della politica di coesione europea.
Dunque, la Ces non può che "accogliere favorevolmente i grandi orientamenti
del quadro finanziario 2007-2013, le cui prospettive riaffermano bene la loro
fede nella politica di solidarietà regionale per l'attribuzione di aiuti
comunitari, sia negli attuali che nei futuri Stati membri, e di competitività
al servizio della crescita e dell'impiego".
INFORMAZIONI: www.etuc.org
CES: FERMARE LA SUPER VALUTAZIONE DELL'EURO Utilizzare l'euro per proteggere l'Europa contro le turbolenze del mercato dei
cambi. Questo l'appello rivolto, all'inizio di febbraio, dalla Ces alla Banca
centrale europea e ai ministri economico-finanziari dell'Ue e del G7. |
la Ces ripropone i 10 test sociali
Nel gennaio scorso, una delegazione della Confederazione europea dei sindacati(Ces)
costituita dal presidente Candido Mendez, dal segretario generale John Monks
e da David Begg, segretario generale del Congresso dei sindacati irlandesi (Ictu),
ha incontrato il primo ministro irlandese per presentargli le posizioni dei sindacati
europei sulle principali tematiche europee.
La Ces ha colto l'occasione per sottoporre alla presidenza di turno dell'Ue un
piano di 10 punti, che contiene le richieste dei sindacati europei in materia
di politiche sociali. Il piano riprende in buona parte le richieste già
presentate nel luglio 2003 alla presidenza italiana e non realizzate (vedi tabella).
E' stato inoltre chiesto alla presidenza irlandese di dare un serio supporto
all'adozione di una nuova Costituzione con una dimensione sociale forte e a porre
la crescita economica al centro della propria agenda. "La presidenza irlandese
ha iniziato bene i suoi lavori, riprendendo le principali tematiche europee dopo
la
cattiva annata che l'Ue ha conosciuto nel 2003 -ha dichiarato Monks - L'Irlanda
deve oggi concentrarsi assolutamente su due priorità essenziali. Innanzitutto
l'adozione, il più rapidamente possibile, diu na nuova Costituzione, che
garantirà i diritti sociali e sarà in grado di rilanciare l'appoggio
e l'entusiasmo dei lavoratori per il progetto europeo. Inoltre, deve affrontare
l'andamento economico negativo, che colpisce la maggior parte dei Paesi europei,
e guidare un movimento che favorisca un nuovo Patto di stabilità, orientato
in primo luogo alla crescita o, almeno, aun'interpretazione più ampia
del patto attuale".Secondo la Ces, l'Europa non può ridursi a un
grande mercato e a una moneta unica, ma deve aiutare i lavoratori ad affrontare
e ad adattarsi ai cambiamenti. Per questo, la nuova Costituzione dovrà
sostenere i diritti dei lavoratori. L'Europa, sostengono i sindacati europei,
non può continuare ad affidarsi a una crescita basata sulle esportazioni
verso gli Stati Uniti, anche perché l'abbassamento del dollaro rende questa
prospettiva poco probabile. L'obbiettivo dovrebbe essere quindi quello di avere
un periodo di crescita "made in Europe".
Secondo la Ces, la presidenza dell'Ue rappresenta un periodo che consente di
valutare i progressi della politica e della legislazione sociale europea. Certo,
la presidenza non può prendere decisioni da sola e necessita della cooperazione
di Commissione, Parlamento e Consiglio,ma riveste comunque un ruolo particolare
nelle modalità di dirigere le discussioni, stabilire le priorità,
preparare il lavoro pratico e trattare argomenti specifici con una certa prospettiva.
Pur non formulando valutazioni politiche complessive sulla presidenza italiana,
conclusasi alla fine del 2003, i sindacati europei ritengono che essa abbia fallito
nella realizzazione della maggior parte delle proprie ambizioni, verdetto che
la Ces formula sulla base dei dieci test sociali presentati nel proprio Memorandum
dello scorso luglio.
La presidenza italiana non è stata tuttavia l'unica colpevole, sostengono
i sindacati. In numerosi casi, l'assenza di progressi era principalmente
imputabile
alla Commissione europea (revisione della direttiva sui Comitati aziendali europei,
offerte pubbliche di acquisto, appalti pubblici, servizi d'interesse generale,
ecc.). Su altre questioni sono stati invece alcuni governi del Consiglio a rimandare
l'adozione di una mediazione (lavoratori temporanei), oppure a insistere su compromessi
inadeguati per la dimensione sociale dell'Unione (offerte pubbliche di acquisto
e appalti pubblici).
In materia di direttive sul controllo delle fusioni e delle offerte pubbliche di
acquisto, poi, è stato il Parlamento europeo a mostrarsi reticente nel
discutere in modo appropriato dei diritti d'informazione e consultazione
dei lavoratori.
La mancanza di potere di negoziazione, di effettiva pressione e di forte
investimento
politico da parte della presidenza italiana ha poi fatto il resto,portando all'interruzione
e all'insuccesso della Conferenza Intergovernativa.
INFORMAZIONI: www.etuc.org tel.+322 (0) 2240430
DIECI TEST SOCIALI DELLA CES PRESENTATI ALLA PRESIDENZA ITALIANA DELL'UE NEL 2003 E ORA RIPROPOSTI A QUELLA IRLANDESE | I VALUTAZIONE SUI RISULTATI OTTENUTI DALLA PRESIDENZA ITALIANA NEL SECONDO SEMESTRE 2003 |
1. Convenzione/CIG: garantire un Trattato costituzionale democratico, moderno e sociale per l'Europa. |
Negativo |
2. Strategia di Lisbona: promuovere un'insieme di misure d'urgenza, conformi agli obbiettivi di Lisbona, per fare fronte ai problemi immediati dell'Europa e perseguire l'impegno a favore del modello "più quantità e qualità dell'occupazione", fondato su politiche economiche, dell'occupazione e della coesione sociale. |
Parzialmente positivo |
3. Immigrazione: sviluppare una politica europea comune d'immigrazione e di diritto d'asilo per realizzare l'integrazione e gestire i flussi migratori. |
Risultato parziale |
4. Revisione della direttiva CAE: recuperare il ritardo di 3 anni nella revisione legislativa. |
Negativo |
5. Appalti pubblici: includere una clausola di "standard lavorativi equi". |
Risultato parziale |
6. Controllo delle fusioni: integrare considerazioni su occupazione e partecipazione. |
Negativo |
7. Offerte pubbliche di acquisto: garantire misure d'informazione, di consultazione e difensive. |
Negativo |
8. Lavoro temporaneo: adottare la direttiva con un periodo transitorio limitato. |
Negativo |
9. Servizi d'interesse generale: stabilire una base legale nei trattati, avviare una procedura per una direttiva quadro o imporre una moratoria legislativa sulla liberalizzazione. |
Negativo |
10. Responsabilità sociale delle imprese (RSI): sviluppare il dibattito nel quadro del modello sociale europeo e riaffermare che la RSI non debba costituire un'alternativa al dialogo sociale e alla negoziazione collettiva. |
Risultato parziale |
Oil: cambiare la globalizzazione
Il messaggio lanciato dal Rapporto "A fair globalization. Creating opportunities for all", redatto dalla Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e presentato nelle settimane scorse è chiaro: "La globalizzazione può e deve essere cambiata attraverso un percorso di equità che non escluda nessuno". L'Oil richiama tutti gli attori, governi, mondo politico, mondo degli affari e del lavoro e società civile, ad assumersi le proprie responsabilità per il rispetto dei valori e dei principi universalmente condivisi e l'impegno a raggiungere l'obbiettivo generale di una globalizzazione più equa. "La scelta è molto chiara - sostengono irresponsabili del Rapporto - È possibile correggere la mancanza di governo globale nel mondo oggi, garantire la responsabilità e adottare delle politiche coerenti atte a spianare la via a una globalizzazione equa e giusta, sia all'interno di ogni Paese che tra Paesi diversi; se invece non agissimo subito,correremo il rischio di scivolare in una spirale di insicurezza, di turbolenze politiche, di conflitti e di guerre".
disparità inaccettabili e insostenibili
Secondo l'Oil, la globalizzazione ha un'enorme
potenziale per quanto riguarda
società ed economie aperte e uno scambio più libero dei beni, delle
idee e delle conoscenze, ma l'attuale funzionamento dell'economia globale presenta
disparità molto radicate e persistenti, "inaccettabili da un punto
di vista etico e politicamente insostenibili". Infatti, rileva il Rapporto,
i vantaggi portati dalla globalizzazione sono fuori portata per molti, rimane
diffusa la corruzione, cresce la minaccia del terrorismo, il futuro dei mercati
aperti viene sempre più messo a repentaglio. Il governo globale è
dunque in crisi e, sostiene l'Oil, "siamo giunti ad un punto critico: diventa
urgente ripensare le nostre politiche attuali e le nostre istituzioni".
Il Rapporto, dichiarano i responsabili dell'Oil, non offre soluzioni miracolose
o semplicistiche, anche perché non esistono. È invece un tentativo
per cercare di interrompere l'attuale situazione di stallo e far luce sui bisogni
e sulle aspirazioni delle persone, nonché tracciare i percorsi da seguire
per canalizzare meglio i potenziali della globalizzazione stessa.
regole più eque e maggiore occupazione
Viene dunque indicata una serie di misure coordinate
per migliorare governo e
responsabilità ai livelli nazionale e internazionale. Tali misure includono
regole più eque in materia di commercio, investimento, finanzae migrazione
internazionale, che prendano in considerazione gli interessi, i diritti e le
responsabilità di tutti; misure mirate alla promozione delle norme
fondamentali
del lavoro e al mantenimento di un livello minimo di protezione sociale nell'economia
globale; nuovi sforzi per una mobilitazione delle risorse internazionali al fine
di aumentare le capacità e raggiungere gli obiettivi per lo sviluppo del
millennio.
Secondo l'Oil, una globalizzazione equa dipende anche da un migliore governo
in ogni Paese, così il Rapporto indica quali siano le priorità
delle politiche nazionali, locali e regionali che potrebbero favorire la partecipazione
attiva delle persone nelle opportunità offerte dalla globalizzazione.
"Un lavoro dignitoso per tutti dovrebbe rappresentare un obiettivo globale
ed essere raggiunto attraverso politiche nazionali ed internazionali complementari",
dichiara l'Organizzazione internazionale secondo cui orientare il bisogno verso
un'accelerazione
della creazione di occupazione in tutti i Paesi aiuterebbe a ridurre ovunque
le tensioni sociali e i conflitti economici.
politiche coerenti e più integrate
L'Oil raccomanda che vengano promosse dalle organizzazioni internazionali competenti "iniziative per la coerenza delle politiche" al fine di sviluppare politiche più equilibrate in sinergia tra di loro. L'obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare,progressivamente, proposte di politica integrata su argomenti specifici che equilibrino interessi economici, sociali e ambientali. Una delle prime iniziative dovrebbe riguardare la questione della crescita globale,dell'investimento e della creazione di occupazione e dovrebbe coinvolgere organismi competenti delle Nazioni Unite, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l'Organizzazione mondiale del Commercio e l'Organizzazione internazionale del lavoro. Altre priorità sono la parità tra uomini e donne e la responsabilizzazione delle donne, l'educazione, la sanità, la sicurezza alimentare, l'habitat. "Le risorse e i mezzi per raggiungere lo scopo sono a portata di mano - dichiarano gli autori del Rapporto - Per quanto ambiziose, le nostre proposte sono realizzabili. Siamo certi che un mondo migliore è possibile".
un nuovo "contratto sociale" a livello locale e globale
Per mirare a una globalizzazione più equa, inoltre,secondo l'Oil è
necessario che i Paesi di maggiore importanza decisionale,all'interno degli
organismi internazionali, si assumano le proprie responsabilità al fine
di prendere in considerazione tutti gli interessi,rispettino i propri impegni
internazionali e la libertà degli altri Paesi di formulare le politiche
interne. Infatti, "solo se i principi di base della democrazia, dell'equità
sociale, dei diritti dell'uomo e delle norme di legge sono rispettati all'interno
dei Paesi, saranno ripartiti ampiamente i benefici del globalizzazione e controllati
gli effetti contrari. In pari modo, le istituzioni sane sono tenute a promuovere
opportunità e azione in un'economia di mercato efficiente".
Il Rapporto sollecita l'assorbimento della vasta economia informale in quella
formale, attraverso un processo che stabilisca e rispetti i diritti di proprietà
e i diritti dei lavoratori. Inoltre, devono essere realizzate politiche locali
fondate sulla difesa dei diritti di espressione, cultura e identità, e
sviluppate le capacità produttive.
altre raccomandazioni
Il Rapporto indica altre raccomandazioni:
Il sistema di commercio multilaterale dovrebbe ridurre le barriere ingiuste che limitano l'accesso ai mercati dei beni prodotti in Paesi in sviluppo, cos da garantire i loro interessi tramite un trattamento differenziato atto a migliorare il loro potenziale di esportazione.
Vanno adottate regole uniformi e trasparenti per i movimenti transnazionali delle persone nonché per equilibrare gli interessi dei migranti stessi e dei loro Paesi di origine e di destinazione.
E' necessario stabilire un quadro multilaterale equilibrato e favorevole allo sviluppo per l'investimento diretto estero, che prenda in considerazione tutti i rispettivi interessi, diritti e responsabilità e sia oggetto di un negoziato in una sede riconosciuta da tutti.
L'Oil richiede poi un'azione più forte per garantire il rispetto delle norme fondamentali del lavoro nelle zone di trasformazione per l'esportazione e, più in generale, nei sistemi di produzione globale. Tutte le istituzioni internazionali competenti dovrebbero assumere il proprio ruolo per promuovere queste norme e assicurare che non ci sia niente nelle loro politiche e nei loro programmi che possa impedire la realizzazione di questi diritti.
Deve essere trovato un accordo su un livello minimo di protezione sociale per gli individui e per le famiglie, che non venga messo in discussione e diventi una parte integrante del fondamento dell'economia globale, compresa anche l'assistenza al reinserimento dei lavoratori trasferiti. I donatori e le istituzioni finanziarie dovrebbero contribuire a rafforzare i sistemi di protezione sociale nei Paesi in sviluppo.
La crescita globale sostenibile dovrebbe ricevere un appoggio più netto dai sistemi finanziari internazionali. Mentre si registra un aumento massiccio dei flussi finanziari transnazionali, il sistema rimane instabile, soggetto alle crisi, e lascia da parte i Paesi poveri o con scarso capitale. Andrebbero intensificati gli sforzi per individuare dei meccanismi efficaci e giusti di riduzione del debito, che garantiscano sia una equa divisione delle responsabilità e dei carichi tra debitori e creditori, sia una riduzione più rapida e più completa del debito.
Un maggior sforzo è necessario a mobilitare risorse internazionali più numerose nel conseguimento dei principali obbiettivi globali, in particolare gli Obbiettivi di sviluppo per il millennio. Occorre raggiungere l'obbiettivo dello 0,7% del Pil per l'aiuto ufficiale allo sviluppo nonché individuare e sviluppare nuove fonti di finanziamento per superare tale obbiettivo.
INFORMAZIONI: www.ilo.org/wcsdg
RECORD DI DISOCCUPATI NEL MONDO Il numero dei disoccupati nel mondo ha quasi raggiunto i 186 milioni nel 2003, nonostante una ripresa della crescita economica dopo due anni di calo. La stima è contenuta nel "Global employment trends 2004 report", Rapporto sulle tendenze dell'occupazione nel mondo pubblicato ogni anno dall'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e presentato il 22 gennaio scorso a Ginevra. La ripresa economica iniziata nella seconda metà del 2003 sembra mitigare il deterioramento della situazione occupazionale mondiale, sostiene l'Oil secondo cui gli effetti positivi sul mercato del lavoro potrebbero protrarsi nel 2004.Ma, ha dichiarato il direttore generale dell'Oil Juan Somavia, "è ancora troppo presto per dire che il peggio è alle nostre spalle" perché "se la ripresa dovesse rallentare e di conseguenza la speranza di veder crescere il numero di posti di lavoro qualitativamente migliori dovesse venir meno, molti Paesi non riuscirebbero a dimezzare la povertà entro il 2015", obiettivo fissato dall'Onu per il millennio. La tendenza può però essere invertita se i responsabili della politica e dell'economia "cominciano a considerare politiche per il rilancio dell'occupazione allo stesso livello delle politiche macroeconomiche", sostiene Somavia. i dati principali
le sfide da affrontare "La sfida principale è di assorbire i 514 milioni di nuovi arrivi sul mercato del lavoro mondiale e ridurre il numero dei lavoratori poveri entro il 2015" sostiene l'Oil che individuà le priorità da fronteggiare:
INFORMAZIONI: il testo integrale è disponibile all'indirizzo web: www.ilo.org/public/english/employment/strat/global.htm |
eliminare il lavoro minorile conviene
L'eliminazione del lavoro minorile nel mondo
potrebbe apportare benefici economici
pari a 5100 miliardi di dollari, una cifra quasi sette volte superiore ai costi
stimati per raggiungere questo obiettivo. Si tratta di un valore particolarmente
importante per i Paesi in via di sviluppo e in transizione, dove si trova il
maggior numero di bambini costretti a lavorare. Questo il risultato di un Rapporto
dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), curato dal Programma per
l'eliminazione del lavoro minorile(Ipec), reso noto all'inizio di febbraio.
Lo studio, intitolato "Investing inevery child. An economic study of the
costs and benefits of eliminating child labour", rappresenta la prima analisi
integrata dei costi economici e dei benefici dell'eliminazione del lavoro minorile
su scala mondiale. L'analisi comparata di costi e benefici non ha tanto lo scopo
di giustificare la necessità di eliminare il lavoro minorile - obiettivo
già perseguito dalle convenzioni dell'Oil n. 138 e 182 - bensì
di capire meglio le conseguenze economiche di un impegno internazionale in questo
senso.
Secondo l'Oil, il lavoro minorile coinvolge un minore su 6 nel mondo, circa 246
milioni di bambini, tra cui ben 179 milioni esposti alle forme peggiori di lavoro
che mettono a repentaglio il loro benessere fisico, mentale o morale. Questa
grave piaga mondiale potrebbe però essere eliminata entro il 2020 se
venissero realizzati
programmi di educazione adeguati, per un costo complessivo stimato intorno ai
760 miliardi di dollari.
"Non c'è buona politica sociale che non si dimostri anche una buona
politica economica- sostiene Juan Somavia, direttore generale dell'Oil - L'eliminazione
del lavoro minorile si concretizzerebbe in un enorme ritorno d'investimento, per
non parlare dell'impatto inestimabile sulla vita dei bambini e delle loro
famiglie".
Lo studio applica un modello per analizzare le economie in transizione o in via
di sviluppo e mostra come i benefici globali superino i costi in un rapporto
di6,7 per 1. A livello mondiale, i benefici economici netti del programma da
avviare
ammonterebbero al 22,2% dell'aggregato dei redditi nazionali lordi annuali. Tutte
le regioni mondiali trarrebbero benefici dall'eliminazione del lavoro minorile
e, per alcune di esse, gli effetti sarebbero particolarmente positivi. In Africa
del Nord e nel Medio Oriente, ad esempio, il rapporto benefici/costi sarebbe
ancora più elevato (8,4 per 1), mentre nell'Africa subsahariana il rapporto
sarebbe minore (5,2 per 1). In Asia, il rapporto potrebbe essere di 7,2 per 1,
nei Paesi in transizione di 5,9 per 1 e in America Latina del 5,3 per 1.
un investimento vantaggioso
Lo studio evidenzia come l'eliminazione del lavoro minorile rappresenterebbe
un "investimento generazionale", cioè l'impegno e i risultati
che si potrebbero ottenere riguarderebbero i bambini di oggi ma anche quelli
di domani. Nei primi anni del processo, i costi sarebbero sicuramente superiori
ai benefici. Tuttavia, i flussi economici netti tornerebbero a essere fortemente
positivi una volta consolidati gli effetti del miglioramento dell'educazione
e della sanità. Verso il 2020 i costi dovrebbero essere nulli e il beneficio
annuo ammonterebbe a circa 60 miliardi di dollari.
Rispetto ad altri costi sociali, il costo medio annuale dell'eliminazione del
lavoro minorile sarebbe di gran lunga inferiore al servizio del debito o alla
spesa militare. Ad esempio, il costo medio annuo di95 miliardi di dollari sarebbe
pari al 20% della spesa militare attuale complessiva dei Paesi in sviluppo o
in transizione, oppure al 9,5% dei 1000miliardi di dollari del servizio del
debito dei Paesi in via di sviluppo.
La spesa viene definita dallo studio dell'Oil come un "investimento vantaggioso",
poiché ogni anno di scuola fino ai 14 anni corrisponderebbe a un guadagno
supplementare dell'11% annuo sui futuri stipendi, portando il beneficio globale
ad oltre 5000miliardi. Per quanto concerne i costi, invece, il supplemento di
educazione rappresenterebbe circa i due terzi di quelli complessivi.
prioritaria l'istruzione
La capacità di trarre benefici dall'estensione dell'educazione, sostiene
l'Oil,dipende dalla capacità dei Paesi di creare posti di lavoro per
stimolare la crescita economica. Tuttavia, lo studio mostra che anche nell'ipotesi
in cui gli effetti dell'educazione sui futuri stipendi venissero dimezzati, i
benefici complessivi ammonterebbero a 2000 miliardi. Le famiglie considerate
dallo studio dovrebbero fronteggiare un'altro costo importante. Infatti,l'eliminazione
progressiva del lavoro minorile nei prossimi vent'anni priverebbe le famiglie
del reddito prodotto attraverso il lavoro dei propri bambini. Il contributo economico
di un bambino viene stimato intorno al 20%rispetto a quello di un adulto, ne
deriva che il costo sopportato dalle famiglie ammonterebbe a 246,8 miliardi di
dollari.
Per tener conto di questa dimensione, lo studio prevede un sostegno finanziario
alle
famiglie che mandano i figli a scuola. Prendendo spunto dalla Bolsa Escola, un
programma sviluppato in Brasile, lo studio calcola quanto verrebbe a costare
su vent'anni l'erogazione di una tale prestazione famigliare consistente nel
versare ad ogni famiglia il 60-80% del beneficio ricavato dal lavoro di un bambino.
effetti positivi sulla sanità
L'eliminazione del lavoro minorile avrebbe effetti positivi anche sul settore
sanitario. Complessivamente questi benefici vengono stimati dall'Oil in 28 miliardi
di dollari: "Comparativamente, questa cifra non è molto alta. Tuttavia,
la salute dei bambini costituisce un bene vitale, oltre ogni vantaggio
quantificabile".
Il Rapporto analizza dati provenienti da Brasile, Senegal,Kenya, Tanzania, Ucraina,
Pakistan, Nepal e Filippine. Lo studio contiene inoltre, una sezione dedicata
a un programma avviato 10 anni fa dall'Oil e dalla Banca mondiale per sostenere
le famiglie di 24 altri Paesi. Per quanto riguarda il resto del mondo, le stime
sono state estrapolate a partire dai dati demografici, economici e dai tassi
di scolarizzazione attualmente disponibili.
I primi programmi per l'eliminazione del lavoro minorile nascono nel 1992 grazie
alla
collaborazione di Ipec e del governo tedesco e coinvolgono 6 Paesi. Oggi,a dodici
anni di distanza, l'Ipec lavora in 80 Paesi con l'aiuto di 30donatori.
INFORMAZIONI:il testo integrale dello studio è consultabile all'indirizzo web: www.ilo.org/public/english/standards/ipec/publ/download/2003_12_investingchild.pdf
Totale dei costi e beneficieconomici legati all'eliminazione del lavoro minorile (periodo 2000-2020)*
Regione | Paesi in transizione | Asia | America Latina | Africa subsahariana | Africa del Nord e Medio Oriente | Mondo |
Totale costi |
25,6 |
458,8 |
76,6 |
139,5 |
59,7 |
760,3 |
Educazione |
8,5 |
299,1 |
38,7 |
107,4 |
39,6 |
493,4 |
Trasferimenti |
0,7 |
6,3 |
1,2 |
1,5 |
1,1 |
10,7 |
Interventi |
0,4 |
2,4 |
5,8 |
0,6 |
0,2 |
9,4 |
Costi di sostituzione |
16,0 |
151,0 |
30,9 |
30,1 |
18,8 |
246,8 |
Totale benefici |
149,8 |
3321,3 |
407,2 |
723,9 |
504,1 |
5106,3 |
Educazione |
145,8 |
3307,2 |
403,4 |
721,8 |
500,2 |
5078,4 |
Sanità |
4,0 |
14,0 |
3,8 |
2,1 |
3,9 |
28,0 |
Benefici economici netti |
124,2 |
2862,4 |
330,6 |
584,4 |
444,4 |
4346,1 |
Costi del trasferimento |
13,1 |
125,8 |
23,5 |
29,1 |
22,1 |
213,6 |
Benefici finanziari netti |
111,1 |
2736,6 |
307,1 |
555,4 |
422,3 |
4132,5 |
*In miliardi di dollari in PPA (parità di potere d'acquisto). Tra parentesi,
la percentuale del reddito nazionale lordo annuo aggregato. |
DIRITTI SINDACALI VIOLATI NEL MONDO Ogni anno nel mondo circa 200 sindacalisti sono assassinati a causa delle loro
attività in difesa dei diritti dei lavoratori, circa 4000 sono messi in
prigione, più di 1000subiscono attentati o vengono torturati, almeno
10.000 vengono licenziati o perdono il lavoro a causa delle loro legittime rivendicazioni
sindacali. Questi dati sono ricavati da una media sulla situazione mondiale degli
ultimi 10 anni effettuata dalla Confederazione internazionale dei sindacati liberi
(Icftu oCisl internazionale), che nel dicembre 2003 ha presentato un Rapporto
sulle violazioni dei diritti sindacali. Dallo studio dell'organizzazione, che
associa231 Confederazioni sindacali di 150 Paesi e rappresenta circa 158 milioni
di lavoratori, emerge come la libertà sindacale è continuamente
violata e minacciata in tutto il mondo e la repressione si è intensificata
negli ultimi anni, in conseguenza dell'azione di denuncia che i sindacati hanno
attuato sugli effetti perversi della globalizzazione economica in corso. |
considerazioni sul Forum sociale mondiale di Bombay
di Susanna Camusso e Rita Pavan*
Ad oltre un mese dalla partecipazione al
Forum sociale mondiale (Fsm) di Bombay,
e in prossimità della mobilitazione mondiale per la pace del20 marzo
lanciata proprio al Social Forum dalle associazioni pacifiste americane, vogliamo
fare alcune riflessioni. Questo lasso di tempo trascorso consente, forse, un
maggiore distacco emotivo da un evento che è andato oltre le aspettative
di chi, dopo Porto Alegre, poteva pensare che tutto fosse già stato visto.
Molto si è già detto e scritto, durante quei giorni e dopo, negli
articoli di stampa ma soprattutto nelle riunioni che, al rientro da Bombay, sono
state fatte da molte realtà sociali del nostro Paese.
alcune domande frequenti
Ci interessa però focalizzare l'attenzione
su alcune questioni poste da
molti che, assenti fisicamente a Bombay ma sensibili alla problematica, erano
interessati a capire meglio.
Elenchiamo quindi alcune delle domande emerse:
o Ci sono state differenze rispetto alle precedenti edizioni del Fsm svoltesi
a Porto Alegre o si è semplicemente riprodotto un evento, con conseguenti
rischi di ritualità?
o Quali passi in avanti nelle analisi e nelle proposte?
o Eventi come questi servono solo a denunciare un fenomeno o potranno incidere
davvero sui processi di globalizzazione senza regole? In altri termini, si può
parlare di un movimento più "consapevole" e capace di proposta
compiuta?
o Che ruolo reale ha avuto e potrà avere il sindacato internazionale all'interno
di questo movimento?
Senza pretese di completezza, azzardiamo alcune considerazioni.
donne protagoniste
La differenza principale, ma su questo molto si è già detto, è che la scelta di Bombay ha messo in luce come gli appuntamenti precedenti fossero, in fondo, una "diversa faccia della stessa medaglia". Ha consentito di toccare con mano, molto più che a Porto Alegre situata in una zona tra le più"ricche" del Brasile (per non parlare dei Forum europei, ultimo quello di Parigi), cosa significa davvero miseria, sfruttamento, globalizzazione senza regole. Accanto a temi tradizionali, sono stati affrontati temi nuovi quali il"castismo" e il "comunalismo" - termini sconosciuti in altre occasioni analoghe- vale a dire le discriminazioni e l'emarginazione sociale derivanti dall'appartenenza di casta o di comunità etnica. Anche in relazione a ciò, e più che in altre occasioni, si è assistito ad un protagonismo delle donne,evidenziatosi in molte forme: presenza nei dibattiti come relatrici, quindi un maggiore punto di vista femminile; organizzazioni di molti dibattiti specifici(es. tratta e prostituzione); fortissima presenza di movimenti di donne sulle problematiche più disparate (un caso dirompente, fra i molti, l'organizzazione delle donne raccoglitrici di immondizie).
CAMBOGIA: APPELLO PER I DIRITTI SINDACALI
Il 22 gennaio scorso, nella capitale della Cambogia Phnom Penh, è stato
ucciso a colpi d'armada fuoco Chea Vichea, 36 anni, leader del Sindacato libero
dei lavoratori del Regno di Cambogia (Ftuwkc). Vichea era stato fra i fondatori
del partito di opposizione di Sam Rainsy, che aveva lasciato per dedicarsi
completamente all'impegno
sindacale in difesa dei lavoratori dell'industria dell'abbigliamento, pur continuando
a mantenere stretti legami col partito. La morte di Vichea fa seguito a quella
di altri tre membri dell'opposizione,assassinati nelle prime settimane di gennaio.
Al suo funerale hanno partecipato oltre 10.000 persone, con una forte la presenza
delle operaie tessili (le condizioni di vita e di lavoro dei 200.000 occupati
del settore tessile, per il90% donne, sono molto dure). La Cisl Internazionale
ha presentato una denuncia all'Organizzazione internazionale del lavoro: Vichea
aveva ricevuto numerose minacce di morte ed era riuscito in un'occasione a identificarne
gli autori,malgrado ciò non gli è stata concessa alcuna protezione. |
movimenti indiani e asiatici
Aldilà dei commenti un po' folcloristici con cui alcuni media hanno dipinto l'enorme partecipazione dei movimenti indiani, erano oltre 200 le associazioni rappresentate nel comitato organizzatore e che, storicamente divise per stati, caste, comunità,hanno avuto per la prima volta l'opportunità di rendersi visibili. Anche questo spiega il continuo"manifestare" di movimenti, prevalentemente indiani e asiatici, nel corso dei1600 "eventi" che hanno caratterizzato i sei giorni del Forum. C'è stata meno partecipazione "locale" ai dibattiti di carattere generale, per fare un paragone con Porto Alegre, ma non dimentichiamo che oltre il 90% degli iscritti indiani al Forum non conosceva l'inglese, e le traduzione in lingua hindi era presente solo in alcuni grandi dibattiti.
il problema della "diseconomicità"
Sempre più, all'interno di eventi come
quello di Bombay, si sentono analisi
che evidenziano la "diseconomicità" di un mercato senza regole.
Ad esempio Stiglitz, premio Nobel per l'economia, ha sostenuto che la politica
deve tornare ad avere il primato sull'economia e sui presunti "tecnici"
(Fmi, Banca Mondiale,ecc); in un contesto mondiale dinamico, occorre tenere
insieme l'aspetto sociale con quello economico e politico. I tecnici, infatti,
applicano le regole senza preoccuparsi degli effetti sociali devastanti, ma
l'insicurezza crea
instabilità e quindi crisi, in una spirale che non trova vie d'uscita.
La diseconomicità, peraltro, non riguarda solo il livello macroeconomico:
un recente studio dell'Oil (si veda nelle pagine precedenti, ndr.), ad esempio,
rivela che l'eliminazione del lavoro minorile nel mondo potrebbe apportare benefici
economici pari a 5100 miliardi di dollari, cifra quasi sette volte superiore
ai costi stimati per raggiungere questo obiettivo.
un clima di dialogo
Difficile, anzi inopportuno, emettere"verdetti" sulla "maturazione" del movimento. Certamente non sono mancati -anzi - toni radicali, analisi semplificatorie e proposte che potremmo liquidare come velleitarie. Ci permettiamo però due considerazioni. La prima è che in tutti i dibattiti seguiti non si è mai sentita una protesta nei confronti dei relatori, anche quando dicevano cose non popolari per un ambiente come quello(ad esempio rappresentanti di istituzioni internazionali): non è poco, se pensiamo ad altre situazioni dove risse verbali e fischi sono frequenti. La seconda attiene proprio al "clima" che si respirava nelle grandi assemblee,dove si sono affrontati i temi legati al ruolo delle grandi istituzioni internazionali. Non parliamo tanto del Fondo monetario internazionale (Fmi) o della Banca Mondiale (ci mancherebbe avessero avuto simpatizzanti proprio lì!). Pensiamo piuttosto al ruolo dell'Onu o dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil): non sono mancate forti critiche, ma negli interventi anche dal pubblico molte erano le voci che, in fondo, sostenevano come l'"abbattimento"delle istituzioni internazionali non possa certo migliorare l'attuale situazione.
qualche cambiamento per il futuro
Come nelle precedenti occasioni, non c'è
stato un documento conclusivo,
che certo sarebbe stato utile per lasciare una traccia concreta di analisi e
prospettive. Ma in tutta onestà sarebbe stato impossibile fare sintesi
di punti di vista, condizioni ed esigenze tanto diverse.
Va colto quindi con positività l'orientamento assunto dal Consiglio internazionale
(l'organismo che guida l'organizzazione del Forum) di "biennalizzare"
l'evento mondiale - per non sovrapporlo a quelli continentali e monotematici
- e soprattutto di evitare il rischio di "Forum supermarket", dove
tutti parlano di tutto. Si definiranno alcuni argomenti prioritari e si stabilirà
un'agenda operativa comune, per rendere più utile un'opportunità
oggi superiore alla possibilità di fruirne.
il ruolo del sindacato
Molte organizzazioni sindacali a
livello nazionale e internazionale (tra le tante,
la Federazione mondiale dell'edilizia), stanno giocando un nuovo ruolo: aumenta
la consapevolezza che i temi della globalizzazione cambiano anche la tradizionale
azione sindacale. A Bombay, più che in altre occasioni analoghe, i temi
del lavoro e del sindacalismo mondiale sono stati affrontati in vari dibattiti:
anche grazie, va detto, al ruolo giocato dall'Oil. La manifestazione mondiale
sindacale ha reso visibile ciò che in altre situazioni era rimasto relegato
ai soli partecipanti ai dibattiti. Inoltre, la Cisl Internazionale ha chiaramente
fatto la scelta di esserci e di essere "parte" di questo movimento,
nonostante il rapporto non sempre sia facile. Esistono problemi di differenze
strategiche e, perché no, anche di rappresentanza.
Ma, inutile nasconderselo, siamo lontani da un ruolo vero di protagonismo della
struttura sindacale mondiale all'interno di questo movimento composito. A ben
pensare, il sindacato internazionale, con i suoi 151 milioni di iscritti, 233
sindacati affiliati in rappresentanza di 152Paesi, è l'organizzazione
sociale "globale" più forte del mondo: chi altri, se non la
Cisl Internazionale, avrebbe dovuto portare alla ribalta dell'opinione
pubblica
i problemi legati alla globalizzazione? Il fatto che ciò non sia
inizialmente
avvenuto ci fa riflettere: la strada da fare per un ruolo di orientamento e guida
di un movimento capace di incidere davvero sulla scena mondiale è ancora
molto in salita.
*Cgil e Cisl Lombardia, partecipanti al Forum
BASTA SANGUE IN UGANDA "NelNord-Uganda da 17 anni è in corso una terribile guerra civile,
di cui nessuno parla. Ogni giorno il cosiddetto Esercito di Liberazione del Signore
(LRA),guidato da Joseph Kony, commette massacri, mutilazioni, torture di civili
e rapimenti di bambini e bambine, destinati a diventare soldati e schiave. I
bambini-soldato
vengono usati come carne da macello, drogati, violentati,costretti ad assassinare
i loro familiari e coetanei, obbligati a mangiare carne umana perché,
perdendo la propria umanità, possano compiere atti disumani. In Uganda
"la situazione umanitaria è peggiore di quella in Iraq: non c'è
nessun altro posto al mondo con un'emergenza di questo livello, che richiama
così poco l'attenzione internazionale" ha dichiarato recentemente
Jan Egeland, vicesegretario generale dell'Onu. A questa presa di posizione non
è ancora seguita alcuna iniziativa da parte della comunità
internazionale,
mentre i missionari Comboniani da mesi chiedono inutilmente l´invio dei
Caschi Blu per difendere la popolazione civile. Ora basta! La terra ugandese
è stanca di bere sangue, per questo ci appelliamo al Parlamento e al governo
italiano, al Parlamento e ai governi d'Europa e alla comunità internazionale
per porre fine a questa follia. Chiediamo la presenza attiva dell'Onu per salvare
la vita di molte persone e dare inizio a un processo di pace". |
All'inizio del 2004 la popolazione dell'Unione europea era di 380,8 milioni di
abitanti,quella della "zona euro" di 306,9 milioni e quella di nuovi
Stati membri eStati "aderenti" (Romania e Bulgaria) di 74,1 milioni.
Nel corso del 2003 la popolazione dell'Ue è dunque aumentata del 3,4
e ciò è avvenuto per un incremento naturale dello 0,8 e per
una migrazione netta del 2,6. Nei nuovi Stati membri, invece, malgrado
un tasso di migrazione netta dello 0,4 la popolazione è diminuita
dello 0,8 a causa di un incremento naturale negativo(-1,2).
E'quanto emerge dalle prime stime demografiche per il 2003 che Eurostat ha
pubblicato
lo scorso 9 gennaio. In totale, dunque, la popolazione dell'Ue è aumentata
di 1.276.000 persone, il che rappresenta una crescita conforme a quella degli
ultimi anni ma modesta rispetto agli incrementi registrati negli anni Cinquanta
e Sessanta.
L'aumento della popolazione varia però sensibilmente tra i vari Stati
membri, con l'Irlanda nettamente in testa al gruppo europeo (+15,3), seguita
a distanza da Spagna (+7,2) e Portogallo (+6,9). In coda c'è
la Germania (+0,1), piuttosto staccata dalle penultime Danimarca e Grecia
(+2,6 ciascuno).
Trai nuovi Stati membri, invece, la metà ha visto diminuire la propria
popolazione,
con punte massime registrate in Lettonia (-5,6.) e Lituania (-4,5),
mentre i rialzi più significativi sono stati quelli di Cipro (+17,4)e
Malta (+5,7).
Il totale delle nascite nel 2003 è stato di 4,03 milioni nell'Ue, che
rappresenta un aumento dell'1,1% rispetto al 2002: il livello più basso
del dopoguerra. I tassi di natalità più elevati sono stati osservati
in Irlanda (15,5 nascite per1000 abitanti), in Francia (12,7), nei Paesi
Bassi (12,6) e in Danimarca(12,0). La Germania (8,6), la Grecia
(9,3), l'Italia (9,4) e l'Austria(9,5) hanno invece fatto
registrare i tassi di natalità più bassi.
Trai nuovi Stati membri e quelli in adesione, il tasso di natalità più
elevato è stato registrato a Cipro (11,1), unico tasso superiore
alla media dell'Ue(10,6), e il più basso in Slovenia (8,6).
Per quanto concerne invece la mortalità, i tassi più elevati nel
2003 sono stati quelli di Danimarca (10,7 decessi per 1000 abitanti), Germania
e Svezia (10,4ciascuno). L'Irlanda (7,3), con la sua popolazione
relativamente giovane, è lo Stato membro che registra il tasso di mortalità
più basso.
Nel bilancio tra nati e morti, l'incremento naturale più elevato è
stato quello dell'Irlanda (+8,3), mentre hanno registrato un tasso negativo
Germania(-1,8), Italia (-0,8) e Grecia (-0,1).
Oltre i tre quarti dell'incremento della popolazione dell'Ue nel 2003 è
dovuto all'immigrazione. La Spagna è il Paese europeo che ha registrato
la percentuale di immigrazione più elevata (il 23% del totale dell'Ue),
seguita da Italia (21%), Germania(16%) e Regno Unito (10%). In relazione all'incidenza
che gli immigrati hanno avuto sulla crescita della popolazione, invece, i tassi
netti di migrazione più alti sono stati quelli di Irlanda (+7),
Portogallo (+6,1) e Spagna (+5,5), i più bassi in Olanda (+0,2)
e Francia (+1). Per l'Italia, la Germania e la Grecia, sottolinea Eurostat,
senza l'arrivo degli immigrati legali la popolazione complessiva avrebbe subito
una riduzione.
Fonte:Eurostat, gennaio 2004
TABELLA EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE EUROPEA NEL 2003
Popolazione al gennaio 2003 (in migliaia) | Nascite per 1000 abitanti | Decessi per 1000 abitanti | Incremento naturale per 1000 abitanti | Migrazioni nette** per 1000 abitanti | Incremento totale per 1000 abitanti | Popolazione al gennaio 2004 (in migliaia) | |
UE15 |
379.483 |
10,6 |
9,8 |
0,8 |
2,6 |
3,4 |
380.759 |
Zona euro |
305.829 |
10,4 |
9,7 |
0,6 |
2,8 |
3,4 |
306.868 |
Belgio |
10.356 |
10,7 |
10,2 |
0,6 |
3,4 |
3,9 |
10.397 |
Danimarca |
5384 |
12,0 |
10,7 |
1,3 |
1,3 |
2,6 |
5398 |
Germania |
82.537 |
8,6 |
10,4 |
-1,8 |
1,9 |
0,1 |
82.545 |
Grecia |
11.018 |
9,3 |
9,4 |
-0,1 |
2,7 |
2,6 |
11.047 |
Spagna |
40.683 |
10,7 |
9,0 |
1,7 |
5,5 |
7,2 |
40.978 |
Francia |
59.629 |
12,7 |
9,2 |
3,5 |
1,0 |
4,5 |
59.896 |
Irlanda |
3964 |
15,5 |
7,3 |
8,3 |
7,0 |
15,3 |
4025 |
Italia |
57.321 |
9,4 |
10,3 |
-0,8 |
3,6 |
2,8 |
57.482 |
Lussemburgo |
448 |
11,5 |
8,5 |
3,0 |
2,5 |
5,6 |
451 |
Paesi Bassi |
16.193 |
12,6 |
8,8 |
3,8 |
0,2 |
4,0 |
16.258 |
Austria |
8067 |
9,5 |
9,6 |
0,0 |
3,1 |
3,1 |
8092 |
Portogallo |
10.408 |
10,8 |
9,9 |
0,9 |
6,1 |
6,9 |
10.480 |
Finlandia |
5206 |
10,8 |
9,2 |
1,6 |
1,1 |
2,7 |
5220 |
Svezia |
8941 |
11,0 |
10,4 |
0,6 |
3,2 |
3,8 |
8975 |
Regno Unito |
59.329 |
11,6 |
10,2 |
1,4 |
1,7 |
3,2 |
59.518 |
Islanda |
289 |
14,1 |
6,3 |
7,8 |
-0,9 |
6,9 |
291 |
Liechtenstein |
34 |
11,7 |
5,9 |
5,9 |
5,9 |
11,7 |
34 |
Norvegia |
4552 |
12,0 |
9,4 |
2,6 |
2,5 |
5,1 |
4576 |
EEE |
384.357 |
10,6 |
9,8 |
0,8 |
2,6 |
3,4 |
385.659 |
Svizzera |
7324 |
9,7 |
8,5 |
1,2 |
6,0 |
7,2 |
7377 |
Nuovi Stati membri e Paesi aderenti |
74.201 |
9,2 |
10,4 |
-1,2 |
0,4 |
-0,8 |
74.141 |
Repubblica ceca |
10.203 |
8,9 |
10,5 |
-1,6 |
2,4 |
0,8 |
10.211 |
Estonia |
1356 |
9,6 |
13,3 |
-3,7 |
-0,1 |
-3,8 |
1351 |
Cipro* |
715 |
11,1 |
7,8 |
3,3 |
14,1 |
17,4 |
728 |
Lettonia |
2332 |
8,8 |
14,1 |
-5,2 |
-0,3 |
-5,6 |
2319 |
Lituania |
3463 |
8,8 |
11,8 |
-3,0 |
-1,4 |
-4,5 |
3447 |
Ungheria |
10.142 |
9,5 |
13,4 |
-3,9 |
1,2 |
-2,7 |
10.115 |
Malta |
397 |
10,0 |
8,2 |
1,8 |
3,9 |
5,7 |
400 |
Polonia |
38.219 |
9,2 |
9,4 |
-0,2 |
-0,4 |
-0,6 |
38.194 |
Slovenia |
1995 |
8,6 |
9,6 |
-1,0 |
1,8 |
0,8 |
1997 |
Slovacchia |
5379 |
9,6 |
9,6 |
0,0 |
0,3 |
0,3 |
5381 |
Bulgaria |
7846 |
8,4 |
14,3 |
-5,9 |
- |
-5,9 |
7799 |
Romania |
21.773 |
9,6 |
12,2 |
-2,6 |
0,0 |
-2,6 |
21.716 |
* Territorio controllato dal
governo ** Comprese le correzioni dovute ai censimenti della popolazione, alle cifre dei registri dello stato civile, ecc. |
Europarlamento: Patto di stabilità "più intelligente"
Il Parlamento europeo ha approvato lo scorso 26
febbraio una risoluzione che
invita la Commissione europea a proporre adeguamenti per un'applicazione "più
intelligente" del Patto di stabilità e crescita. L'aula ha
ridimensionato
le critiche alla decisione presa nel novembre scorso dal Consiglio dei ministri
economici e finanziari (Ecofin) di bloccare le procedure di disavanzo eccessivo
contro Francia e Germania e soppresso il paragrafo della risoluzione che appoggiava
la scelta della Commissione di ricorrere alla Corte di giustizia contro la decisione
dell'Ecofin. Secondo l'Europarlamento,l'Ecofin ha agito per "promuovere
iniziative a favore della crescita in Europa"e ritiene che queste proposte
"dovrebbero trovare più chiaramente riscontro nelle conclusioni del
Consiglio sull'iniziativa europea per la crescita".
Il Parlamento europeo ritiene che esista un margine di manovra per portare la
spesa a un livello compreso fra l'1 e l'1,27% del Pil2004-2006, in linea con
le attuali prospettive finanziarie 2000-2006 e con gli obiettivi di Lisbona nonché
con la promozione delle attività di investimento privato. Gli eurodeputati
chiedono inoltre che vengano dati "nuovi indirizzi alla spesa pubblica,
in modo che le varie rubriche di bilancio a livello europeo e nazionale riflettano
le priorità politiche stabilite per il 2010".
bassa nell'Ue la spesa per ricerca
La spesa per la ricerca in Europa è ferma e questo mette a rischio
il raggiungimento
dell'obiettivo del 3% del Pil entro il 2010 stabilito dall'Ue.L'Unione si conferma
un importatore netto di alta tecnologia e le proprie prestazioni potrebbero essere
ulteriormente rallentate dai bassi livelli di spesa in scienza e tecnologia registrati
nei dieci nuovi Stati membri. E'quanto emerge da uno studio congiunto di Eurostat
e Commissione europea, che hanno rilevato e analizzato i dati sulle spese in
ricerca e sviluppo dei Quindici e dei Dieci nel periodo 2000-2002.
Dopo aver speso l'1,98% del Pil in ricerca e sviluppo nel2001, l'Ue ha fatto
registrare nel 2002 spese pari all'1,99% del Pil. Una stagnazione degli investimenti
che rischia di diventare flessione con la riunificazione dell'Ue, dal momento
che i Nuovi Stati membri hanno fatto registrare una spesa media dello 0,83% del
Pil nel 2000 e dello 0,84% nel 2001.A fronte delle modeste prestazioni europee,
nel 2001 gli Usa hanno speso per ricerca e sviluppo il 2,80% del proprio Pil
e il Giappone il 2,98%. Anche se le prestazioni di alcuni Paesi quali Svezia
e Finlandia (rispettivamente 4,27% e3,40% del Pil in ricerca nel 2001) sono
incoraggianti, rileva lo studio, la maggior parte degli Stati membri non fa registrare
passi avanti significativi e nei Paesi più grandi si assiste a una stagnazione
tra il 2000 e il 2001. La Germania, ad esempio, è rimasta al 2,49%, mentre
la Francia è passata dal 2,18%al 2,23% e la Gran Bretagna dall'1,85%
all'1,89%, ma dai dati relativi 2002emerge una contrazione delle spese in Francia
(-0,03%) e Gran Bretagna(-0,05%). L'Italia, con l'1,07% che rappresenta una
percentuale nettamente inferiore alla media europea, è al terz'ultimo
posto tra i Paesi dell'Ue, davanti solo alla Grecia (0,67%) e alla Spagna (0,94%).
(Fonte: Ansa)
nuova Campagna contro la pena di morte
Una nuova Campagna contro la pena di morte, indirizzata a contrastare le
esecuzioni in
Africa, è stata lanciata il 14 febbraio scorso dall'associazione "Nessuno
tocchi
Caino" con il supporto dell'Ue. La Campagna in Africa, sostiene l'associazione,
sarà convergente con quella in Europa per superare dubbi e timori sulla
validità di una moratoria internazionale e sulle possibilità che
una
risoluzione passi alle Nazioni Unite. Durante il suo turno alla presidenza
dell'Ue,
nel secondo semestre 2003, l'Italia aveva rinunciato a presentare la
risoluzione
all'Assemblea generale dell'Onu, una decisione deludente per le organizzazioni
che lottano contro la pena capitale ma che "non ha dismesso l'impegno"
affinché sia l'Ue a portare la moratoria all'Onu, hanno ricordato i
responsabili
dell'associazione. I dati mostrano una situazione in miglioramento negli ultimi
10 anni: nel 1993 erano 97 i Paesi dell'Onu che mantenevano la pena di morte,
oggi sono 62. Nonostante ciò, le esecuzioni continuano: nel 2002sono
state compiute da 32 Paesi circa 4069 esecuzioni e la situazione è particolarmente
grave in Cina e Iran, Paesi dove si registra l'85% del totale mondiale delle
esecuzioni.
INFORMAZIONI: www.nessunotocchicaino.it
droghe: allarme epatite C
L'Osservatorio europeo sulle droghe e
le tossicodipendenze (Emcdda) ha lanciato
nelle scorse settimane un allarme sull'epidemia latente'' del virus dell'epatite
C (Hcv) tra i tossicodipendenti che si iniettano droghe in Europa.
Secondo l'Osservatorio il fenomeno ha ormai assunto dimensioni "inquietanti"
e interessa almeno 500.000 persone (circa la metà di quelle infette dal
virus Hcv nell'Ue). L'infezione da epatite C tra chi fa uso di stupefacenti per
via endovenosa si è trasformata nel corso degli ultimi anni"in una
vera e propria epidemia", la cui incidenza è nettamente più
elevata rispetto al contagio da Hiv e si diffonde a una velocità dieci
volte superiore rispetto all'Aids. I dati dell'Emcdda mostrano che la diffusione
del virus tra chi usa la siringa da meno di due anni varia tra il 30% e il 90%
a seconda della popolazione esaminata. In particolare, i consumatori di droghe
per via endovenosa "sono ormai il gruppo a più alto rischio Hcv e
rappresentano fino al60%-90% dei nuovi infetti". La percentuale di infetti
da epatite C tra i tossicodipendenti "iniettori'' è del 62% in Portogallo,
60% in Spagna e Austria e 55% in Irlanda. L'Italia, insieme al Belgio, segue
a ridosso dell'Irlanda con il 47%. Ai circa 500.000 tossicodipendenti infetti,
sostiene l'Emcdda, vanno aggiunti gli ex tossicodipendenti per via endovenosa
e le persone infettatesi per altre via, raggiungendo così un totale di
oltre un milione di persone affette da epatite C nell'Ue. Il problema viene ulteriormente
aggravato dall'emergente diffusione di uso di stupefacenti per iniezione nei
nuovi Stati membri dell'Ue.
"Ogni anno di ritardo nella prevenzione di tali infezioni comporta un incremento
dei costi di trattamento pari a 1,4 miliardi di euro" sostiene l'Emcdda
che lancia un appello urgente a tutti gli Stati membri dell'Ue: "I responsabili
politici non si possono permettere di ignorare le implicazioni di questa epidemia
latente. L'atteggiamento di inerzia da parte della sanità pubblica può
avere serie conseguenze".
INFORMAZIONI: www.emcdda.org
discriminazioni e razzismo nell'Ue
Secondo la Commissione contro il razzismo
e l'intolleranza, organo specializzato
del Consiglio d'Europa, alcuni fenomeni di discriminazione e incitamento all'odio
razziale continuano a destare preoccupazione in Europa. Presentando il 27 gennaio
scorso cinque nuovi Rapporti su Belgio, Svizzera, Bulgaria, Norvegia e Slovacchia,
la Commissione ha constatato "un'evoluzione positiva" ma anche elementi
preoccupanti. Per il Belgio, ad esempio, la Commissione segnala la questione
dei partiti politici di estrema destra che fanno "uso di una propaganda
razzista o xenofoba". La crescita di manifestazioni di antisemitismo e di
islamofobia, sottolinea, "richiedono sforzi da parte di tutta la società
belga". Per quanto concerne la Svizzera,invece, il Consiglio d'Europa critica
il "trattamento discriminatorio dellapolizia verso alcune minoranze come
quelle nere africane". Anche il problema delle richieste di asilo e dei
rifugiati politici "suscita un dibattito negativo e ostile". Per la
Bulgaria le discriminazioni individuate sono soprattutto quelle contro i Rom,
così come in Slovacchia dove si aggiungono anche "gravi manifestazioni
di brutalità di polizia". In Norvegia, poi, "resta molto da
fare perché gli immigrati possano avere un impiego e un alloggio".
INFORMAZIONI: www.coe.int
Onu: l'Ue ha bisogno di immigrati
"L'Europa ha bisogno di immigrati e se chiude le sue porte rischia la stagnazione; nei prossimi anni l'immigrazione sarà uno dei terreni principali su cui l'Unione europea verrà messa alla prova". E' quanto ha affermato il 29 gennaio scorso il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, intervenuto nell'aula del Parlamento europeo per ritirare il "premio Sakharov''. Secondo Annan, le società europee hanno bisogno di immigranti, perché senza l'immigrazione la popolazione dei Paesi dell'Ue diminuirà: da circa 450 milioni di persone oggi, potrebbe scendere a meno di 400 milioni nel 2050. I Paesi europei, ha dichiarato Annan,"potranno allora riscontrare una mancanza di mano d'opera per far funzionare l'economia e assicurare certi servizi, e le conseguenze saranno il marasma e la stagnazione". Secondo il segretario generale dell'Onu, la chiusura delle frontiere non solo nuocerebbe a lungo termine alla loro situazione economica e sociale, ma porterebbe un numero sempre più elevato di persone a tentare di entrare illegalmente sul territorio europeo, con gravi rischi per la loro incolumità e per i loro diritti. Annan ha quindi esortato i governi europei ad adottare politiche di integrazione degli immigrati, perché "un'Europa aperta e capace di gestire l'immigrazione sarà un'Europa più giusta, più ricca, più forte e più giovane".
PROGETTO "INNOVACION Y TRABAJO" Da 10 anni la Ces e la Confederazione europea delle cooperative di lavoro e delle
imprese sociali e partecipate (Cecop) si impegnano in un dialogo sulla lotta
alla disoccupazione,per il miglioramento dell'occupabilità e dell'organizzazione
del lavoro. Le due confederazioni hanno collaborato anche su temi come la responsabilità
sociale delle imprese e le politiche di inclusione, dialogo che si articola anche
a livello nazionale: il trasferimento di impresa in Italia, la formazione in
Francia,
le norme sul lavoro, specialmente del lavoro autonomo, in Spagna. |