Inserto n. 50:
Inclusione sociale


più impegno e coordinamento contro l’esclusione sociale nell’Ue

La strategia europea per la crescita e l’occupazione sta dando i suoi frutti, secondo la Commissione europea: aumenta il numero degli occupati, si riduce la disoccupazione in tutta Europa e la crescita, seppur condizionata dalla situazione internazionale, si conferma su basi ancora solide. La crescita economica e la creazione di posti di lavoro non migliorano però automaticamente la situazione delle persone più emarginate nella società europea, perciò è necessario «far interagire le varie politiche per assicurare la piena inclusione dei più vulnerabili». È quanto affermato dal commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari sociali, Vladimír Špidla, nel febbraio scorso durante la presentazione dell’annuale Relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale nell’Ue, contenente le priorità e i progressi compiuti in relazione alla povertà infantile, al prolungamento della vita attiva, ai fondi pensione privati, alle disuguaglianze nel campo della salute e all’assistenza di lunga durata. In pratica, la Commissione ritiene necessario intensificare gli sforzi per la piena realizzazione delle potenzialità dell’Europa e il completo conseguimento degli obiettivi di sviluppo economico e sociale. L’Unione europea e i suoi Stati membri, pur essendo una delle regioni più ricche del mondo, sono ancora molto lontani dall’obiettivo di imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà, fissato dal Consiglio europeo in occasione del varo della Strategia di Lisbona nel marzo del 2000. Anche se la situazione varia notevolmente da uno Stato membro e all’altro, in genere il grado di indigenza e di cumulo di svantaggi, che si registra ancora oggi nell’Ue, è sentito come un fenomeno socialmente, moralmente ed economicamente inaccettabile.
Una parte consistente della popolazione dell’Ue resta infatti socialmente esclusa, dato che il 16% circa della popolazione europea è a rischio di povertà monetaria, un europeo su cinque vive in un alloggio insalubre, il 10% vive in un nucleo familiare in cui nessuno lavora, la disoccupazione di lunga durata raggiunge quasi il 4%, il tasso di abbandono scolastico supera il 15% e l’ancora carente accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta un aspetto sempre più importante di esclusione sociale.
Eppure, l’inserimento sociale e la lotta contro la povertà fanno parte integrante degli obiettivi dell’Ue per quanto riguarda la crescita e l’occupazione. Il coordinamento delle politiche nazionali in materia di protezione e di inserimento sociali è basato su un processo di scambi e di insegnamenti reciproci meglio conosciuto come «metodo di coordinamento aperto». Oltre all’eliminazione della povertà e dell’emarginazione sociale, la base di tale processo per i prossimi anni comprende la transizione verso pensioni sostenibili e adeguate, nonché cure sanitarie e di lunga durata accessibili, sostenibili e di qualità. La disoccupazione, la salute, l’invalidità, la situazione familiare e l’invecchiamento costituiscono fonti di precarietà alle quali i sistemi di protezione sociale esistenti nell’Ue permettono di far fronte, perché garantiscono l’accesso a vari servizi indispensabili alla dignità umana. Se l’organizzazione e il finanziamento di questi sistemi spettano agli Stati membri, l’Ue svolge tuttavia un ruolo particolare tramite la sua legislazione che coordina i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell’ambito dello spazio comunitario. L’Ue si sta inoltre impegnando al fine di promuovere una maggiore collaborazione tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale.

LINK EUROPEI UTILI

Istituzioni europee
• Commissione europea, inclusione sociale: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/poverty_social_exclusion_en.htm
• Commissione europea, protezione sociale: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/social_protection_en.htm
• Parlamento europeo, Commissione occupazione e Affari sociali: http://www.europarl.europa.eu/activities/committees/homeCom.do?language=IT&body=EMPL
• Agenda sociale 2006-2010: http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c10127.htm
• Comitato economico e sociale europeo: http://www.eesc.europa.eu/index_en.asp
• Agenzia europea dei diritti fondamentali: http://fra.europa.eu/fra/index.php?lang=EN

Organizzazioni internazionali
• Consiglio d’Europa, coesione sociale e qualità della vita: http://www.coe.int/T/I/Coesione_sociale/default.asp
• Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico: http://www.oecd.org
• Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa: http://www.osce.org
• ONU, sviluppo sociale ed economico: http://www.un.org/esa
• Campagna del Millennio contro la povertà: http://www.endpoverty2015.org

Organizzazioni non governative
• Confederazione Europea dei Sindacati: http://www.etuc.org
• Social Platform: http://www.socialplatform.org
• European Anti Poverty Network: http://www.eapn.org/code/en/hp.asp
• Eurochild:http://www.eurochild.org/index.php?id=20&L=0
• EuroHealthnet:http://www.eurohealthnet.eu
• AGE, the European Older People’s Platform: http://www.age-platform.org/EN
• European Disability Forum: http://www.edf-feph.org

 

la Relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale

Le riforme nel campo della protezione sociale e le politiche di inclusione attiva hanno contribuito nell’ultimo anno a dare impulso alla crescita e all’occupazione in Europa, facendo entrare un maggior numero di persone nel mercato del lavoro, rafforzando la coesione sociale e rendendo maggiormente sostenibili le finanze pubbliche. Il finanziamento della protezione sociale dipende da un allargamento della sua base finanziaria e oltre agli oneri fiscali sul lavoro entrano in gioco anche altri tipi di imposizione fiscale. È necessario però ottimizzare la qualità della spesa sociale se si vuole mantenere un livello adeguato di protezione sociale e garantire finanze pubbliche sane, osserva la Relazione congiunta sulla protezione e l’inclusione sociale nell’Ue adottata nel febbraio scorso. L’introduzione del “metodo aperto di coordinamento” in materia di politiche sociali ha migliorato la comprensione dei fenomeni, ha promosso l’apprendimento reciproco tra gli Stati membri incoraggiando un migliore monitoraggio e una rendicontazione più mirata. Complessivamente, dunque, si sono registrati risultati promettenti. Tuttavia, la Relazione rileva la necessità di un maggiore impegno per assicurare che le ricadute positive raggiungano le persone ai margini della società e per migliorare la coesione sociale.

buoni risultati per i lavoratori più anziani
In seguito alle riforme introdotte nell’ambito della Strategia di Lisbona, in Europa è ripresa la crescita, sono stati creati nuovi posti di lavoro ed è in calo la disoccupazione. Gli effetti positivi sulla coesione sociale sono evidenti se si considera, ad esempio, il calo dei tassi di disoccupazione di lunga durata.
Uno dei segnali maggiormente positivi che emerge dalla Relazione è la continua e sensibile crescita del tasso di occupazione di anziani e donne, che secondo la Commissione dovrebbero essere i maggiori beneficiari delle assunzioni previste nei prossimi anni: per i primi il tasso di occupazione raggiunge quasi il 44% (l’obbiettivo comunitario è del 50%), mentre per le donne il tasso è del 57,2% (con l’obbiettivo del 60%). Sul fronte dell’occupazione femminile risulta particolarmente incoraggiante la diminuzione della disoccupazione al 9% circa (7,6% per gli uomini), mentre il dato generale sulla disoccupazione si colloca sotto al 7%, ovvero il più basso dalla metà degli anni Ottanta. Diminuisce anche la disoccupazione di lunga durata: dal 4% al 3,6%, segno della buona tenuta strutturale dell’attuale mercato del lavoro, osserva la Relazione.
Per quanto riguarda i lavoratori più anziani, i tassi di occupazione sono aumentati per tutte le categorie. Il tasso complessivo di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni è passato dal 38% nel 2001 al 44% nel 2006 (il 34,8% per le donne, il 52,6% per gli uomini) e nove Paesi (Danimarca, Estonia, Irlanda, Cipro, Lettonia, Portogallo, Finlandia, Svezia e Regno Unito) hanno raggiunto o superato l’obiettivo di Lisbona fissato al 50% entro il 2010, anche se il tasso di occupazione dei lavoratori anziani rimane ancora intorno al 30% in alcuni Paesi (Belgio, Italia, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Polonia, Slovenia e Slovacchia) e tra il 35% e il 45% in altri (Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Spagna e Francia). Le misure attive di inclusione, come anche le riforme dei sistemi pensionistici e dei mercati del lavoro, hanno migliorato gli incentivi a lavorare, ma rimangono ancora sacche di manodopera non valorizzate. Insieme agli sforzi volti a incrementare la produttività ciò contribuirà a creare una base più solida per i sistemi di protezione sociale e a garantire l’adeguatezza e la sostenibilità delle pensioni, a patto che i mercati del lavoro si aprano ai lavoratori anziani.
È noto, osserva uno studio pubblicato nel 2007 dal Comitato protezione sociale istituito presso la Direzione Generale Occupazione della Commissione europea, che i progressi socio-economici possono essere significativamente inferiori negli Stati membri dove il tasso di occupazione delle persone più anziane è più basso. Lo studio rileva come il generale incremento dell’occupazione tra gli anziani sia direttamente collegato al crescente numero di persone che decidono di prolungare la loro permanenza nel mercato del lavoro e a una riduzione delle ore di lavoro: il tasso del lavoro part time tra le persone più anziane al lavoro è infatti aumentato notevolmente nell’Ue nell’ultima decade, raggiungendo il 25% circa nell’Ue-15, il 22,5% nell’Ue-25 e il 22% nell’Ue-27.  
Le riforme strutturali del mercato del lavoro e delle pensioni attuate negli ultimi dieci anni nella maggior parte dei Paesi (in alcuni Stati membri sono tuttora in corso) si basano su un approccio fondato sul ciclo di vita, rafforzando il legame tra contributi pensionistici e prestazioni, nonché su strategie di invecchiamento attivo, limitando l’accesso ai regimi di prepensionamento, sviluppando gli incentivi al prolungamento della vita attiva e migliorando la capacità d’inserimento professionale dei lavoratori anziani. Tali riforme mirano innanzitutto a restringere l’ammissibilità, creando al contempo condizioni favorevoli alla permanenza dei lavoratori anziani sul mercato del lavoro (con eccezioni nel caso di lavori particolarmente impegnativi o pericolosi), a offrire maggiori incentivi sia ai lavoratori, affinché restino attivi più a lungo, sia ai datori di lavoro, affinché assumano e mantengano in attività lavoratori anziani, nonché ad aumentare le prospettive di impiego per i disabili e i lavoratori meno qualificati, migliorando le condizioni di lavoro, convalidando l’apprendimento non formale e offrendo possibilità di acquisizione di nuove competenze, di riconversione professionale e di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
È necessario che tali riforme siano completate da misure di flessicurezza, sottolinea la Relazione congiunta, al fine di migliorare sia la quantità che la qualità dei posti di lavoro, in particolare per coloro il cui percorso professionale è meno regolare, con un livello salariale basso e difficoltà ad acquisire il diritto a una pensione adeguata. Le persone che fruiscono di una pensione anticipata rappresentano spesso il 20% circa della popolazione di età compresa tra 55 e 64 anni. Pertanto, limitare la fruizione di tali prestazioni può contribuire notevolmente al prolungamento della vita attiva.
Benché le riforme delle pensioni siano ben avviate, osserva la Relazione, vanno monitorati regolarmente i loro effetti sull’equità delle prestazioni, sul rischio di povertà e sulla sostenibilità. Occorre sensibilizzare gli interessati sui rischi legati ai diversi regimi pensionistici, affinché essi possano operare una scelta ponderata.

lotta alla povertà, soprattutto infantile
Avere un lavoro è il modo migliore per evitare l’esclusione ma non sempre è una garanzia, sottolinea la Relazione congiunta. L’8% circa dei cittadini dell’Ue vive a rischio di povertà anche se ha un lavoro. Persino in un mercato del lavoro dinamico, la percentuale delle famiglie senza lavoro può mantenersi stabile; alcune di esse tendono a restare prigioniere di un ciclo in cui si avvicendano periodi a bassa retribuzione e periodi senza retribuzione.
Se si considera la popolazione totale, il 16% circa dei cittadini dell’Ue, cioè quasi 80 milioni di persone, è esposto al rischio di povertà legata al reddito e tra queste risultano particolarmente esposte le donne. Nella maggior parte degli Stati membri, poi, i bambini e i giovani figurano tra i gruppi vulnerabili che corrono un rischio ancor più elevato. Infatti, sui 78 milioni di europei che vivono attualmente a rischio di povertà 19 milioni sono bambini, i quali si trovano in questa condizione perché vivono in nuclei familiari con genitori disoccupati o a scarsa intensità lavorativa o perché il lavoro dei loro genitori non è sufficientemente redditizio e le iniziative a sostegno dei redditi sono inadeguate.
Il rischio di povertà infantile nell’Ue (19%) supera quello della popolazione generale. Nei Paesi più colpiti la percentuale di bambini poveri si avvicina al 30%. Il 10% circa dei minori vive in famiglie in cui nessuno lavora e il 60% di loro è a rischio di povertà. Nonostante i progressi globali realizzati a livello di presenze sul mercato del lavoro, tale cifra è rimasta invariata dal 2000. Se lavorano entrambi i genitori, solo il 7% dei bambini è esposto al rischio di povertà, ma la percentuale aumenta al 25% quando lavora solo un genitore. Tra gli altri fattori di rischio, oltre a una scarsa dinamica dell’occupazione, vi sono anche il vivere in una famiglia monoparentale o in una famiglia numerosa. Con le prestazioni sociali il rischio di povertà cui sono esposti i minori si riduce mediamente del 44%. La povertà infantile è il risultato di una complessa interazione tra tali fattori. I risultati migliori si registrano per lo più in Paesi che affrontano tale problematica a tutti i livelli e trovano un giusto equilibrio tra le misure dirette alla famiglia e quelle mirate specificamente alla tutela del minore.
Per spezzare il circolo della povertà e dell’esclusione, sottolinea la Relazione congiunta, occorrono politiche sociali mirate e si deve fare in modo che ogni bambino renda meglio a scuola se si vogliono assicurare le pari opportunità per tutti. L’istruzione può svolgere un ruolo fondamentale per compensare svantaggi socio-economici, creando condizioni favorevoli allo sviluppo positivo del minore. Gli Stati membri riconoscono la necessità di garantire pari opportunità a tutti i bambini per quanto riguarda le infrastrutture per la loro custodia e l’istruzione prescolare; essi adottano sempre più misure preventive di lotta contro l’abbandono scolastico precoce. Tuttavia, per combattere il rischio di esclusione sociale cui sono esposti bambini e giovani che risentono di molteplici svantaggi, ad esempio la particolare emarginazione cui sono fatti oggetto i bambini rom, è necessario adottare ulteriori misure. Andrebbero incoraggiati maggiormente programmi didattici, mirati a tali gruppi svantaggiati, da attuarsi con la collaborazione attiva dei genitori. Si devono rafforzare le politiche di inclusione e di antidiscriminazione anche in relazione ai lavoratori migranti e ai loro figli e alle minoranze etniche.
In genere, osserva la Relazione, i bambini sono poveri se vivono in famiglie povere. Le condizioni di vita del minore migliorano se migliora la situazione economica della famiglia grazie ad un aiuto diretto – finanziario o sotto forma di prestazione di servizi sociali di base –, nonché all’adozione di misure volte ad agevolare l’accesso dei genitori al mercato del lavoro. Riuscire a conciliare vita professionale e vita privata può essere determinante in tal senso; servirà, ad esempio, migliorare la qualità e la quantità delle prestazioni di assistenza all’infanzia. Tuttavia, ogni intervento finalizzato ad agevolare l’inserimento dei genitori nel mercato del lavoro deve essere accompagnato da misure volte a garantire che coloro che mancano della capacità o dell’opportunità di lavorare ottengano un aiuto sufficiente per poter condurre una vita dignitosa insieme alla loro famiglia. La grande percentuale di bambini esposti al rischio di povertà, anche quando i genitori lavorano, mette in evidenza la necessità di un’offerta di posti di lavoro qualitativamente migliori, di un ambiente tale da stimolare il permanere in attività e di opportunità di avanzamento professionale.
La lotta alla povertà infantile richiede dunque una combinazione di buone opportunità di lavoro che consentano ai genitori di accedere al mercato del lavoro e di progredirvi, azioni adeguate e ben concepite a sostegno dei redditi e la messa a disposizione dei necessari servizi per i bambini e le loro famiglie.
Secondo la Relazione, obiettivi quantitativi nazionali abbinati a un deciso impegno politico possono accelerare l’avanzamento del processo di attuazione. È fondamentale una buona supervisione, per la quale si stanno creando – e in alcuni casi sono già stati attuati – i necessari meccanismi. La povertà infantile va vista in un’ottica più ampia, osserva la Relazione, che non si limiti all’indigenza economica ma che tenga conto anche delle privazioni materiali, dell’insufficiente partecipazione sociale e dell’esposizione ai rischi, ad esempio quelli associati al comportamento.

disuguaglianze nel campo della salute
La Relazione congiunta osserva poi come, a fronte di un miglioramento generale della salute nell’Ue, sussistono marcate differenze tra gli Stati membri e al loro interno tra i diversi gruppi di popolazione, in funzione della situazione socioeconomica, del luogo di residenza, dell’appartenenza etnica e del genere. In media, le persone con livelli d’istruzione e di benessere più bassi o con un peggiore inquadramento professionale hanno una speranza di vita più breve e soffrono più spesso di patologie rispetto ai gruppi benestanti, divari che non accennano a diminuire. Ad esempio, la speranza di vita degli uomini va da 65,3 anni in Lituania ai 78,8 di Svezia e Cipro, quella delle donne da 76,2 anni in Romania a 84,4 in Francia.
Secondo la Relazione, le sperequazioni del reddito, la povertà, la disoccupazione, lo stress, le precarie condizioni di lavoro e di alloggio, oltre ai comportamenti individuali e alla volontà e capacità di sostenere le spese sanitarie, contribuiscono in larga misura alle disuguaglianze nel campo della salute.
Benché i sistemi sanitari abbiano contribuito a migliorare significativamente la situazione, l’accesso all’assistenza sanitaria continua a essere difforme a seconda dei diversi gruppi sociali, perciò garantire l’accesso e la sostenibilità di cure di qualità per tutti rappresenta una sfida importante.
Gli Stati membri applicano misure per ridurre le disparità, ad esempio contrastando i fattori di rischio tramite azioni di promozione della salute, riducendo la prevalenza e l’incidenza di determinate malattie e organizzando attività di prevenzione più efficaci in diversi ambiti (casa, scuola, lavoro). Altrettanto importanti sono le misure adottate per migliorare la copertura della popolazione, eliminare gli ostacoli di natura finanziaria alle cure, puntare maggiormente sulle attività di promozione e di prevenzione che sui trattamenti medici e sopprimere le barriere culturali al ricorso ai servizi sanitari. Tuttavia, sottolinea la Relazione, è necessario attuare misure generali, associate a misure mirate ai gruppi socioeconomici meno favoriti. Tutti gli Stati membri hanno riconosciuto il diritto universale o quasi universale all’assistenza sanitaria e hanno creato servizi per raggiungere coloro che accedono difficilmente ai servizi tradizionali a causa di un handicap fisico o mentale, di differenze linguistiche o culturali. Sono invece ancora pochi gli Stati membri che attuano un approccio sistematico e globale nei confronti delle disuguaglianze in campo sanitario, sforzandosi di ridurre le differenze sociali e di prevenire le conseguenti differenze sul piano della salute o ricercando soluzioni ai problemi derivanti da tali differenze.
Occorrono dunque «politiche mirate», sostiene la Commissione, «per spezzare il circolo della povertà e dell’esclusione», mentre l’attenzione alla salute deve essere inserita in tutte le politiche e la protezione sociale «dovrebbe assicurare a tutti» l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità e a un’assistenza di lunga durata oltre a promuovere la prevenzione, anche a favore dei gruppi più difficili da raggiungere.
L’invecchiamento demografico e il mutamento socioeconomico nell’Ue costituiscono i principali fattori dell’aumento di domanda di cure di lungo periodo. Gli Stati membri hanno preso coscienza della necessità di considerare l’assistenza di lungo periodo come un nuovo rischio sociale, la cui copertura spetta ai regimi di protezione sociale, e si sono impegnati a garantire un accesso quasi universale a questa forma di assistenza. Anche se l’offerta di tali cure è inevitabilmente disuguale, la capacità dei singoli di far fronte alle spese o l’apporto di fonti di finanziamento private non devono ostacolare l’accesso a servizi di qualità. L’offerta attuale non si traduce però necessariamente in un quadro globale e universale di disposizioni pertinenti alla materia. I Paesi dell’Ue cercano di proporre una combinazione sostenibile di fonti di finanziamento pubbliche e private, con misure che prevedono tra l’altro modifiche dei meccanismi di finanziamento. Tuttavia, secondo la Relazione, in molti Stati membri si è tuttora alla ricerca di un finanziamento sicuro per le cure di lungo periodo.
Le relazioni nazionali hanno dimostrato che cure personalizzate, adeguate alle necessità delle persone non autosufficienti, prestate a domicilio o in un contesto locale, sono da preferirsi alle cure prestate in strutture assistenziali pubbliche. Il sostegno a forme di assistenza non professionale e l’uso di nuove tecnologie possono aiutare gli interessati a restare autonomi più a lungo. Per promuovere la deistituzionalizzazione e rafforzare i servizi a livello locale si farà ricorso ai Fondi strutturali, mentre un maggiore coordinamento tra assistenza sanitaria e servizi sociali è considerato dalla Relazione determinante ai fini della continuità delle prestazioni, perché contribuisce al raggiungimento di un’elevata qualità e all’utilizzo efficace delle risorse nell’assistenza di lungo periodo prestata in una struttura pubblica o in un contesto locale.
Al fine di garantire cure di qualità, le misure previste comprendono tra l’altro norme unificate e meccanismi armonizzati di accreditamento, abbinati a metodi di valutazione obbligatori. Risulta importante anche la questione del personale che presta tali cure, composto soprattutto da donne. Specie nei Paesi con penuria di manodopera, rileva la Relazione congiunta, l’assunzione, la formazione e la riqualificazione del personale rappresentano una sfida importante che le risorse del Fondo sociale europeo e il coordinamento dell’assistenza sanitaria formale e informale possono aiutare a superare. Tramite il miglioramento delle condizioni di lavoro e il riconoscimento ufficiale dei prestatori di assistenza di tipo informale nell’ambito dei regimi di sicurezza sociale si dovrebbe migliorare la qualità nell’offerta di cure informali.

 

METODO APERTO DI COORDINAMENTO E STRATEGIA DI LISBONA

Il Consiglio europeo del marzo 2007 aveva insistito affinché gli obiettivi sociali comuni dell’Ue trovassero maggior riscontro nell’agenda di Lisbona sulla crescita e l’occupazione. È stata poi ribadita la necessità di migliorare l’integrazione e la visibilità delle priorità sociali nel quadro più ampio di una strategia europea a favore delle riforme e sottolineato che uno degli strumenti più importanti di cui dispone l’Ue per progredire nel campo sociale e dell’occupazione è il coordinamento delle politiche. Il cosiddetto Metodo aperto di coordinamento (Mac), lanciato nel 2000 con la Strategia di Lisbona, ha un ruolo determinante nel promuovere una definizione comune delle priorità politico-sociali. Il suo quadro favorevole all’apprendimento reciproco e allo scambio di esperienze ha incoraggiato la messa in atto di strategie politiche più efficaci. I progressi realizzati sinora confermano la validità degli obiettivi sociali comuni. Essi costituiscono il quadro generale di azioni integrate e l’analisi delle sfide a lungo termine dimostra l’urgenza di intensificare gli sforzi.
Il primo ciclo del Mac semplificato ha dimostrato che gli obiettivi sociali comuni fissati nel 2006 hanno aiutato gli Stati membri a definire le loro politiche. In una prospettiva di lungo termine, tali obiettivi restano validi e il seguito della loro attuazione è determinante ai fini del successo della Strategia di Lisbona. La novità del 2007 per quanto riguarda il Mac è la ridefinizione dei temi chiave. Ciò ha permesso di migliorare la comprensione, di incoraggiare l’apprendimento reciproco e di favorire un più accurato controllo e una più chiara rendicontazione. Gli Stati membri e la Commissione approfondiranno i metodi di lavoro per rafforzare l’efficacia delle strategie europee e nazionali nella prospettiva del ciclo 2008-2011 del Mac. Riflettendo su come migliorare il potenziale di apprendimento reciproco è stato raggiunto un accordo su una serie di miglioramenti da realizzare:
- orientandosi verso un approccio più mirato al contesto e al processo, che preveda anche l’analisi delle politiche infruttuose;
- utilizzando in maniera più integrata e strategica tutti gli strumenti disponibili per sostenere l’attuazione del Mac (in particolare Progress);
- incorporando più sistematicamente i principali risultati nell’elaborazione delle politiche, ottenuti mediante una rafforzata supervisione;
- potenziando la struttura analitica con la valutazione dell’impatto sociale;
- migliorando la governance con il coinvolgimento costante delle parti interessate, nonché delle autorità locali, nel ciclo di azioni strategiche del Mac;
- intensificando l’interazione positiva tra il Mac in campo sociale e altri processi europei pertinenti nell’ambito della Strategia di Lisbona;
- migliorando la diffusione dei risultati.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/the_process_en.htm

 

CAMPAGNA EUROPEA DELLA CES SUI SALARI

Tabella BoxCirca 35.000 persone chiamate a raccolta da oltre cinquanta organizzazioni sindacali provenienti da una trentina di Paesi hanno sfilato sabato 5 aprile 2008 per le vie di Lubiana, in Slovenia, per sottolineare che la stagnazione dei salari e del potere d’acquisto sono mali comuni che colpiscono i lavoratori europei.
Escludendo i Paesi scandinavi, dove la contrattazione collettiva riesce a difendere le retribuzioni dei lavoratori, in tutti gli altri Paesi europei la situazione è critica, sottolinea la Ces. In alcuni Paesi come Germania, Italia e Olanda negli ultimi anni non si è mantenuto neanche il potere d’acquisto dei salari rispetto all’inflazione. I dati Eurostat mostrano una riduzione del 6,36% della massa salariale nel Pil nel periodo 2002-2007, il che indica una redistribuzione dai salari ai profitti e alle rendite. Inoltre, l’aumento del lavoro precario ha prodotto sul versante salariale il fenomeno dei “salari di povertà”, con circa 25 milioni di lavoratori europei che guadagnano tra il 60-70% in meno della media salariale in atto in un determinato Paese. Si stima siano almeno 8 milioni i lavoratori poveri nell’Ue, un problema particolarmente rilevante in Portogallo, Spagna, Grecia, Polonia, Lituania e Ungheria dove si trova in queste condizioni il 10% o più delle persone occupate.
Per queste ragioni la Ces ha ritenuto di lanciare una Campagna sui salari che, oltre alla manifestazione di Lubiana, intende durare nel tempo e rappresentare una strategia di lungo periodo per tutto il sindacalismo europeo.

INFORMAZIONI: http://www.etuc.org/a/4555

 

CAMPAGNA EUROPEA PER UN REDDITO MINIMO ADEGUATO

«È ora di affermare chiaramente che programmi per un reddito minimo adeguato costituiscono un prerequisito fondamentale per un’Unione europea basata sulla giustizia sociale e sulle pari opportunità»: con questa motivazione la Rete europea contro la povertà ha lanciato nel dicembre 2007 una campagna estesa a tutta l’Ue. Alla presenza di rappresentanti di Ong e partner sociali, membri dell’Europarlamento e della Commissione europea, l’European Anti Poverty Network (Eapn) ha annunciato l’avvio della campagna europea per un reddito minimo adeguato, perché, come ha spiegato il suo presidente Ludo Horemans, «non esistono programmi per un reddito minimo adeguato in tutti i Paesi dell’Ue e, dove ci sono, la loro accessibilità non è garantita a tutti dal momento che alcuni gruppi di cittadini non ne hanno diritto per l’età, la situazione occupazione o lo status di migranti. Inoltre, questi programmi spesso non hanno livelli adeguati per permettere alle persone di uscire dallo stato di povertà, perché non tengono nel dovuto conto l’aumento del costo della vita, dei servizi, delle abitazioni».
La strategia europea per l’inclusione attiva, lanciata con una raccomandazione e una consultazione, sarà efficace solo con un supporto reale dell’Ue e un preciso impegno da parte degli Stati membri, sottolinea l’Eapn. Così come deve essere invertita la tendenza crescente ad associare programmi per un reddito minimo a un’immagine negativa della povertà, cosa che indebolisce uno degli elementi chiave positivi del modello sociale europeo. Contro l’attuale situazione europea e sottolineando come la povertà non dipenda solo dal livello di reddito ma questo costituisca indubbiamente un prerequisito essenziale per una vita dignitosa, la Rete europea ha dunque lanciato la campagna europea per un reddito minimo adeguato, chiedendo agli Stati membri dell’Ue di: riconoscere questi programmi come un elemento essenziale del sistema di protezione sociale e della costruzione di una società dignitosa; garantire l’accesso a un reddito minimo adeguato come un diritto basilare di cittadinanza; partecipare attivamente e in modo propositivo alla consultazione europea in corso sull’inclusione attiva, appoggiando la proposta secondo cui supporti al reddito sufficienti per una vita dignitosa sono di fondamentale importanza nell’approccio di lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

INFORMAZIONI: http://www.eapn.org

Tabella 1

Tabella 3

 

l’inclusione sociale attiva

Raggiungere le persone che vivono ai margini della società e del mercato del lavoro costituisce una priorità economica e sociale per l’Ue, secondo cui «non solo non esiste contraddizione tra un’economia dinamica ed efficiente e un’economia incentrata sulla giustizia sociale, ma anzi queste due concezioni sono tra loro strettamente interdipendenti». Infatti, mentre lo sviluppo economico è necessario per garantire l’applicazione di misure sociali di accompagnamento, il reinserimento lavorativo di coloro che sono più ai margini del mercato del lavoro ma in grado di lavorare e la promozione dell’integrazione sociale sono parte essenziale della Strategia di Lisbona, il cui obiettivo è mobilitare appieno le potenzialità delle risorse umane dell’Ue.
La Commissione europea ha quindi proposto una strategia complessiva di coinvolgimento attivo per aiutare gli Stati membri a mobilitare le persone in grado di lavorare e fornire un sostegno idoneo a coloro che non sono in grado di farlo. La strategia associa un sostegno al reddito per garantire una vita dignitosa, un collegamento con il mercato del lavoro attraverso opportunità di lavoro o di formazione professionale e un migliore accesso a servizi sociali di tipo abilitante. Secondo la Commissione, il coinvolgimento attivo è complementare alla cosiddetta flexicurity, tenendo conto che i suoi destinatari sono in particolare le persone ai margini del mercato del lavoro. L’idea è quella di uno «stato sociale attivo», che prevede percorsi personalizzati verso il lavoro e garanzie in modo che coloro che non sono in grado di lavorare possano vivere una vita dignitosa. Il coinvolgimento attivo dovrebbe così fornire un apporto alla Strategia di Lisbona, oltre a essere un elemento essenziale della dimensione sociale della strategia di sviluppo sostenibile dell’Ue.
Al fine di avviare un’azione comunitaria per promuovere il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro, nel 2006 la Commissione aveva avviato una consultazione pubblica coinvolgendo tutte le parti interessate. Sulla base dell’esito della consultazione e delle successive iniziative, tra le quali un esame approfondito dei piani d’azione nazionali contro la povertà e l’esclusione sociale, il sesto incontro delle persone in povertà (4-5 maggio 2007) e la Conferenza delle parti interessate sul coinvolgimento attivo (15 giugno 2007), la Commissione ha quindi elaborato alcune proposte contenute in una comunicazione dell’ottobre 2007, tra cui il varo della seconda fase di consultazione.

pareri di organizzazioni sociali e sindacali
La maggioranza dei partecipanti alla consultazione, pur scettica nei confronti di norme comunitarie prescrittive ritenute inadatte data l’eterogeneità delle situazioni in Europa, ha espresso il proprio sostegno a favore di un rinnovato impegno a livello dell’Ue. Un ampio consenso è stato raccolto, in particolare, dall’idea di elaborare principi comuni europei e di rafforzare il metodo aperto di coordinamento. Le risposte hanno inoltre evidenziato che il successo dell’attuazione del coinvolgimento attivo dipende dalle sinergie tra le varie componenti della strategia. Un adeguato sostegno al reddito deve essere accompagnato da opportunità sul mercato del lavoro e da un miglior accesso a servizi di qualità.
L’inclusione sociale e la partecipazione al mercato del lavoro marciano di pari passo. Se si vuole che l’integrazione nel mercato del lavoro sia sostenibile, occorre in primo luogo che le persone svantaggiate possano usufruire di risorse sufficienti, di servizi sociali e di servizi per l’impiego personalizzati che ne rafforzino la partecipazione sociale e l’occupabilità. Quando queste persone riescono a trovare un lavoro occorre aiutarle a conservarlo, in modo da evitare l’effetto “porta girevole”, per cui queste persone entrano nel mondo del lavoro e ne sono poi espulse perché non dispongono di competenze professionali sufficienti o non sono stati adeguatamente affrontati gli ostacoli di natura personale e sociale esistenti. Dal momento che non sempre il lavoro è sufficiente a evitare condizioni di povertà, dato che l’8% dei lavoratori dell’Ue è esposto a questo rischio, le organizzazioni della società civile e dei sindacati insistono per la creazione di posti di lavoro di qualità.
L’assistenza sociale e i servizi sociali devono quindi sostenere l’integrazione nel mercato del lavoro, accrescere la capacità di produzione del reddito dei singoli e ridurre la dipendenza dai sussidi assistenziali e il rischio di trasmissione intergenerazionale della povertà, ma vari partecipanti alla consultazione hanno sottolineato che occorre esaminare attentamente l’impatto dei meccanismi di condizionalità sulle persone più vulnerabili, perché nella maggior parte degli Stati membri i livelli di assistenza sociale sono già al di sotto della soglia di rischio di povertà.

ruolo delle parti sociali
Le parti sociali si sono dette contrarie a qualsiasi soluzione legislativa promossa a livello europeo in materia di coinvolgimento attivo, esprimendosi piuttosto a favore di un rafforzamento dell’attuale metodo aperto di coordinamento e di una strategia più integrata. Hanno chiarito anche la centralità del proprio ruolo nel migliorare la disponibilità di posti di lavoro per le persone svantaggiate e nell’attivare opportune procedure di selezione del personale, come dimostrano del resto i recenti accordi tripartiti.
In particolare, le parti sociali hanno ricordato che il loro programma di lavoro per il periodo 2006-2008 indica quale possa essere il loro contributo per affrontare il problema delle categorie svantaggiate. Si sono impegnate a farlo attraverso un’analisi congiunta delle sfide chiave che attendono i mercati del lavoro europei, con uno sguardo rivolto a temi quali l’integrazione dei gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro, la definizione di priorità da includere in un quadro di azioni sull’occupazione e la negoziazione di un accordo quadro autonomo sull’integrazione dei gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro o sulla formazione continua.
È emersa poi la centralità del ruolo delle parti sociali nel favorire la conservazione del posto di lavoro. Può accadere, infatti, che le persone svantaggiate pur avendo trovato un lavoro abbiano bisogno di un sostegno continuativo, ad esempio sotto forma di formazione sul posto di lavoro e di opportunità di apprendimento permanente, e anche di un’adeguata organizzazione flessibile del lavoro: ciò può aiutare i soggetti emarginati a conciliare il lavoro con gli sforzi per superare lo svantaggio sociale (quale la mancanza di un’abitazione adeguata, le responsabilità familiari e i problemi di salute). Il processo di reinserimento sociale, cioè, non si ferma alle porte dell’impresa.

maggior cooperazione tra i vari attori
Dalle risposte alla consultazione è emerso anche in modo chiaro che il successo delle politiche di coinvolgimento attivo dipende dalla partecipazione e dalla cooperazione di vari attori. I governi nazionali e locali hanno una responsabilità fondamentale nell’elaborazione, nel finanziamento e nella gestione delle politiche volte a garantire l’integrazione delle persone più lontane dal mercato del lavoro. Nell’attuazione di queste stesse politiche a livello locale è essenziale il ruolo svolto dagli erogatori dei servizi, che possono essere privati, pubblici o misti. Le organizzazioni della società civile rappresentano e assistono i beneficiari degli interventi. Infine, per una maggiore efficacia delle politiche pubbliche sono necessari il coinvolgimento, la consultazione e la responsabilizzazione (empowerment) delle stesse persone svantaggiate. Troppo spesso questi attori operano in comparti non comunicanti delle politiche sociali e del lavoro. Per il successo della strategia di coinvolgimento attivo è necessario promuovere un processo di attuazione integrato tra i diversi livelli politici – locale, regionale, nazionale e comunitario – e in tutti e tre i settori di intervento: reddito minimo, misure attive del mercato del lavoro e servizi sociali.
In queste tre componenti del coinvolgimento attivo sono in via di definizione dei principi comuni. In merito al sostegno al reddito, così da evitare l’esclusione sociale, la linea è quella del riconoscimento del diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana, fatta salva la disponibilità attiva al lavoro o alla formazione professionale finalizzata all’ottenimento di un lavoro per coloro la cui età, salute e situazione familiare lo permettano.
Per quanto concerne il collegamento con il mercato del lavoro, i principi comuni porranno l’accento sull’importanza di eliminare gli ostacoli all’accesso al mercato del lavoro attraverso misure di tipo attivo e preventivo, che comprendano tra l’altro un’individuazione tempestiva dei bisogni, l’assistenza nella ricerca di un impiego, l’orientamento e la formazione nel quadro di piani d’azione personalizzati. Inoltre, affinché per le persone in cerca di occupazione valga la pena lavorare vanno adeguati costantemente gli incentivi e i disincentivi derivanti dai sistemi fiscali e di prestazioni sociali, garantendo adeguati livelli di protezione sociale. Sul fronte della domanda, le politiche comprendono lo sviluppo dell’economia sociale e di nuove fonti di occupazione in risposta ai bisogni della collettività, incentivi economici per i datori di lavoro che assumono, norme antidiscriminazione e il diritto del lavoro.
Sfruttare le potenzialità proprie di mercati del lavoro inclusivi nella lotta alla povertà e all’esclusione costituisce una delle principali preoccupazioni degli Stati membri nel quadro della strategia europea per l’occupazione. Essi hanno convenuto di offrire un nuovo punto di partenza a tutti i disoccupati prima dei sei mesi di disoccupazione nel caso dei giovani, e prima dei dodici mesi nel caso degli adulti. Entro il 2010 il 25% dei disoccupati di lunga durata dovrebbe partecipare a una misura attiva.
Infine i principi comuni relativi a un migliore accesso a servizi di qualità, che si devono basare su due concetti di fondo: l’accessibilità dei servizi, intesa sia come disponibilità sia come accessibilità economica; la qualità dei servizi, compresi il coinvolgimento dell’utente, il monitoraggio, la valutazione dei risultati e la condivisione delle migliori pratiche, gli investimenti nel capitale umano, le condizioni di lavoro, il coordinamento e l’integrazione dei servizi e infrastrutture fisiche adeguate, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia popolare.

2010 ANNO EUROPEO DI LOTTA ALLA POVERTÁ E ALL’ESCLUSIONE SOCIALE

La Commissione europea ha stabilito che il 2010 sarà l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, per svolgere un’azione di sensibilizzazione e interventi a favore dei circa 78 milioni di persone a rischio di povertà nell’Ue, cioè circa il 16% della popolazione. Da vari studi della Commissione emerge inoltre che circa il 19% dei minori nell’Ue è a rischio di povertà e uno su dieci vive in nuclei familiari in cui nessuno lavora. Il commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari sociali, Vladimír Špidla, ha ricordato che «la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale è uno degli obiettivi centrali dell’Ue e il nostro approccio congiunto è stato uno strumento importante per orientare e sostenere le azioni negli Stati membri».
La campagna dell’Ue avrà in dotazione 17 milioni di euro e intende coinvolgere i cittadini e il pubblico in generale, gli operatori sociali e gli attori dell’economia su quattro obiettivi specifici: il riconoscimento del diritto delle persone che versano in situazione di povertà e di esclusione sociale a condurre una vita dignitosa e a svolgere appieno la loro parte nella società; accrescere la dimensione di responsabilità pubblica delle politiche di inclusione sociale, ribadendo che ognuno è tenuto a fare la sua parte per affrontare il problema della povertà e dell’emarginazione; una società più coesiva, in cui nessuno dubiti che la società ha tutto da guadagnare dall’eradicazione della povertà; l’impegno di tutti gli attori, poiché se si vogliono registrare progressi reali occorre uno sforzo di lungo periodo che coinvolga tutti i livelli di governance.
L’Anno europeo 2010 coinciderà con la conclusione della strategia decennale dell’Ue per la crescita e l’occupazione. Le azioni condotte durante l’Anno europeo ribadiranno l’impegno politico dell’Ue formulato nel 2000, all’avvio della Strategia di Lisbona, di avere un impatto decisivo sull’eliminazione della povertà entro il 2010.

INFORMAZIONI: http://ec.europa.eu/employment_social/news/2007/dec/antipoverty_1_en.pdf