Inserto n. 37: Immigrazione
repressione e poco coraggio nelle politiche migratorie dell’Ue
Il Trattato dell’Unione europea dichiara
che l’Ue deve essere «un’area di libertà, sicurezza e giustizia»:
se ciò è abbastanza vero per i cittadini europei, almeno rispetto
ad altre regioni del mondo, lo stesso non si può affatto dire per i migranti
che risiedono o cercano di farlo in territorio europeo. Con le politiche e le
pratiche messe in atto negli ultimi anni da molti governi europei, il tanto
decantato concetto della “protezione di rifugiati e migranti” sembra piuttosto
essersi trasformato in una protezione “da” rifugiati e migranti. La materia
dell’asilo e dell’immigrazione è prevalentemente competenza dei ministeri
dell’Interno e della Giustizia europei, cosa che dimostra la chiara intenzione
di privilegiare la sicurezza interna anche a scapito dei diritti fondamentali
delle persone. Alle frequenti tragedie che si verificano nel Mediterraneo e
ai confini esterni dell’Ue, che con una media annua di oltre 500 morti accertati
negli ultimi 12 anni (fonte: UNITED for Intercultural Action) appaiono più
un “bollettino di guerra” che una serie di fatali incidenti, governi e istituzioni
europei rispondono inasprendo i controlli e intensificando detenzioni ed espulsioni.
Eppure il fatto che oltre 500.000 persone ogni anno tentino l’ingresso nell’Ue
senza disporre di permesso (e quindi in balia di organizzazioni criminali),
l’invecchiamento della popolazione europea e la conseguente necessità
del “vecchio Continente” di ringiovanirsi e di accogliere nuovi cittadini economicamente
e socialmente attivi, dovrebbero portare senza esitazioni a politiche di apertura,
regolarizzazione, integrazione. Invece l’attenzione è concentrata quasi
esclusivamente sulla lotta all’immigrazione illegale, come se non fosse evidente
che senza la creazione di canali d’ingresso legali l’immigrazione, necessaria
e inevitabile, non può che essere clandestina. E questo spesso vale anche
per molte persone che avrebbero diritto alla protezione internazionale perché
in fuga da guerre o persecuzioni. Oltre a ciò, per limitare i flussi
d’ingresso si chiede anche la collaborazione dei governi di Paesi terzi i cui
livelli democratici e di tutela dei diritti sono perlomeno discutibili.
Insomma, se «sull’immigrazione si misura la capacità politica dell’Ue»,
come dice il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini, questa
risulta piuttosto modesta e alquanto miope. Anche le nuove misure proposte dalla
Commissione, infatti, pur nel meritorio tentativo di dotare l’Ue di regole comuni,
privilegiano l’aspetto repressivo. Ma è lo stesso Programma pluriennale
di cui l’Ue si è recentemente dotata (Programma dell’Aia) a sancire che
la politica comune nel breve-periodo riguarderà solo l’immigrazione illegale,
tutto il resto rimane competenza dei singoli governi e della loro purtroppo
modesta lungimiranza.
CITTADINI DI PAESI TERZI SOGGIORNANTI NELL’UE (DATI 2003) | |||
Paese | Popolazione totale | Cittadini di Paesi terzi (CdPt) | % CdPt su popolazione totale |
Austria | 8.082,0 | 551,1 | 6,81 |
Belgio | 10.355,8 | 274,0 | 2,64 |
Cipro | 715,1 | 33,3 | 4,65 |
Danimarca | 5.397,6 | 204,8 | 3,80 |
Estonia | 1.356,0 | 267,5 | 19,72 |
Finlandia | 5.219,7 | 72,5 | 1,39 |
Francia | 59.635,0 | 2.060,8 | 3,45 |
Germania | 82.536,7 | 4.794,3 | 5,80 |
Grecia | 11.006,4 | 687,7 | 6,25 |
Irlanda | 3.963,6 | 135,2 | 3,41 |
Italia | 57.321,1 | 2.000,0 | 3,49 |
Lettonia | 2.319,2 | 28,9 | 1,25 |
Lituania | 3.462,6 | 32,5 | 0,93 |
Lussemburgo | 448,3 | 21,9 | 4,88 |
Malta | 397,3 | 2,7 | 0,67 |
Paesi Bassi | 16.258,0 | 477,9 | 2,94 |
Polonia | 38.218,5 | 685,7 | 1,79 |
Portogallo | 10.407,5 | 183,4 | 1,80 |
Regno Unito | 59.328,9 | 1.719,6 | 2,89 |
Rep. Ceca | 10.203,3 | 78,8 | 0,77 |
Slovacchia | 5.379,2 | 91,3 | 1,70 |
Slovenia | 1.996,4 | 43,3 | 2,17 |
Spagna | 42.197,9 | 2.193,4 | 5,20 |
Svezia | 8.975,7 | 269,1 | 3,00 |
Ungheria | 10.116,7 | 112,7 | 1,11 |
Totale | 455.298,5 | 17.122 | 3,76 |
Note: per Cittadini di Paesi terzi (CdPt) si intende coloro che
non hanno la cittadinanza di uno Stato membro dell’Ue. Questa tabella non comprende
dunque i cittadini europei residenti in un altro Stato membro da quello d’origine
e quindi non rappresenta la migrazione intra-Ue. Ciò riguarda in modo
particolare il Lussemburgo, Paese dove l’incidenza di stranieri sulla popolazione
totale è superiore al 36%, ma si tratta in larga maggioranza di cittadini
di altri Stati membri dell’Ue.
Va inoltre ricordato che il numero di residenti nati all’estero è molto
più elevato di quello dei cittadini di Paesi terzi, specie in Paesi come
Francia, Olanda e Svezia dove la naturalizzazione di stranieri è piuttosto
diffusa.
Fonte: Commissione europea, settembre 2005
miopia politica e scarsa conoscenza
Il fenomeno delle migrazioni ha carattere globale e, secondo stime dell’ONU,
tra origine, transito e destinazione dei flussi migratori interessa tutti i
Paesi del mondo, per una stima totale di circa 190 milioni di persone considerate
migranti a inizio 2005. È quanto emerge dal 3° World Migration Report,
curato dall’International Organization for Migration (IOM) e reso noto nel giugno
di quest’anno, che analizzando i costi e i benefici delle migrazioni evidenzia
come molti luoghi comuni associati a tale fenomeno (perdita di lavoro, diminuzione
dei salari, incremento dei costi di welfare, ingovernabilità e incontrollabilità)
non siano solo infondati o esagerati ma contrari all’evidenza. Sono infatti
piuttosto chiari gli effetti benefici e il contributo allo sviluppo socio-economico
e culturale che i migranti portano sia ai Paesi d’origine che a quelli di destinazione
dei flussi migratori. Situazione che riguarda naturalmente anche l’Europa, continente
dove i quasi 40 milioni di migranti residenti stimati attualmente (cioè
circa un quinto del totale mondiale) portano un contributo determinante al riequilibrio
della popolazione, caratterizzata da un generale quanto inesorabile invecchiamento.
A differenza però di quanto avviene nel Nord America, che presenta una
quota di immigrazione simile a quella europea, in Europa è ancora piuttosto
scarso il livello di integrazione politica ed economica degli immigrati, sottolinea
l’IOM.
immigrazione necessaria
Per evidenti questioni demografiche ed economiche, nel corso del 21° secolo
tutti gli attuali e futuri Stati membri dell’Ue resteranno o diventeranno Paesi
di immigrazione e, dopo il 2010, molti di questi Paesi dovranno elaborare politiche
attive a favore dell’immigrazione per rispondere alle proprie necessità
demografiche ed economiche. Ma se nel breve periodo i potenziali migranti continueranno
a rivolgersi all’Europa come luogo di destinazione, nel medio-lungo periodo
altre regioni mondiali diventeranno polo di attrazione per i flussi migratori
e l’Europa dovrà competere a livello globale per assicurarsi l’immigrazione
(soprattutto qualificata) di cui necessiterà. Per questo, sottolinea
l’IOM, l’Ue e i suoi Stati membri dovranno sviluppare e implementare politiche
più favorevoli all’immigrazione di quelle attualmente in uso e studio,
rivolte all’integrazione sociale e politica degli immigrati, così da
formare e influenzare anziché prevenire le migrazioni future, nell’interesse
della popolazione immigrata e della stessa popolazione europea.
pochi dati ma confusi
«Politiche efficaci devono basarsi su dati affidabili. La nostra conoscenza
della situazione migratoria nell’Unione europea è attualmente frammentaria
ed incompleta» ha dichiarato il commissario europeo responsabile per la
Giustizia, Libertà e Sicurezza Franco Frattini, presentando lo scorso
1° settembre le proposte della Commissione europea su immigrazione e asilo
(vedi articolo seguente). E infatti il Rapporto dell’IOM evidenzia l’attuale
scarsa disponibilità di statistiche aggiornate e omogenee a livello europeo.
Nei Paesi con alti tassi di naturalizzazione e diritto di cittadinanza alla
nascita (alcuni Stati nordeuropei, così come avviene in Usa e Canada),
il numero ufficiale di stranieri residenti legalmente sottostima ampiamente
la reale popolazione immigrata. In Svezia, ad esempio, nel 2001 si registrava
oltre un milione di residenti nati all’estero, mentre gli stranieri legalmente
residenti erano solo 476.000; nei Paesi Bassi, a fronte di oltre un milione
e mezzo di persone nate all’estero si contavano solo 690.000 residenti stranieri.
Viceversa, le quote più elevate di stranieri residenti si registrano
nei Paesi con bassi livelli di naturalizzazione e con cittadinanza conferita
sul principio dello ius sanguinis: qui il numero dei cittadini stranieri spesso
coincide con quello dei residenti nati all’estero. La comparazione dei dati
sulla popolazione straniera a livello europeo risulta essere quindi piuttosto
difficoltosa e differenti le statistiche rese note dalle diverse fonti (come
si può constatare nella tabella di pag. II).
Secondo le registrazioni e i censimenti nazionali, nel 2001 i 15 “vecchi” Stati
membri dell’Ue contavano complessivamente 18,7 milioni di stranieri residenti
legalmente, numero riportato nelle rilevazioni Eurostat. L’Organizzazione per
la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse-Oecd), attraverso i suoi corrispondenti
nazionali, conteggiava invece 20,1 milioni di stranieri, di cui 6 milioni erano
cittadini europei residenti in un altro Stato membro da quello di nascita. Nel
2002, L’European Labour Force Survey (LFS) stimava in 22,7 milioni il numero
di persone residenti nell’Ue nate in un Paese terzo o in un altro Stato membro
rispetto a quello di residenza, e di quasi 15 milioni di esse disponeva di informazioni
relative al Paese di nascita. Ma, combinando le informazioni fornite dal LFS
con i dati ONU e con quelli provenienti dai censimenti e dalle registrazioni
nazionali, secondo l’IOM è possibile stimare un numero compreso tra i
33 e i 36 milioni di stranieri residenti legalmente e illegalmente nell’Ue a
15. A questi vanno sommati almeno 1,5 milioni di residenti nei nuovi Stati membri
e 1,7 in altri Stati europei non Ue, per un totale complessivo di stranieri
che vivono nell’Europa occidentale e centrale stimato dall’IOM nell’ordine dei
39 milioni.
STRANIERI RESIDENTI E POPOLAZIONE IMMIGRATA NEI 15 “VECCHI” STATI MEMBRI DELL’UE: | ||||||||
UE15 | Popolazione totale Eurostat 1 |
Popolazione straniera residente |
Popolazione straniera residente OECD/Sopemi anno 2001 |
Popolazione straniera residente con nazionalità nota LFS 2 |
Immigrati e popolazione straniera residente ONU anno 2000 3 |
Popolazione immigrata secondo fonti nazionali anno 2001 4 |
Popolazione immigrata con Paese di nascita noto LFS 5 |
Popolazione immigrata con durata soggiorno nota LFS |
Austria | 8.067 | 754 | 764 | 695 | 756 | 893 | 899 | 798 |
Belgio | 10.356 | 853 | 847 | 784 | 879 | n.a. | 974 | 1.034 |
Danimarca | 5.384 | 256 | 267 | 166 | 304 | 322 | 225 | 227 |
Finlandia | 5.206 | 88 | 99 | 50 | 134 | 145 | 81 | 86 |
Francia 6 | 59.629 | 3.263 | 3.263 | 2.724 | 6.277 | 5.868 | 4.605 | 1.327 |
Germania | 82.537 | 7.344 | 7.319 | 5.444 | 7.349 | 9.700 | n.a. | 8.915 |
Grecia | 11.018 | 161 | 762 | 362 | 534 | n.a. | 489 | 480 |
Irlanda | 3.964 | 127 | 151 | 118 | 310 | n.a. | 232 | 263 |
Italia | 57.321 | 1.271 | 1.363 | n.a. | 1.634 | 2.200 | n.a. | 511 |
Lussemburgo | 448 | 148 | 167 | 161 | 162 | 145 | 127 | 119 |
Paesi Bassi | 16.193 | 652 | 690 | 555 | 1.576 | 1.675 | 1.179 | 1.593 |
Portogallo | 10.408 | 191 | 224 | 106 | 233 | n.a. | 1.119 | 1.313 |
Regno Unito | 59.329 | 2.298 | 2.587 | 2.026 | 4.029 | n.a. | 3.307 | 4.467 |
Spagna | 40.683 | 801 | 1.109 | 450 | 1.259 | 2.664 | 858 | 664 |
Svezia | 8.941 | 487 | 476 | 295 | 993 | 1.028 | 681 | 933 |
Totale | 379.484 | 18.692 | 20.088 | 13.936 | 26.429 | 24.640 | 14.776 | 22.730 |
1. Eurostat, popolazione fine anno 2002; 2. European Labour Force
Survey (LFS) 2002 (per l’Italia dati non disponibili); 3. ONU Population Division
2002, dati 2000 o anno più recente disponibile; 4. Dati per Danimarca,
Paesi Bassi, Finlandia e Svezia provengono dai registri nazionali della popolazione;
dati per Austria, Francia e Lussemburgo sono relativi ai censimenti più
recenti; i dati della Spagna (2003) provengono dalle registrazioni delle municipalità
locali; i dati della Germania sono stimati in base alle registrazioni degli
stranieri, alle statistiche sulle naturalizzazioni e altre fonti; i dati dell’Italia
si basano sul numero dei permessi di soggiorno (2003) e su stime relative ai
minori stranieri; 5. European Labour Force Survey (LFS) 2002 (dati per Germania
e Italia non disponibili); 6. Per la Francia, i dati Chronos, Sopemi e del censimento
sono relativi al 1999.
Fonte: International Organization for Migration (IOM), 3° World Migration
Report, giugno 2005.
le nuove misure della Commissione
Una proposta di direttiva e tre comunicazioni costituiscono il pacchetto di
misure in materia di immigrazione e asilo che la Commissione europea ha adottato
e presentato lo scorso 1° settembre, nel quadro di quanto richiesto dal
Programma dell’Aia per una politica europea comune (vedi euronote n. 33/2004,
pag. 6-8). Nel novembre 2004, infatti, adottando il nuovo programma pluriennale
su immigrazione e asilo il Consiglio europeo aveva invitato la Commissione ad
avanzare proposte che indicassero norme comuni a livello europeo sui vari aspetti
dell’immigrazione, così da giungere alla definizione di una politica
europea che superi le differenze esistenti tra gli Stati membri e indichi un
trattamento uniforme e adeguato dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti nell’Ue,
soprattutto se ciò avviene in ambito di illegalità. La Commissione
ha così cercato di rispondere all’invito del Consiglio presentando una
proposta di direttiva sul rimpatrio e tre comunicazioni, rispettivamente sull’integrazione,
sui programmi di protezione regionale e su migrazione e sviluppo. «Da
una parte c’è un messaggio chiaro: coloro che si trovano illegalmente
nell’Ue devono tornare nel loro Paese d’origine e se non siamo in grado di garantire
un effettivo rimpatrio degli immigrati illegali, nel rispetto della loro dignità,
mettiamo in pericolo la correttezza e la credibilità delle nostre politiche
di asilo e immigrazione - ha dichiarato il commissario europeo responsabile
per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, Franco Frattini - D’altra
parte proponiamo, a livello nazionale ed europeo, misure che mirano a una sostanziale
integrazione degli immigranti legali, destinati a rimanere nelle nostre società:
tali misure tengono conto in primo luogo del contesto locale ed urbano in cui
l’integrazione deve avvenire». Le nuove misure adottate dalla Commissione
si aggiungono alla proposta di regolamento sulla raccolta di statistiche relative
a immigrazione e asilo adottata recentemente, mentre entro la fine dell’anno
l’esecutivo europeo intende presentare un documento sull’immigrazione legale
che dovrebbe ulteriormente integrare la strategia europea in materia.
norme sui rimpatri
La proposta di direttiva, recante norme e procedure comuni applicabili negli
Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente
(vedi pag. V), ha lo scopo di armonizzare le misure attualmente adottate dai
singoli Stati dell’Ue, che causano trattamenti differenti e molte critiche perché
spesso non rispettose dei diritti delle persone interessate. Il documento introduce
quindi norme comuni su rimpatrio, allontanamento, uso di misure coercitive,
custodia temporanea e reingresso che, secondo le intenzioni della Commissione,
intendono rispettare pienamente i diritti umani e le libertà fondamentali.
La proposta prevede una procedura in due fasi per porre termine a un soggiorno
irregolare: nei confronti del cittadino di un Paese terzo soggiornante illegalmente
deve essere presa una decisione di rimpatrio; solo se il cittadino in questione
non intende rimpatriare volontariamente, gli Stati membri fanno rispettare l’obbligo
di rimpatrio con un provvedimento di allontanamento, contro cui è prevista
la possibilità di ricorrere. Sono fissate norme comuni anche per quanto
concerne la custodia temporanea, che deve garantire i diritti fondamentali e
può durare al massimo 6 mesi. È inoltre previsto un divieto al
rientro per il cittadino allontanato, valido per l’insieme dell’Ue e di durata
massima di 5 anni salvo casi particolari.
agenda per l’integrazione
Per rispondere all’invito formulato nel Programma dell’Aia ad istituire un quadro
europeo coerente in materia di integrazione, la Commissione ha poi adottato
la comunicazione “Un’agenda comune per l’integrazione: quadro per l’integrazione
dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea”. Sono proposte misure finalizzate
a rafforzare l’applicazione dei principi fondamentali comuni attraverso orientamenti
per le politiche di integrazione dell’Ue e degli Stati membri. La comunicazione
sottolinea l’importanza di chiarire ulteriormente i diritti e i doveri dei migranti
nell’Ue, di mettere a punto specifiche attività di cooperazione e sviluppare
lo scambio di informazioni sull’integrazione, nonché di includere l’integrazione
in tutti i pertinenti settori politici e di procedere a valutazioni. La “road
map” della Commissione propone 5 iniziative principali: il rafforzamento di
Punti nazionali di contatto sull’integrazione, la redazione di un manuale europeo,
un sito web ampiamente accessibile, l’istituzione di un Forum europeo sull’integrazione
e un Rapporto annuale su migrazione e integrazione.
dimensione esterna
Le due comunicazioni sulla migrazione e lo sviluppo e sui programmi di protezione
regionale mirano al rafforzamento della dimensione esterna delle politiche in
materia di migrazione e di asilo.
Con la comunicazione sulla migrazione e lo sviluppo, la Commissione intende
stabilire un nesso tra migrazione e cooperazione allo sviluppo in uno spirito
di partenariato con i Paesi d’origine dei migranti. Sono proposti orientamenti
politici che dovrebbero contribuire a massimizzare le conseguenze positive delle
migrazioni sullo sviluppo dei Paesi d’origine dei flussi migratori. Le rimesse,
le competenze e l’esperienza dei migranti sono infatti molto utili, sia che
essi decidano di rientrare definitivamente nel loro Paese sia che condividano
semplicemente la loro esperienza con i compatrioti nel Paese d’origine. La comunicazione
esamina anche le possibili soluzioni per limitare gli effetti negativi dell’esodo
di operatori qualificati dai Paesi in via di sviluppo.
Per quanto riguarda invece i programmi di protezione regionale, essi sono finalizzati
ad aiutare i Paesi terzi che ospitano grandi comunità di rifugiati, o
che devono far fronte ad un numero elevato di richiedenti asilo, a rafforzare
la loro capacità di protezione, sulla base di una compartecipazione e
di responsabilità condivise.
È noto, infatti, che la stragrande maggioranza dei rifugiati resta nelle
regioni d’origine, in condizioni di estrema povertà e di dubbia sicurezza.
La Commissione ritiene dunque importante assicurare a chi ne ha bisogno una
protezione da attuare rapidamente e che risponda ai loro bisogni. Il primo programma
“pilota” di protezione regionale sarà attuato nei nuovi Stati indipendenti
occidentali, cioè in Ucraina, Moldova e Bielorussia. Il programma sarà
incentrato sul rafforzamento della capacità di protezione già
esistente, offrendo un sostegno pratico per quanto concerne l’esame delle domande
d’asilo, il rafforzamento della protezione sussidiaria, l’integrazione e la
documentazione. Tra le zone geografiche che potrebbero beneficiare del secondo
programma pilota figurano la regione dei Grandi Laghi (Tanzania) e il Corno
d’Africa.
Nel luglio scorso, inoltre, la Commissione ha adottato la prima relazione annuale
di monitoraggio e valutazione per determinare il livello di cooperazione dei
Paesi terzi nella lotta all’immigrazione illegale.
INFORMAZIONI:
Integrazione:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0389en01.pdf
Migrazione e sviluppo:
http://register.consilium.eu.int/pdf/fr/05/st11/st11978.fr05.pdf
Programmi protezione regionale:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0388en01.pdf
ASILO: IL PE MODIFICA LA PROPOSTA DEL CONSIGLIO
Il Parlamento europeo ha approvato a strettissima maggioranza (soli 3 voti di
scarto), il 27 settembre scorso, la relazione del deputato socialista Wolfgang
Kreissl-Dörfler sulla proposta di direttiva recante norme minime per il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato. La proposta modifica sostanzialmente
quanto deciso nell’aprile scorso dai ministri dell’Ue, in particolare per quanto
concerne la facoltà del Consiglio di stilare a maggioranza qualificata
un elenco comune, valido in tutta l’Ue, di Paesi cosiddetti «super sicuri»,
che autorizzerebbe gli Stati membri a rifiutare automaticamente le domande d’asilo
alle persone provenienti da tali Paesi, senza ricorrere dunque all’esame della
domanda. Pur accettando l’istituzione di un elenco unico europeo “minimo”, gli
eurodeputati respingono la definizione di liste nazionali integrative e auspicano
garanzie supplementari per i richiedenti asilo. Inoltre, secondo il Pe, gli
Stati membri non devono trattenere i richiedenti asilo in un centro d’accoglienza
chiuso e devono sempre prendere in considerazione misure alternative «non
custodiali». L’eventuale trattenimento è possibile «solo
se si è appurato che tale misura è necessaria, legale e giustificata»
e deve avvenire in luoghi chiaramente separati dalle carceri.
I deputati hanno poi adottato una serie di emendamenti, al fine di garantire
il rispetto dei diritti dei rifugiati in tutte le fasi della procedura: i richiedenti
asilo devono poter ricorrere in appello contro le decisioni che negano loro
lo status di rifugiato e, nel frattempo, restare nel Paese finché non
siano esauriti tutti i livelli di ricorso; deve essere loro assicurata la facoltà
di richiedere un colloquio individuale con le autorità, di usufruire
di un rappresentante legale e di ricevere tutte le informazioni relative alle
procedure di asilo in un lingua ad essi conosciuta; va accordata attenzione
particolare e data precedenza alle domande d’asilo presentate da minorenni.
Anche le maggiori associazioni e organizzazioni europee impegnate per i diritti
dei migranti criticano le misure proposte da Commissione e Consiglio in materia
di asilo e immigrazione. Con un documento reso noto lo scorso agosto, sottoscritto
tra gli altri da Amnesty International, Caritas Europa, European Council for
Refugees and Exiles, Human Rights Watch, Jesuit Refugee Service, Save the Children,
Federazione delle Chiese Evangeliche, è denunciata una «contraddizione
fondamentale»: si propongono norme comuni per il trattenimento e l’espulsione
dei richiedenti asilo cui è stata rifiutata la domanda, mentre le possibilità
di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato variano enormemente da uno Stato
membro all’altro.
proposta di direttiva sui
rimpatri
La Commissione europea ha presentato lo scorso 1° settembre una proposta
di direttiva contenente «norme e procedure comuni da applicarsi negli
Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente».
Una proposta sollecitata dal Programma dell’Aia (adottato il 4 e 5 novembre
2004 dal Consiglio europeo), che intende disporre norme comuni, eque e trasparenti
riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia
temporanea e il reingresso, «che tengano pienamente conto del rispetto
dei diritti umani e delle libertà fondamentali degli interessati»,
scrive la Commissione. Secondo l’esecutivo europeo, la cooperazione fra Stati
membri può funzionare solo se basata su una comprensione comune degli
aspetti fondamentali, perciò vanno stabilite norme comuni che, nel lungo
periodo, costituiranno la base per un trattamento uniforme e adeguato dei cittadini
di Paesi terzi soggiornanti illegalmente. È stato scelto lo strumento
della direttiva, precisa la Commissione, in quanto strumento giuridico vincolante
facilmente integrabile in sistemi nazionali divergenti, mentre il regolamento
sarebbe stato troppo rigido e un atto di “legislazione leggera” (raccomandazione)
non avrebbe avuto la forza giuridica vincolante necessaria.
Ambito di applicazione: riguarda coloro che non soddisfano le condizioni
di ingresso ai sensi dell’art. 5 della Convenzione di Schengen o il cui soggiorno
irregolare nel territorio di uno Stato membro è dovuto ad altri motivi.
Disposizioni più favorevoli: quelle vigenti in forza di accordi
bilaterali o multilaterali tra l’Ue e i suoi Stati membri e uno o più
Paesi terzi, nonché quelle previste dal diritto comunitario nel campo
dell’immigrazione e dell’asilo.
Vincoli familiari e interesse del minore: gli Stati membri devono tener
conto della natura e solidità dei vincoli familiari, la durata del soggiorno
nello Stato membro e l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con
il Paese d’origine; devono considerare inoltre l’interesse superiore del minore
conformemente alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989.
Decisione di rimpatrio: fissa un termine massimo per la partenza volontaria
di 4 settimane, salvo pericolo di fuga. Può essere distinta o contestuale
al provvedimento di allontanamento e non è presa quando gli Stati membri
sono soggetti agli obblighi derivati dai diritti fondamentali (principio di
non refoulement, diritto all’istruzione, diritto all’unità familiare).
Non riguarda inoltre: i cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente in
uno Stato membro ma in possesso di un permesso di soggiorno valido, rilasciato
da altro Stato membro, che rientrino volontariamente nel territorio di quello
Stato; coloro che hanno iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di
soggiorno o di altro permesso conferente un diritto di soggiorno, fino al completamento
della procedura.
Provvedimento di accompagnamento: ordinato nei confronti di un destinatario
di una decisione di rimpatrio se sussiste il rischio di fuga o per mancato adempimento
dell’obbligo di rimpatrio entro il termine per la partenza volontaria. Il provvedimento
specifica il termine per l’esecuzione dell’allontanamento e il Paese di ritorno.
Divieto di reingresso: i provvedimenti di allontanamento comportano
un divieto di reingresso per un termine massimo di 5 anni, mentre le decisioni
di rimpatrio possono comportare un divieto di reingresso. Se il cittadino interessato
costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale,
il divieto può essere ordinato per termini superiori a 5 anni. In casi
appropriati, il divieto può essere sospeso in via eccezionale e transitoria.
Allontanamento: le misure coercitive per allontanare un cittadino di
Paesi terzi che oppone resistenza devono essere proporzionate e non eccedere
un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate nel rispetto
dei diritti fondamentali e della dignità del cittadino interessato.
Impugnazione: i richiedenti asilo hanno diritto a un ricorso dinanzi
a un giudice contro le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento.
Il ricorso giurisdizionale ha effetto sospensivo o conferisce al cittadino il
diritto di chiedere la sospensione dell’esecuzione del provvedimento. Il cittadino
interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un
legale, mentre a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso
il patrocinio a spese dello Stato.
Custodia temporanea: se vi è fondato sospetto che sussista un
rischio di fuga e l’uso di misure meno coercitive non è sufficiente,
gli Stati membri tengono sotto custodia temporanea il cittadino di Paesi terzi
nei cui confronti è o sarà disposto l’allontanamento o il rimpatrio.
La custodia temporanea è disposta dalle autorità giudiziarie.
In casi urgenti può essere disposta dalle autorità amministrative,
nel qual caso il provvedimento è convalidato dall’autorità giudiziaria
entro le 72 ore successive all’inizio della custodia temporanea. Il provvedimento
di custodia temporanea è assoggettato al controllo giurisdizionale almeno
una volta al mese e l’autorità giudiziaria può prorogare la custodia
fino a un massimo di 6 mesi.
Condizioni della custodia: devono essere garantiti un trattamento umano
e dignitoso, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e in conformità
con il diritto nazionale e internazionale; contatti con rappresentanti legali,
familiari, autorità consolari competenti e con le pertinenti organizzazioni
internazionali e non governative. Se la custodia non avviene presso gli appositi
centri ma in un istituto penitenziario, il cittadino deve essere tenuto costantemente
separato dai detenuti ordinari. I minori non vanno tenuti sotto custodia temporanea
nei normali istituti penitenziari, mentre i minori non accompagnati vanno separati
dagli adulti, salvo se ritenuto contrario all’interesse superiore del minore.
Le organizzazioni internazionali e non governative possono accedere ai centri
per valutare le condizioni della custodia temporanea.
Convenzione Schengen: la presente direttiva sostituisce gli articoli
23 e 24 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen.
INFORMAZIONI:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0391en01.pdf
Lampedusa: un caso europeo
Nel mese di agosto e fino al 13 settembre sono sbarcati a Lampedusa 1801 migranti.
Di questi, 320 sono stati trasferiti in aereo a Bari, 760 in nave a Porto Empedocle,
580 in aereo a Crotone, 179 in aereo per destinazione non comunicata, 65 deportati
in Libia. Questi dati, contenuti in un dossier redatto dall’Arci e consegnato
alla delegazione del Parlamento europeo in visita a Lampedusa lo scorso 15 settembre,
sono solo i più recenti relativi alla grave situazione dell’isola italiana,
da oltre un anno diventata ormai una delle principali “porte d’ingresso” nell’Ue
e, per questo, al centro dell’attenzione europea.
sbarchi, espulsioni e polemiche
Già nei mesi di settembre e ottobre 2004, quando in pochi giorni migliaia
di persone provenienti dalle coste nordafricane sbarcarono sull’isola, il problema
assunse una dimensione europea. L’emergenza umanitaria, venutasi a creare per
un’isola non attrezzata a ricevere un flusso tale di immigrazione, portò
il governo italiano a rispondere con una generalizzata detenzione dei profughi
e successive espulsioni collettive (prevalentemente verso la Libia), senza troppa
attenzione alla salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone e un’adeguata
valutazione delle loro possibili necessità di protezione internazionale.
Organismi internazionali, come l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur-Unhcr),
e organizzazioni come Amnesty International espressero forti preoccupazioni
per la sorte degli immigrati giunti sull’isola e di quelli espulsi, mentre le
maggiori associazioni italiane ed europee impegnate per i diritti dei migranti
presentarono un esposto alla Commissione europea chiedendo un procedimento d’infrazione
contro il governo italiano. Intanto, continuarono gli sbarchi e la risposta
detentiva e di allontanamento da parte delle autorità italiane, tanto
che nell’aprile 2005 la questione venne discussa dal Parlamento europeo che
adottò una risoluzione in merito. L’Europarlamento invitava l’Italia
e gli altri Stati membri ad astenersi dall’effettuare espulsioni collettive
di richiedenti asilo e di “migranti irregolari” verso Paesi in cui sia messa
in pericolo la vita delle persone espulse, accusando il governo italiano di
«violazione del principio di non espulsione». Inoltre chiedeva alla
Commissione europea di «vegliare sul rispetto del diritto d’asilo»
e di «far cessare le espulsioni collettive», ricordando la necessità
di una «politica comunitaria di immigrazione e asilo basata sull’apertura
di canali di immigrazione legale e sulla definizione di norme comuni di protezione
dei diritti fondamentali degli immigrati e dei richiedenti asilo». Per
meglio monitorare la situazione, il Parlamento europeo chiedeva poi l’invio
di una delegazione al Centro di permanenza temporanea di Lampedusa e in Libia,
così da valutare la portata del problema e verificare la legittimità
dell’operato delle autorità italiane e libiche. Sempre in aprile, anche
la Corte europea dei diritti umani chiedeva all’Italia di «fornire informazioni
sulla situazione a Lampedusa», in seguito ad un esposto presentato da
un gruppo di migranti espulsi.
la politica dell’Ue
Negli ultimi mesi del 2004, mentre infuriavano le polemiche sui metodi adottati
dalle autorità italiane e gli Stati membri dell’Ue cercavano un’intesa
sulla distribuzione degli oneri dell’immigrazione, il Consiglio europeo adottava
(4-5 novembre) il Programma dell’Aia, programma pluriennale contenente indicazioni
in materia di immigrazione e asilo con l’obiettivo di portare entro 5 anni alla
creazione di una politica europea comune, con priorità per norme e misure
comuni in materia di immigrazione illegale e controllo delle frontiere esterne.
Dato il carattere internazionale delle migrazioni e dell’asilo, il Programma
dell’Aia considera centrale la dimensione esterna del fenomeno, prevedendo una
serie di misure da adottare nei confronti dei Paesi d’origine e di transito
dei flussi migratori. Pur non adottando la proposta avanzata da alcuni governi
europei di istituire centri di accoglienza al di fuori dell’Ue, dove trattenere
i migranti che intendono recarsi nell’Unione europea (proposta fortemente osteggiata
da centinaia di Ong europee), il programma invita ad accrescere il partenariato
con i Paesi terzi soprattutto nel «prevenire e contrastare l’immigrazione
illegale». Nel maggio 2005 l’Ue ha poi istituito l’Agenzia europea per
la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne e, entro il
2006, darà vita a un Fondo comunitario per la gestione delle frontiere,
mentre è al vaglio delle istituzioni europee la proposta di direttiva
sui rimpatri presentata il 1° settembre scorso dalla Commissione (vedi pagine
precedenti). Tutte iniziative dettate dalla necessità di dotare gli Stati
membri dell’Ue di norme comuni nella gestione dell’immigrazione illegale, per
scongiurare la schizofrenia che ha caratterizzato finora le politiche dei singoli
Stati e per dare ai migranti e ai Paesi terzi una visione di unità, chiarezza
e fermezza del governo europeo delle migrazioni.
la situazione in Libia
Ma è sul “come” viene attuato da alcuni Paesi terzi il contrasto delle
migrazioni illegali che sorgono non pochi interrogativi. I voli partiti dall’Italia
nell’ultimo anno, che hanno allontanato dal territorio italiano centinaia di
persone giunte a Lampedusa e in altre località delle coste meridionali,
hanno avuto come destinazione principale la Libia, grazie a un accordo bilaterale
siglato dalle autorità italiane e libiche. La Libia non ha però
mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati ed è
stata oggetto, tra novembre e dicembre 2004, di un’ispezione europea con esiti
tutt’altro che positivi. Una missione tecnica, costituita da funzionari dei
ministeri degli Interni e delle polizie di alcuni Stati dell’Ue inviati dalla
Commissione europea, ha rilevato infatti una situazione gravissima: in molti
centri di detenzione per immigrati illegali sono detenute intere famiglie, minorenni
con adulti, uomini con donne, in condizioni di sovraffollamento e con livelli
igienico-sanitari assolutamente insufficienti. Alcuni di questi centri, e molti
mezzi utilizzati per l’intercettamento dei migranti, sono stati finanziati dagli
europei (soprattutto dall’Italia), sulla base di accordi i cui contenuti sono
rimasti finora quasi sconosciuti. Inoltre, la maggior parte degli stranieri
detenuti nei centri libici ha dichiarato alla missione europea di essere in
Libia per lavoro da anni, di non aver alcuna intenzione di trasferirsi in Europa,
di non comprendere i motivi della detenzione e di non aver accesso ad alcuna
tutela legale. Molti di essi poi, come documentato da alcuni reportage giornalistici,
sono espulsi dalla Libia con accompagnamento alle frontiere meridionali, cioè
nel deserto, dove sono stati registrati oltre 100 decessi.
Nel giugno scorso, la Commissione europea ha quindi presentato un piano d’azione
concordato con le autorità libiche per attuare una «lotta congiunta»
all’immigrazione illegale. Il piano prevede una gestione comune dell’immigrazione,
task force congiunte per operazioni (anche di salvataggio) in mare e nel deserto
libico, la formazione di guardie di frontiera e di poliziotti libici e la possibilità
di una cooperazione «intensificata» nella gestione dei migranti,
che riguarderà i centri di accoglienza, la formazione, il sistema di
registrazione e l’equipaggiamento. Dal canto suo, la Libia ha assicurato il
pieno rispetto delle norme internazionali sui diritti dell’uomo, garantendo
che si conformerà pienamente alla Carta dell’Unione africana, che sui
rifugiati fa riferimento alla Convenzione dell’Onu.
delegazione del Pe a Lampedusa
Una prima visita di una delegazione di europarlamentari a Lampedusa, nel giugno
2005, aveva constatato una situazione «inaccettabile dal punto di vista
legale e umanitario». Oltre alle gravi condizioni sanitarie e di promiscuità
in cui si trovavano i migranti accolti sull’isola, la delegazione del Pe esprimeva
preoccupazione per il fatto che funzionari di alcuni Paesi terzi collaborassero
con le autorità italiane nelle procedure d’identificazione, cosa alquanto
pericolosa per i potenziali richiedenti asilo. Data la difficile situazione
riscontrata, l’Europarlamento programmava una nuova visita di monitoraggio a
Lampedusa per il mese di settembre e una successiva visita in Libia per verificare
la condizione delle persone lì espulse dalle autorità italiane.
Così, lo scorso 15 settembre, una delegazione di europarlamentari di
tutti i gruppi politici guidata dal vicepresidente della commissione Libertà
civili, Stefano Zappalà, ha visitato il Centro di permanenza temporanea
(Cpt) di Lampedusa, dove nel 2004 sono stati “accolti” circa 10.500 migranti.
La delegazione ha denunciato una «beffa drammatica», dal momento
che quasi tutti i migranti erano stati spostati dal Cpt prima della visita.
Nella struttura, adibita per accogliere circa 200 persone, «erano presenti
solo 11 candidati all’asilo, mentre a volte ci sono anche 1000 migranti»,
ha affermato l’europarlamentare francese Martine Roure. Gli eurodeputati hanno
protestato perché le autorità italiane hanno negato loro l’accesso
ai registri degli arrivi nel Cpt e delle espulsioni verso la Libia o altri Paesi
e hanno espresso profondo rammarico per «non aver visto il centro come
funziona abitualmente». Non per questo, in ogni caso, è mancato
un giudizio duro e perentorio: «Riteniamo che le condizioni di accoglienza
siano drammatiche e che violino i diritti umani», ha infatti detto Roure
che ha presentato sulla questione una relazione alla commissione delle Libertà
pubbliche del Parlamento europeo, commissione che ha in programma ispezioni
simili in altri Stati membri (Polonia e Malta in particolare) e in Libia.
il dossier dell’Arci
La “sensazione” degli europarlamentari sulla situazione di Lampedusa è
confermata dal monitoraggio effettuato da volontari coordinati dall’Arci negli
ultimi 3 mesi sull’isola, che ha riscontrato «sospensione del diritto»,
«violazione di leggi italiane e convenzioni internazionali» e «trattamento
disumano» dei cittadini stranieri. Il dossier dell’Arci, consegnato alla
delegazione del Pe, denuncia le carenze rilevate nel Cpt di Lampedusa: «mancanza
di adeguata informazione sulla procedura di accesso al diritto di asilo; non
è tutelato il diritto alla difesa; spessissimo è negato il diritto
alla salute; donne e minori sono costretti negli stessi spazi degli adulti»;
inoltre, i rimpatri collettivi messi in atto dalle autorità italiane
sono «vere e proprie espulsioni di massa, realizzati senza un’identificazione
certa e in violazione del diritto internazionale». L’Arci ha quindi chiesto
agli europarlamentari che il Parlamento europeo intraprenda tutte le azioni
necessarie per ripristinare lo stato di diritto in Italia e, a questo scopo,
secondo l’associazione è necessaria la chiusura del Cpt di Lampedusa
e la sua sostituzione con un vero centro di accoglienza «dove le porte
siano aperte e gli immigrati ricevano informazione e assistenza». In risposta
a tali denunce il ministero dell’Interno italiano ha fatto sapere che a Lampedusa
non sono violate le norme internazionali e che le accuse espresse sono frutto
di una «campagna mediatica denigratoria» e assolutamente «prive
di fondamento».
espulsioni collettive
Nonostante la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle
libertà fondamentali e la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue vietino
espressamente le espulsioni collettive di cittadini di Paesi terzi, cioè
dichiarino che qualsiasi provvedimento di allontanamento (o respingimento) deve
essere rigorosamente individuale, e nonostante la Campagna promossa dalle Ong
europee contro i voli che effettuano rimpatri congiunti, la politica europea
sembra prendere un’altra direzione. Tale pratica è già stata messa
in atto finora, seppur sporadicamente, da alcuni Stati membri e con accordi
bilaterali (ad esempio tra Italia e Germania e tra Francia e Spagna), ma con
l’incontro dei ministri dell’Interno del G5 (Francia, Germania, Italia, Regno
Unito e Spagna), svoltosi a Evian (Francia) nei giorni 4-5 luglio 2005, i voli
comuni per l’espulsione degli immigrati illegali sono stati sanciti da un accordo
europeo tra Stati membri. Così, i primi rimpatri collettivi a livello
europeo sono iniziati: il 14 settembre un volo organizzato dalla Germania (con
l’Italia nel ruolo di Paese osservatore) ha rimpatriato diversi cittadini centroafricani
(in Benin, Ghana, Nigeria e Togo); il 22 settembre un aereo partito da Madrid,
dopo due tappe a Parigi e a Roma ha rimpatriato a Bucarest 20 cittadini rumeni;
alla fine di settembre l’Italia ha organizzato un volo con la partecipazione
di Francia, Germania e Spagna. «Questo tipo di voli - ha spiegato il ministro
dell’Interno spagnolo Josè Antonio Alonso - consentirà di risparmiare
sui costi di rimpatrio, in particolar modo sulle rotte a lungo raggio».
Anche una recente sentenza della Corte di Cassazione italiana (8 agosto 2005)
ha data il via libera alle espulsioni collettive, a patto che il provvedimento
espulsivo abbia una motivazione (anche identica) per ogni singola persona espulsa.
La Cassazione ha comunque ribadito l’importanza di verificare i casi singoli
e le garanzie per ciascun immigrato, sostiene l’Unhcr, secondo cui è
importante che nei procedimenti di allontanamento «siano seguite le norme
stabilite dalle leggi vigenti: cioè i singoli cittadini stranieri devono
essere identificati, il provvedimento di allontanamento dal territorio deve
essere loro consegnato in una lingua comprensibile e in tempi utili ai fini
di poter procedere a un eventuale ricorso».
PRIMI CENTRI ITALIANI IN LIBIA
Sorgerà a Gharyan, nei pressi di Tripoli, in Libia, il primo Centro per
migranti che l’Italia realizzerà fuori dal territorio nazionale al fine
di contrastare l’immigrazione. La notizia è contenuta nella “Relazione
sul rendiconto generale dello Stato, esercizio 2004” della Corte dei Conti,
nella parte relativa al ministero dell’Interno. «L’Amministrazione - si
legge nel documento - ha comunicato che è in corso di realizzazione un
primo Centro (località Gharyan, Tripoli) i cui lavori sono iniziati».
Inoltre, è scritto, «sono in corso di definizione le procedure
per l’espletamento di una gara d’appalto» per la costruzione di un secondo
Centro, sempre in Libia, presso la città di Sebha.
CRITICHE ALLA DETENZIONE DEI MIGRANTI
«Siamo delusi dal riscontrare che la Commissione europea incoraggi la
detenzione in Europa. Questa costosa misura offusca il primato dell’Ue sui diritti
umani». Così il Jesuit Refugee Service (JRS) ha commentato la proposta
della Commissione per una direttiva sui rimpatri (vedi pagine precedenti). In
particolare il JRS si oppone «ai progetti sull’uso sistematico di detenzione
in Europa, e al proposto limite di durata della detenzione fino a sei mesi».
Secondo il JRS, «non c’è posto per la detenzione sistematica e
arbitraria di emigranti irregolari in una politica d’asilo europea comune ed
umana. Bisognerebbe ricorrere alla detenzione solo come ultima possibilità
ed esclusivamente nei casi dove sia presente un’intenzione di rientro, e laddove
abbiano avuto luogo accertamenti circa potenziali rischi di gravi abusi dei
diritti umani nei Paesi d’origine». Il JRS sottolinea inoltre che: chi
affronta la detenzione amministrativa o l’espulsione deve avere accesso a supporto
e consulenza legale; categorie particolarmente vulnerabili come bambini, vittime
di traffici e malati gravi, non dovrebbero essere poste in detenzione o espulse
in nessun caso; i nuclei familiari non dovrebbero essere disgregati.
Monitoraggi svolti nei mesi scorsi dallo stesso JRS e dalla rete di Ong europee
Migreurop hanno mostrato come, pur non essendo disponibili dati ufficiali complessivi,
ogni anno almeno 100.000 migranti siano detenuti nei Centri situati nei Paesi
dell’Ue e negli Stati vicini. In questi luoghi, che si trovano prevalentemente
in posti isolati, lontani dalla vista degli abitanti locali, oppure nei pressi
delle frontiere, di aeroporti e stazioni, spesso sono violati diritti fondamentali
come l’assistenza sanitaria, la possibilità di ricevere visite, la protezione
dei minori e dei familiari. In molti casi l’accesso è vietato alle Ong
e ai giornalisti, mentre i parlamentari possono accedervi a titolo personale,
e spesso i migranti sono detenuti nelle prigioni comuni, vittime di una criminalizzazione
che non è motivata da un reato commesso. Il fatto poi che un numero crescente
di persone che necessitano di protezione sia fermato alle frontiere o nel Paese
di arrivo e tratto in detenzione, non fa che spingere sempre più individui
a evitare le procedure legali per la richiesta d’asilo e a rivolgersi ai canali
dell’immigrazione illegale.
Per tutte queste ragioni, alcune organizzazioni tra cui il JRS, Human Rights
Watch e Amnesty International hanno costituito nell’ottobre 2004 una Coalizione
internazionale per la protezione dei diritti umani di rifugiati, richiedenti
asilo e migranti. Gli obiettivi principali che la Coalizione si pone sono: limitare
l’uso della detenzione dei migranti; sostenere forme alternative alla detenzione
e livelli decorosi di pratiche restrittive; promuovere maggiori protezione e
rispetto dei diritti umani per i migranti detenuti; segnalare e promuovere lo
sviluppo e l’adozione delle migliori pratiche nell’uso della detenzione.
INFORMAZIONI: www.jesref.org;
www.hrw.org; www.amnesty.org
CERCARE UN’ALTERNATIVA AI CPT
«Finora a livello dell’Ue non sono state avanzate proposte alternative
ai centri di permanenza temporanea» (Cpt), ha affermato recentemente il
commissario europeo per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, Franco
Frattini, secondo cui «è pericoloso che le persone che non possono
entrare nei Paesi in quanto clandestini o per i quali è in fase di esame
la domanda d’asilo possano circolare liberamente». Eppure sono molti ormai
a pensarla in modo completamente diverso. Nei giorni 11 e 12 luglio 2005 si
è svolto a Bari il Forum Mare Aperto, durante cui i presidenti di 14
Regioni italiane hanno chiesto il superamento dei Cpt perché: «hanno
sostanzialmente attratto l’intera materia dentro un quadro di mera regolamentazione
repressiva; si fondano su un’idea assai discutibile di “detenzione amministrativa”;
invece di aggredire i nodi spinosi della clandestinità colpiscono, nei
loro diritti, le singole persone». Secondo le 14 Regioni italiane, la
clandestinità va contrastata «favorendo l’apertura di canali di
ingresso legali, varando programmi seri di cooperazione allo sviluppo, riconoscendo
il diritto d’asilo, promuovendo la cultura dei pari diritti e doveri, ma anche
consentendo i ricongiungimenti familiari e serie politiche di integrazione sociale».
Affinché il Mediterraneo diventi «un mare di pace, di convivenza
tra diversi e di diritti», i presidenti delle Regioni chiedono all’Italia
e all’Europa di ridiscutere le politiche dell’immigrazione. Un documento presentato
al Forum da Arci, Asgi, Cgil, Md e Msf chiede di «superare la visione
del migrante come soggetto in sé pericoloso per l’ordine pubblico e come
ospite in prova perpetua», al fine di emancipare la discussione pubblica
sull’immigrazione dalla logica dell’emergenza e per costruire una legislazione
giusta ed efficace, che preveda meccanismi di regolarizzazione permanente. La
Cgil propone di sostituire i Cpt con una rete di centri d’accoglienza sotto
la giurisdizione degli enti locali, «qualificati come luoghi di informazione,
formazione, assistenza psico-socio-sanitaria, mediazione culturale e tutela
legale, con personale civile specializzato. Luoghi aperti, di vita sociale,
inseriti nella rete vasta di servizi all’immigrazione pubblici e convenzionati,
collegati a un circuito di residenza-ostelli che potrebbero rappresentare un’offerta
abitativa agevolata». Secondo Sergio Briguglio, impegnato da anni sulle
materie dell’immigrazione, con le norme attuali l’espellendo non ha alcun vantaggio
a cooperare con le autorità perché il divieto di reingresso esteso
a livello europeo ne preclude ogni speranza di soggiorno futuro. Così,
lo straniero può prolungare il suo soggiorno solo occultando i documenti
e raggiungendo la scadenza dei termini di trattenimento nei Cpt. Graduando invece
le sanzioni sulla base della gravità dell’infrazione commessa, da un
minimo di un’ammenda a un massimo di misure di sorveglianza di pubblica sicurezza,
si potrebbero garantire maggiori diritti alle persone interessate, limitare
il numero delle posizioni illegali e diminuire gli oneri a carico dello Stato.