Per il futuro dell’Ue servono fatti

La società civile europea: l’Ue deve passare dai propositi ad azioni concrete

«L’unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti (…). Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un’Unione allargata che ha superato le antiche divisioni». Riuniti a Roma il 25 marzo scorso in occasione dei 60 anni dalla firma dei Trattati che diedero vita al percorso di unità europea, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell’Ue hanno voluto sottolineare come sia stata creata «un’Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare». Tuttavia, si legge nella Dichiarazione di Roma, «l’Ue è confrontata a sfide senza precedenti: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche». Tutto ciò, sostengono i leader europei, si può affrontare e superare solo «attraverso un’unità e una solidarietà ancora maggiori (…). Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni. Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione (…). La nostra Unione è indivisa e indivisibile».

Su queste basi, i responsabili dell’Ue si sono impegnati a realizzare un’Europa più sicura, prospera e sostenibile, più forte sulla scena mondiale e soprattutto un’Europa sociale: «Un’Unione che, sulla base di una crescita sostenibile, favorisca il progresso economico e sociale, nonché la coesione e la convergenza, difendendo nel contempo l’integrità del mercato interno; un’Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle parti sociali; un’Unione che promuova la parità tra donne e uomini e diritti e pari opportunità per tutti; un’Unione che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà; un’Unione in cui i giovani ricevano l’istruzione e la formazione migliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente; un’Unione che preservi il patrimonio culturale e promuova la diversità culturale».

Non resta da vedere come questo quadro possa essere trasformato in realtà, dal momento che le politiche attuali, soprattutto di alcuni Stati membri, non sembrano andare propriamente nella direzione annunciata.

60 UE


Ces: «Le buone parole devono essere messe in pratica»

«La Dichiarazione di Roma offre qualche speranza per il futuro dell’Ue, ma le buone parole sulla carta devono essere messe in pratica» ha infatti dichiarato il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Luca Visentini. Secondo i sindacati europei, tra l’altro, la prova dei fatti giungerà presto: in aprile con la pubblicazione delle proposte per il nuovo Pilastro europeo dei diritti sociali, a maggio con nuove raccomandazioni di politica economica e nel corso dell’anno con il Vertice sociale europeo a Göteborg.

«Le parti sociali hanno contribuito in modo significativo a questo nuovo approccio alla dimensione sociale dell’Ue – ha aggiunto il segretario generale della Ces – con la loro dichiarazione congiunta presentata ai leader europei al Vertice sociale straordinario. La necessità per l’Europa sociale e per un aumento dei salari è stata sottolineata anche nel corso della cerimonia per i 60 anni dei Trattati di Roma, cosa che rappresenta un grande successo per il movimento sindacale». La Ces pone l’attenzione sul fatto che i lavoratori nell’Ue «hanno bisogno di vedere misure concrete per rimediare all’enorme danno fatto agli standard di vita e alla speranza per il futuro dalla crisi finanziaria e dagli anni disastrosi di austerità che l’hanno seguita».

Social Platform: «Servono investimenti sociali»

La Dichiarazione di Roma impegna gli Stati membri e le istituzioni europee alla convergenza sociale verso l’alto, tuttavia «ci sono limitazioni nel quadro della governance economica dell’Ue che impediscono che tali impegni siano soddisfatti» osserva la Social Platform europea, secondo cui i livelli di investimento sociale sono stati persistentemente bassi negli Stati membri, l’Ue non è riuscita a facilitarne aumenti sostanziali e il Patto di stabilità e crescita limita tali investimenti perché possono portare a violazioni delle regole di deficit. Secondo la Piattaforma sociale europea, l’Ue dovrebbe seguire il consiglio di Ocse e Fmi che hanno chiesto entrambi la fine dell’austerità e di favorire invece investimenti per promuovere la crescita e ridurre le disuguaglianze.

Rete anti-povertà: «Non possiamo mangiare la carta»

«L’Europa è ancora in crisi, una crisi finanziaria e politica. Queste sono crisi fatte dai leader a livello mondiale e dal modello del libero mercato neoliberista incontrollato. Quindi non c’è da meravigliarsi per la successiva crisi di legittimità, con molti cittadini europei che hanno la sensazione di essere lasciati indietro e sono disillusi rispetto al progetto europeo, in particolare quei 100 milioni che vivono a rischio di povertà ed esclusione sociale». È l’analisi dell’European Anti-Poverty Network (Eapn), la più grande rete europea di organizzazioni impegnate nella lotta alla povertà, che denuncia come le carenze di attuazione e la bassa qualità dell’impegno a livello europeo e nazionale nella collaborazione con la società civile abbia messo in discussione l’utilità di impegnarsi nell’ambito delle “grandi strategie” europee. «Non possiamo mangiare la carta», sottolinea il Network sostenendo che servono azioni concrete. «Sentiamo spesso i leader europei dire di volere una migliore connessione con i cittadini: connettersi alla società civile è un ottimo modo per farlo – sostiene l’Eapn –. Va però presa seriamente la partecipazione: i governi devono dare priorità alla partecipazione delle persone in povertà e alle loro organizzazioni. E per la società civile questo significa non solo lavorare nella “bolla” di Bruxelles ma su tutto il territorio europeo».